Nigel Mansell, cuor di leone
Nigel Mansell appare sulla scena della Formula 1 e di lui colpisce una caratteristica: sembra fuori luogo. Gli altri piloti top sono belli, hanno fascino, sono simbolo di tutto quanto fa brillare il mondo delle competizioni. Lui, un tipico inglese da vecchi film inglesi, non bello e non di fascino, con due baffi un po' da tricheco a farlo sembrare più vecchio della sua età.
E dire che quando si affaccia ai Gran Premi, nel 1980, ha 27 anni: età, a quei tempi, perfettamente nella regola, diversamente da oggi con una nidiata di minorenni già al via di un GP. Debutta in Lotus. Ha riconosciuto qualcosa in lui un certo Colin Chapman: inglese visionario, inventore più che progettista, un vero genio delle corse.
Difficile immaginarlo, ma Mansell ha la velocità nel sangue. Nel senso che sono le curve estreme a esaltarlo: quelle in cui una monoposto, più che guidarla, bisogna lasciarla andare di lato un po' come un surf sulla cresta dell'onda, ma senza esagerare perché poi possono essere guai seri. Nigel corre con la Lotus due gare nell'80 e quindi a tempo pieno fino a tutto il 1984. Bilancio: una pole position, zero vittorie e secondi posti, cinque terzi e 13 (!) fra incidenti e uscite di strada. È uno che esplora il limite: opinione abbastanza comune è che lo fa senza avere ben chiara la linea di demarcazione.
Qualcuno invece capisce come stanno le cose: è Frank Williams, e qui inizia la prima delle tre grandi ere vincenti di Mansell. Già il primo anno, 1985, Nigel cambia ritmo: due vittorie, a Brands Hatch sua gara di casa e in Sudafrica, una pole e altre quattro partenze in prima fila. È velocissimo, ma ancora - apparentemente - fuori contesto. Lo tradisce la sua parlata un po' cantilenante, la vocina quasi lamentosa. Giocando sul cognome in Italia lo battezzano Mansueto, che per un pilota chiamato a vincere non è il massimo.
Arriva il 1986 e alla Williams sempre più vincente, vitaminizzata dal potente turbo Honda, approda anche Nelson Piquet, già bi-campione del mondo con la Brabham. Scoppia la guerra interna. I due si rubano vittorie e punti a ogni gara. La rivalità sale di tono e il team ha difficoltà a gestirla, dopo che un incidente stradale ha relegato Frank Williams su una sedia a rotelle, quindi con altri problemi di cui occuparsi. Finisce nel peggiore dei modi. Ad Adelaide, ultima gara, Mansell è tranquillo al comando e campione iridato in pectore quando un pneumatico della Williams esplode a 270 all'ora in pieno rettilineo: ritiro e gara regalata a Prost che diventa campione per il secondo anno consecutivo.
Nel 1987 Mansell va all'attacco senza più riserve. Nessuno lo chiama più Mansueto ma The Lion, il Leone. Per il titolo è battaglia a due fra lui e il solito Piquet che la spunta dopo che in Giappone, penultimo atto stagionale, Nigel picchia duro fratturandosi una vertebra. Sembra perduto alle corse, almeno stando al parere dei medici. E invece Mansell risorge, con quella sua volontà di ferro, quel menefreghismo di fronte al limite logico che diventerà il suo marchio di fabbrica.
Un anno di purgatorio ancora in Williams (appiedata dalla Honda) ed ecco, nel 1989, la Ferrari. Nigel era stato contattato da Enzo Ferrari già nel 1986. A metà '88 l'accordo: ultimo pilota scelto personalmente dal Drake, poi scomparso nell'agosto '88. L'inizio è travolgente. La seconda era d'oro della sua vita si apre debuttando a Rio de Janeiro ‘89 e vincendo contro ogni pronostico: il cambio automatico della Ferrari, primizia assoluta per le F1, domina infatti al debutto. Seguirà un altro successo, in Ungheria, partendo dalla settima fila e rimontando come un bufalo per poi assestare un sorpasso indimenticabile al Sua Maestà Ayrton Senna. A questo punto Nigel è il nuovo Maradona di Maranello e per il 1990 si profila per lui l'anno della consacrazione iridata. Ma in Ferrari arriva Prost, la sua abilità tecnica ma anche politica finisce per metterlo nell'angolo. Mansell non regge la competizione fuori dalla pista e al GP di casa sua, a luglio, annuncia polemicamente il ritiro dalle corse.
Nel 1991 è di nuovo in Williams, che ha iniziato una nuova era tecnica con l'eccezionale motore aspirato Renault. Tutto torna ad andare in discesa: Mansell vince cinque gare ed è secondo in campionato alle spalle di Senna del quale sembra essere l'unico avversario credibile a livello umano. In un indimenticabile GP a Montecarlo arriverà ad attaccarlo con tanta foga per la prima posizione che Ayrton confiderà “Mansell è l'unico pilota che, quando ti attacca, lo vedi in entrambi gli specchietti”. Tutto è pronto per rendere la terza era vincente anche quella tinta nei colori dell'iride.
A inizio 1992 Nigel vince anzi domina le prime cinque gare. Ad agosto in Ungheria è campione del mondo con cinque gare di anticipo. Ma la tendenza a una certa dose di dramma è troppo insita nel suo DNA. A settembre, a seguito di una disputa sul compenso, Frank Williams lo licenzia senza tanti complimenti. Lui si rifugia negli Stati Uniti dove guida per il team dell'attore Paul Newman e domina la stagione di Formula Indy.
Questa è la fine dei suoi trionfi, ma non della carriera. A maggio 1994 la Williams perde Senna e lo rimpiazza con un valzer di piloti, fra i quali anche Mansell che corre quattro gare vincendo l'ultima, in Australia. Nel 1995 accetta il corteggiamento McLaren, ma tutto si affloscia dopo due sole partecipazioni. E questa è la vera fine di tutto.
Oggi Mansell vive una vita abbastanza lontana dalla F1, alla quale si congiunge nuovamente soltanto quando in un paio di gare all'anno diventa commissario del collegio giudicante sui piloti, ruolo che esercita con rigore. Per il resto, fa l'imprenditore nel Regno Unito e in Florida, dove vive buona parte dell'anno. E dove in molti lo ricordano con l'appellativo di 35 anni fa: Il Leone.
NIGEL MANSELL - 8 agosto 1953
GP disputati: 187
Pole position: 32
GP vinti: 31
Titoli iridati: 1 (1992)