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Quando la strada diventa storia

Giro d'Italia, Tour de France, Vuelta a España: tre sfide iconiche del ciclismo mondiale hanno forgiato la leggenda di queste competizioni, alimentandone il fascino senza tempo

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Per un atleta non c'è niente che possa superare la soddisfazione di vincere uno dei Grandi Giri, ed avere il proprio nome fra i grandi del ciclismo. Tre eventi agonistici rappresentano il culmine del ciclismo su strada, così importanti da attirare i migliori ciclisti del mondo, sono chiamati i Grandi Giri: il Tour de France, il Giro d'Italia e la Vuelta a España. Vincerne uno consacra l'atleta nell'olimpo del ciclismo, affiancando il proprio nome a quelli di Fausto Coppi, Gino Bartali, Eddy Merckx, Bernard Hinault, Miguel Indurain, Chris Froome, Tadej Pogačar.

Si tratta di  una competizione ciclistica a tappe, che richiede un impegno continuo e anni di preparazione, duri allenamenti e anche una dedizione totale. Per chi decide di prenderne parte non può mancare la capacità di superare i propri limiti fisici e mentali.

Gino Bartali al Giro d'Italia del 1939, courtesy of Fondazione Pirelli

Gli eroi dell'atletica

Partecipare a un Giro è prima di tutto una grande impresa atletica, tre settimane di competizione ininterrotta: 21 giorni di corsa serrata che non permette di recuperare le forze tra una tappa e l'altra. E non si può rallentare, perché nessuno degli altri concorrenti rallenterà. La fatica si accumula e cresce giorno dopo giorno, rendendo ogni frazione sempre più impegnativa.

Occorre saper affrontare anche la varietà dei percorsi - di pianura e di montagna - sfide a  cronometro con diversa tipologia di sforzi e climi che possono passare dal caldo torrido al gelo delle vette. Le salite sono delle vere e proprie scalate, mozzano il fiato e attanagliano i muscoli delle gambe; quando si arriva alla discesa non è concesso tirare il fiato dal momento che si tratta di sfidare la paura, senza rallentare.

Poi c'è la fatica mentale: si deve saper gestire lo stress, restare concentrati per ore ogni giorno, convivere con la tensione e con il dolore.

Ecco perché chi riesce a tollerare tutto questo è un eroe dell'atletica, le loro sono imprese memorabili.

Gino Bartali al Giro d'Italia del 1939, foto Publifoto, courtesy of Fondazione Pirelli

Tour de France

Il Tour de France è una delle corse ciclistiche più famose del mondo. I francesi lo chiamano La Grande Boucle, soprannome affettuoso che significa “il Grande Anello”, per il percorso che di solito assume la forma circolare e che qualche volta esce dalla Francia toccando i paesi confinanti.

La prima edizione si tenne nel 1903, e da allora la corsa si è svolta tutti gli anni, di solito nel mese di luglio, tranne durante le due guerre mondiali.

Il primo Tour vide la partecipazione di circa 60 corridori impegnati su sei tappe, con partenza e arrivo a Parigi. Le prime edizioni, fino alla sospensione dovuta alla prima guerra mondiale, fanno parte dell'epoca eroica, con tappe di oltre 400 km al giorno da percorrere su strade in pessimo stato e con un equipaggiamento di bassa qualità, in condizioni durissime: qui è nato il famoso gioco di parole “Tour de France, Tour de Souffrance”.

Il leader della classifica generale indossa la Maglia Gialla; altrettanto celebre è quella del grimpeur, il miglior scalatore, bianca a pois rossi.

Fausto Coppi al Tour de France del 1952, foto Terreni, courtesy of Fondazione Pirelli

La prima edizione del Tour de France

La prima edizione del tour de France ha superato i 2.000 chilometri. La media degli ultimi anni ha raggiunto i 3.400 km, per cui appare un numero ridotto, tuttavia erano suddivisi in soltanto 6 massacranti e lunghissime tappe, spesso percorse anche di notte. I corridori dovevano affrontare strade dissestate, rimediare a forature continue e a ogni altro genere di imprevisto. Non esistendo l'ammiraglia, i ciclisti dovevano gestire gli imprevisti con le loro sole capacità e l'attrezzatura in loro possesso.

