Sono poco più di 20 km, con il dislivello che sfiora i 1.600 metri e una pendenza media del 7,7%. Un profilo ben solido ma nulla di straordinario. Eppure.
Eppure se dal villaggio di Bèdoin si volge lo sguardo a nord la vista si blocca di fronte a sua maestà il Ventoux. È un massiccio calvo, spaventoso, millenovecento metri di un verde che prima impallidisce, poi si trasforma in un deserto di sassi, cielo azzurro spazzato da interminabile vento. Incute rispetto, perché si sa che comunque vince lui, non si scherza.
A differenza di altre montagne, sempre circondate a loro volta da altre montagne o da colline, il Mont Ventoux si erge solitario e incontrastato da una pianura dolce e gentile, rigogliosa di viti e lavanda. Una vetta che non arriva a 2.000 metri ma resa leggendaria dalle grandi imprese, dai drammi sportivi che si sono vissuti, culminati con la morte di Tom Simpson avvenuta in una giornata eccezionalmente calda nella tredicesima tappa del Tour de France del 1967 per un collasso cardiaco. Anche Eddy Merckx, nel '70, ebbe un malore dopo il traguardo.
È una salita unica
Per capire la difficoltà di una scalata si fa spesso confronto con altre di simili difficoltà. Ma la Mont Ventoux è unica. Mentre si scala non ci si rende conto della pendenza perché un'altra caratteristica è che non ci sono tornanti, soprattutto nella parte finale. La strada è pulita, larga, col fondo scorrevole, così passa il tempo e non ci si rende conto di salire: si vede solo l'osservatorio sulla cima arida e lontana che sembra non avvicinarsi mai; poi basta uno sguardo alla valle per rendersi conto della quota raggiunta e torna la speranza.
La pendenza non è proibitiva. È vero che non molla mai, leggera partendo da Bédoin, inizia a crescere dopo 6 chilometri, raggiungendo solo in qualche tratto punte superiori al 10%. Ma c'è un altro elemento che gioca a sfavore, e che sul Mont Ventoux non manca mai: il vento. E si sa, per i ciclisti, il vento è sempre contro.
Cambia spesso di intensità e questo va messo in conto: una leggera brezza a Bédoin può diventare una tempesta in vetta; si sono registrati casi di 320 km/h. Poi c'è la stagione. Il periodo migliore per pedalare sul Mont Ventoux è maggio. È vero che i campi di lavanda esplodono di profumi e di colori nei caldi mesi estivi regalando un paesaggio straordinario, ma per affrontare la salita è bene evitarli, anche perché gran parte del percorso è completamente esposto al sole.
Per quanto riguarda i tempi un amatore mediamente allenato ci mette due ore e mezza, difficile in questa salita superare i 10 km/h.
Tre vie, la migliore da Bédoin
Ci sono tre percorsi che portano alla vetta del Mount Ventoxu: il più noto, ma anche il più impegnativo per gli ultimi chilometri che si affrontano esposti al sole e alle raffiche di vento, parte da Bédoin, che per questo è il centro per tutti i ciclisti che vogliono affrontare l'impresa; qui si trovano i negozi sportivi, i meccanici, i noleggi, ed è anche ben organizzata per quanto riguarda l'accoglienza, tra B&B e ristoranti all'aperto sotto i platani.
Il percorso inizia da rue du Mont Ventoux, alla vetta mancano circa 22 chilometri ma la partenza è di tutto riposo, sia perché la pendenza è leggera, sia perché si snoda tra vigneti e cipressi che fanno da scudo al Mistral: l'insidia del vento è ancora lontana ma la minacciosa vista del Mont Ventoux riporta alla realtà e induce alla prudenza.
Dopo 6 km si arriva alla curva di Saint-Estève, che segna l'inizio della parte più dura: la pendenza aumenta significativamente, passando dal mite 3% all'8-9% e peggio ancora oltre il 10%; occorre un rapido cambio di passo e di rapporto. E farsi coraggio.
Dalla curva Saint-Estève allo Châlet Reynard
Cambia il regime della salita e cambia anche il paesaggio: si entra nella pineta del Ventoux. La strada segue la valle che scende dalla montagna correndo per lo più rettilinea, con leggere curvature, e questa immutabilità di condizioni non sostiene certo lo sforzo. Si procede così per altri 10 chilometri, fino allo Châlet Reynard, unico punto di ristoro sul percorso; la pendenza diminuisce leggermente, ma il piazzale è il preludio al secondo tratto più difficile della scalata: mancano 6 chilometri, inizialmente con una pendenza media (6%), che si trasforma nel 8-10% in vista del passo.
Qui si è immersi nel paesaggio lunare che mostrano le note immagini della vetta: si è in piena salita, con il sole a piombo e il vento contro. C'è altro? Sì: la fatica e l'aria rarefatta, visto che siamo a quote elevate, oltre i 1.900 metri. Si arriva così alla stele dedicata a Tom Simpson, adornata di fiori e borracce, lasciate da ciclisti come omaggio, per affetto e solidarietà. Vale una sosta, un abbraccio a quell'inglese che a soli due chilometri dalla vetta di un monte bruciato come il deserto dette l'anima al ciclismo. Poi occorre riprendere, spingere a fondo: manca l'ultimo sforzo, ma il più duro.
Arrivati all'osservatorio il Mont Ventoux ricompensa l'impresa con una vista spettacolare in tutte le direzioni, dai suoi 1.909 metri di altitudine. È bene assaporarla e recuperare le forze per la discesa: è vero, non si deve più spingere sui pedali, ma ci sono 20 chilometri con discrete pendenze, anche qui servono energie.