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Strade Bianche, cinque scenari che hanno reso iconica una corsa moderna dallo spirito leggendario

I luoghi più belli di una competizione che, in pochi anni, è diventata l’affresco vivido della Toscana più romantica

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Nuvole di polvere sugli sterrati sperduti tra cipressi e casolari, l'incanto quasi irreale delle crete senesi e il misterioso fascino di una città bella da mozzare il fiato. In diciassette anni di vita, la Strade Bianche è riuscita a scalare le vette del circuito World Tour e a far breccia nei cuori degli appassionati grazie al suo carattere sanguigno e passionale.

Questi sono i luoghi che l'hanno resa unica agli occhi di milioni di spettatori in tutto il mondo.

San Martino in Grania

Questa è la cartolina per antonomasia della Strade Bianche nonché uno dei tratti più fotografati in assoluto, dove i tifosi guardano i segnali di fumo dei corridori in lontananza come Sioux sulle creste dei canyon mentre le colline abbracciano la corsa da ogni parte, dimostrando come il ciclismo e il paesaggio riescano a fondersi in un quadro impressionista. Dal crinale perennemente esposto al vento che taglia in due, si vedono i casolari sperduti, le file di cipressi. Si forma così il racconto poetico di uno sport che mescola vittime e carnefici in un duello senza fine.

Monte Sante Marie

Se questo sterrato fosse una canzone, probabilmente sarebbe una traccia dell'album “The Division Bell” dei Pink Floyd, una lunga sessione progressive dove l'immensità delle colline corre a perdita d'occhio lungo la cresta della strada arida, polverosa, sperduta nel nulla. L'uomo e il ciclismo sono soli qui, in una landa desolata quasi sempre battuta dal vento, dove le ombre malinconiche si disegnano nere sullo sterrato più bianco del bianco nell'abbacinante sole del primo pomeriggio. Come dice il nome, questo non è un luogo per l'azione, è fatto per la contemplazione e la preghiera, sacro e profano che si mescolano, come molte volte succede nel bel mezzo della competizione. Così lontano da Siena – e da tutto – il settore otto ti aspetta per metterti davanti a te stesso, nudo. Infernali colline infinite, il silenzio di un ritmo alienante che nessuno riesce a sentire: il deserto di un altro pianeta.

Colle Pinzuto

Uno dei terreni migliori dove sferrare l'attacco – insieme a Le Tolfe – prima di giocarsi il tutto e per tutto su Santa Caterina. È la voce interiore che ti dice se sei forte abbastanza e quanto ne hai prima dell'arrivo. Come tutti i punti chiave di una corsa, anche Colle Pinzuto ha il fascino del sacrificio: corto, duro, da affrontare a ritmo indiavolato se si vuole uscirne vivi. Non ci si deve lasciare ingannare dall'alone bucolico e dagli ulivi argentei che circondano questa strada persa nel nulla, di fiabesco c'è ben poco ed è fin troppo facile pensare di mettere il piede a terra. Questo è tipico del ciclismo: la realtà non è mai come te l'aspetti.

Santa Caterina

Un trampolino di lancio dove voli oppure niente. Questa è l'ultima vera e cruda frustata della giornata - tra le più dolorose, per altro - una via stretta che si alza come un'ascesa dall'inferno fino al paradiso. In mezzo, un purgatorio di sofferenza estrema, dove devi chiudere il contatto con il cervello per non sentire le gambe che si rompono, metro per metro. Questo ultimo chilometro ha una pendenza massima del sedici per cento e la gente ci si accalca fin dalla mattina. È una prova di lucidità e di resistenza, e anche di come il ciclismo riesca a rendere straordinario qualcosa di assolutamente normale, come una viuzza in mezzo alle altre. Il traguardo è lì a poche pedalate, l'ultimo baluardo del dolore ti proietta direttamente verso la fine, come una freccia appena scoccata.

Piazza del Campo

Qualcuno dice che restando in piedi, al centro di Piazza del Campo, con gli occhi chiusi, si possa sentire lo scalpiccio dei cavalli che corrono come in un sogno, un carillon di polvere e gloria con i fantini protesi in avanti e le persone che gridano, si sporgono e parteggiano per il loro purosangue in battaglia.

Non c'è niente al mondo che assomigli allo scenario d'arrivo della Strade Bianche. È difficile non sentire un nodo alla gola quando si assiste per la prima volta al boato della piazza che scuote il corridore sul lastricato degli ultimi duecento metri: lui da solo e l'uragano tutt'attorno, un imbuto di gente pronto ad esplodere. Il palcoscenico si apre all'improvviso tra i vicoli stretti dove soffia sempre il vento, la Torre del Mangia è tutta nel sole e metà conchiglia è nell'ombra.

Così si svolge l'ultimo degno atto di una corsa fuori dal tempo.

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