Eugène, il ciclista fabbro

Si correva lungo la 6ª tappa, sui Pirenei, Eugène Christophe era in testa alla corsa e stava attraversando il Col du Tourmalet, una delle salite più difficili del Tour. In discesa, a causa delle pessime condizioni stradali, ebbe un grave incidente che gli causò la rottura della forcella, ma decise di continuare, trasportando a mano la sua bicicletta per 14 chilometri fino a raggiungere un villaggio. Qui trovò un fabbro a cui chiese in prestito gli attrezzi, lavorò per tre ore e mezza e riparò la forcella da solo, come da regolamento. Risalì in sella e riprese la corsa, sebbene le possibilità di vittoria fossero ormai svanite.

Non vinse mai il Tour, ma la sua determinazione lo rese una figura leggendaria, ricordata come il ciclista capace di affrontare qualsiasi avversità.

Fausto Coppi sui tornanti dello Stelvio durante il Giro d'Italia del 1953, foto Publifoto, courtesy of Fondazione Pirelli

Il Giro d'Italia

Dal 1909 attraversa gran parte dell'Italia passando per le Alpi e gli Appennini, dove si trovano alcune delle salite più dure del ciclismo mondiale: lo Stelvio, il Gavia, il Mortirolo e lo Zoncolan. È una delle competizioni ciclistiche più antiche e prestigiose del mondo, con una lunga storia costellata di episodi leggendari, come le sfide tra Fausto Coppi e Gino Bartali, e le imprese di campioni come Marco Pantani e Vincenzo Nibali. La maglia simbolo del leader della classifica generale è la Maglia Rosa.

È famoso per essere un Giro duro e imprevedibile, per la variabilità dei percorsi, e delle condizioni climatiche, che passano dal caldo asfissiante delle pianure alle nevicate sui passi alpini. Le salite, spesso con pendenze superiori al 10%, fanno del Giro una corsa temuta anche dai più forti scalatori.

Luigi vince la solitudine

La vittoria della prima edizione andò a Luigi Ganna. La sua condizione fisica non era ritenuta la migliore rispetto a corridori più noti, nonostante questo Ganna è sempre rimasto nel gruppo dei più forti. Riuscì a mantenere la testa della gara grazie alla sua forza mentale, nonostante le condizioni precarie, le lunghe distanze, la fatica e la solitudine in gara, fattori che avrebbero messo in ginocchio qualsiasi corridore moderno. Nell'ultima fase riuscì a resistere agli attacchi degli avversari anche durante il percorso più lungo ed estenuante, impiegando tutte le sue energie. La sua vittoria segnò la storia del ciclismo italiano: a partire da quella edizione, il Giro d'Italia acquisì grande fama, attirando l'attenzione di appassionati di ciclismo di tutto il mondo.

Il corridore ciclista Luigi Ganna nel 1909, anno in cui vinse la prima edizione del Giro d'Italia, courtesy of Fondazione Pirelli

Un uomo solo al comando…

Una celebre impresa del Giro d'Italia è legata alla tappa Cuneo-Pinerolo, nel 1949. È lì che è nata la celebre frase: “Un uomo solo al comando, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Fausto Coppi”, pronunciata dal radiocronista Mario Ferretti.

La tappa copriva una distanza di 192 km, non lunghissima ma molto dura perché si dovevano affrontare cinque passi alpini: il Maddalena, il Vars, l'Izoard, il Monginevro e il Sestriere. Con lunghissimi tratti in salita, difficili discese e molte strade sterrate.

Per Coppi è stata una gara solitaria: dopo 62 km dall'inizio tappa, sul Colle della Maddalena, decise di attaccare. Una mossa azzardata, data la distanza ancora da coprire. Ma non per Coppi, che mantenne un ritmo insostenibile, addirittura aumentando progressivamente il vantaggio anche verso il suo principale rivale, Gino Bartali.

Fu la definitiva consacrazione di Fausto Coppi, il Campionissimo, che grazie al vantaggio acquisito, e poi mantenuto, vinse il Giro d'Italia 1949.

