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Come affrontare le salite in bicicletta

Per arrivare in cima serve un allenamento su misura per muscolatura, resistenza, forza, ma è il benessere psicologico a fare davvero la differenza. Ne è convinto Josu Larrazabal, Head of Performance del team Trek-Segafredo.

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La salita rappresenta da sempre la più grande sfida per i ciclisti, sia per i professionisti sia per gli amatori; una lotta per superare i propri limiti. Sulle montagne sono state scritte le pagine più indelebili della storia di questo sport, e non esiste emozione più grande di scollinare le vette più iconiche del ciclismo. Per scalare colline e montagne, però, bisogna essere nelle perfette condizioni fisiche e mentali: come ci si allena e ci si prepara per le salite? Lo spiega Josu Larrazabal, Head of Performance del team Trek-Segafredo.

Prima ancora dell'allenamento sui pedali, come si migliora la resistenza necessaria per le salite?

«Come in tutti gli sport di endurance, bisogna fare un carico di lavoro importante: parlo di 25-30 ore di allenamento a settimana. Ci sono tre aspetti fondamentali da sviluppare a livello fisico: la mobilità, il core e la forza. A livello di mobilità, bisogna curare le eventuali tensioni che si possono formare in uno sport meccanico come il ciclismo, dove spesso rischiamo di compensare, per esempio sulla schiena. Poi bisogna allenare il core, il nucleo centrale del corpo umano, che ci permette di sopportare il carico di lavoro e di tenerlo a lungo nel tempo. Infine c'è la componente della forza, da sviluppare in palestra, con attenzione particolare ai muscoli a cui si richiede maggiore sforzo in bici: l'esercizio chiave qui è lo squat».

In bicicletta invece come ci si allena?

«Si comincia con un lavoro a bassa intensità, e da lì si costruisce la resistenza più specifica in base all'obiettivo. Se uno si prepara per delle salite corte, come quelle delle Fiandre o le Ardenne, dovrà fare ripetute di salite di 3-5 chilometri a un ritmo alto, mentre se uno si sta allenando per un grande giro, dove le salite sono più lunghe, farà un lavoro focalizzato su ritmi meno intensi ma più lunghi nel tempo, quindi molto esigenti».

Quali errori non bisogna fare?

«Bisogna stare attenti nella cura del peso. Molti pensano che la cosa più importante sia arrivare con il miglior rapporto possibile tra peso e potenza, ma questo rischia di essere un errore, perché prima di tutto serve avere energia, ogni ciclista deve fare i propri valori massimali. Poi, una volta allenata la forza, allora nell'ultima fase si può fare una piccola rifinitura del peso, ma stando attenti anche qui a non esagerare, a non indurre cioè una perdita di peso troppo elevata in poco tempo».

Mentre si pedala in salita, come si gestiscono al meglio le energie?

«Per i professionisti non esiste questa questione, perché nelle gare non si gestiscono, ma seguono quelli davanti, e quando la gara esplode, ognuno deve prendere il suo ritmo e sa perfettamente qual è. Certo, è chiaro che la gestione del finale di gara si fa sin dall'inizio, alimentandosi nella maniera corretta, idratandosi bene, portandosi i vestiti giusti, per avere la certezza che nel finale si riuscirà a tenere sempre il ritmo massimo. Discorso diverso per gli amatori che fanno una gran fondo, dove allora ha senso gestire le energie, non andare sempre al massimo, per arrivare alla fine».

Quanto conta la componente mentale e come si allena?

«Quando metti il fisico a tutta, sia per una volata sia per una salita, sia per una partita di calcio o per qualsiasi sport, devi saper vivere quei pensieri, quelle sensazioni. Ognuno ha le sue strategie per rimanere il più a lungo possibile in quello stato di mix tra dolore fisico e motivazione mentale. Lì è dove arriva il lavoro di una psicologa sportiva come Elisabetta Borgia, per permettere a ogni corridore di trovare soluzioni adatte. Certo, come ci sono ciclisti più forti in salita, o a crono, o nelle volate, ci sono anche ciclisti più forti a livello mentale. Anzi, la differenza fisica tra due corridori che si giocano la tappa sull'Alpe d'Huez o sul Mortirolo è minima, la differenza più grande è a livello mentale».

Alla fine della pedalata, qual è il modo migliore per recuperare in fretta le energie e non sentire troppo la stanchezza e il dolore?

«Appena superano il traguardo, i corridori ricevono i vestiti per non prendere freddo e il recovery drink, un mix ad alto contenuto proteico, da assumere nella prima mezz'ora, quarantacinque minuti, la cosiddetta finestra metabolica in cui il fisico è molto più predisposto ad assimilare degli alimenti. Poi c'è il cool down: quando si finisce una tappa con uno sforzo massimale, si fanno 10 minuti sui rulli a intensità bassa, per eliminare l'acido lattico e sciogliere le gambe. Alla fine ci sono la crioterapia, i massaggi e tutte le altre pratiche utili a recuperare più in fretta».

Dove risiede, per te, la bellezza della salita?

«È l'esempio perfetto della sfida: uno parte senza vedere dove si scollina, perché all'inizio la vetta è coperta, poi arriva il momento in cui si inizia a indovinare la strada, ad avvicinarsi, e alla fine si può guardare giù e vedere quanto fatto. C'è la sfida contro la montagna e quella contro sé stessi, è un processo anche spirituale, simbolizza tante cose che dobbiamo fare nella vita. Se si avanza, anche piano piano, e non si molla, alla fine si arriva».

Qual è la tua salita preferita in assoluto?

«Una delle più speciali sicuramente è il Sella, perché in cima è proprio magica, con tutte le rocce e lo scenario magnifico».

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