Gino Bartali, Fausto Coppi e Villa nel 1949, courtesy of Fondazione Pirelli

Marco in piedi sui pedali

Nel 1998 Marco Pantani si presentò al via dopo molte stagioni sfortunate, tempestate da infortuni: il percorso prevedeva una serie di tappe impegnative in montagna, che lo vedevano favorito, dovette comunque vedersela con avversari agguerriti, come lo svizzero Zülle e il russo Tonnov.

Il 18 maggio 1998 Pantani compì una delle scalate più spettacolari della storia del ciclismo. Era la 15ª tappa, e si concludeva con un arrivo in salita a Montecampione, sulle Prealpi bresciane. A rendergli vita dura fu proprio Pavel Tonkov, un corridore potente e regolare in salita. A 6-7 km dall'arrivo, Pantani iniziò a imprimere il ritmo con il suo stile: accelerando alzandosi sui pedali. Tonkov inizialmente non mollò, Pantani lanciò l'attacco decisivo a circa 3 km dall'arrivo, distanziandolo in modo netto tagliando il traguardo in solitaria. Pochi giorni dopo Pantani vinse il Giro d'Italia 1998 e nello stesso anno anche il Tour de France.

La Vuelta a España

La Vuelta a España è la più giovane delle tre competizioni, nata nel 1935; la maglia simbolo del leader della classifica generale è la Maglia Rossa. Si snoda attraverso i mille volti della penisola iberica e le sfide non mancano: la maestosità della Sierra Nevada e il vento bollente della costa sono accompagnati dal calore della folla che nei villaggi esplode come un'onda.

I corridori devono affrontare salite impossibili, dove l'asfalto sembra scomparire tra le nuvole: l'Alto de l'Angliru, una scalata di strade strette con pendenza media 9,8% e le ultime sessioni che sfiorano il 25%; la Machucos, dal muro finale al 28%; e infine la Lagos de Covadonga, la salita storica della Vuelta, dove i corridori devono superare pendenze micidiali con pochi tratti per recuperare.

Gino Bartali e Fausto Coppi durante una competizione ciclistica, 1949, courtesy of Fondazione Pirelli

David lancia la bicicletta

L'ascesa all'Alto de Angliru non è solo una salita durissima, è stato per lungo tempo un tratto pericoloso da percorrere. Tanto che nel 1999 David Millar gettò in terra la sua bicicletta in segno di protesta. Pendenze proibitive, asfalto spesso bagnato e scivoloso, è un percorso molto insidioso soprattutto in discesa, rappresentando una sfida estrema per i ciclisti. Millar, insieme ad altri corridori, si ribellò a un sistema che a suo avviso privilegiava lo spettacolo a discapito della sicurezza. Fu criticato per aver interrotto la corsa e aver danneggiato l'immagine dello sport, ma molti ciclisti e appassionati condivisero le sue preoccupazioni. Così gli organizzatori della Vuelta a España furono costretti a rivedere le loro scelte, e sebbene non siano state eseguite modifiche strutturali significative, seguirono varie iniziative in favore di una maggiore sicurezza. Oggi è diventato uno dei colli più iconici della corsa spagnola.

Più forte del dolore

Tra le storie epiche della Vuelta a España vi è quella dell'impresa di Bernard Hinault contro il destino. Hinault, atleta di spicco vincitore di diversi Tour de France, si presentò alla Vuelta del 1983 con l'obiettivo di vincere. La competizione si rivelò più difficile del previsto: era la sua prima corsa spagnola e le strade, il clima e il ritmo serrato del gruppo gli posero ostacoli tremendi. La stoffa del campione non tardò ad emergere: alla scalata di Lagos de Covadonga, con pendenze oltre il 15%, Hinault era in difficoltà per via di una tendinite che gli causava forti dolori, ma nonostante questo pedalò lottando contro le pendenze estreme, i continui attacchi degli avversari e il maltempo. Verso la fine della tappa, martoriato dal dolore, sembrava cedere ma staccò il gruppo con una forza impressionante.

Questo dominio psicologico e tattico gli fece guadagnare la fiducia e la testa della classifica che infine mantenne fino a Madrid, diventando così uno dei pochi corridori che vinsero tutte e tre le grandi corse a tappe: Giro, Tour e Vuelta.

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