Un weekend epico nella “pista magica”
Sono passati quasi 35 anni da quell'11 settembre 1988 e la Formula 1 si sta avvicinando al Gran Premio d'Italia in una situazione pressoché simile ad allora, con una squadra avviata a vincere tutte le gare del Campionato del Mondo.
All'epoca il team dominante, la McLaren, si riconosceva facilmente dalla livrea bianca e rossa dalla grafica dettata dallo sponsor Marlboro e al volante delle due monoposto c'erano due piloti destinati a entrare nell'olimpo della Formula 1, anche se allora nessuno dei due era ancora diventato campione del mondo: Ayrton Senna e Alain Prost.
Nelle undici gare disputate fino ad allora quell'anno la McLaren nono soltanto aveva sempre vinto, mancando la pole position soltanto una volta, ma aveva sistematicamente umiliato tutti gli avversari, infliggendo distacchi enormi in qualifica – quasi sempre superiori al secondo – e doppiandoli con regolarità disarmante. A Monza la squadra di Ron Dennis arriva con 147 punti all'attivo, 18 in più di quelli raccolti da tutti gli altri avversari, tanto per capire che razza di superiorità aveva dimostrato.
Poche settimane prima, da Maranello era arrivata una notizia tristissima: Enzo Ferrari - colui che nel 1929 aveva fondato la Scuderia più vincente nella storia delle corse e che nel 1947 aveva fatto uscire dalla fabbrica di Via Abetone Inferiore la prima vettura col suo nome, creando un mito nel mondo dell'automobile – era morto, all'età di 90 anni. Per la prima volta, la Ferrari avrebbe affrontato il Gran Premio d'Italia, l'appuntamento più sentito del Mondiale, senza il suo fondatore. Nonostante ci fossero poche speranze di vittoria, l'attesa dei tifosi ferraristi era straordinaria e l'Autodromo di Monza era come sempre gremito di gente, appollaiata sugli alberi e su tribune precarie frutto della tipica arte di arrangiarsi che in Italia non ha mai fatto difetto.
Lo svolgimento del fine settimana non sembrava riservare alcuna sorpresa, con Senna e Prost che pensavano soltanto a lottare l'uno con l'altro. L'unica novità in pista – che era passata del tutto inosservata – fu il debutto con la Williams di un quarantenne francese, Jean-Louis Schlesser, al posto di Nigel Mansell: sarà lui il protagonista involontario di una delle più grandi sorprese della storia della Formula 1.
Sulla griglia di partenza Senna era in pole position, affiancato da Prost. Alle loro spalle i due ferraristi, con Gerhard Berger davanti a Michele Alboreto. Al via Prost scattò meglio ma il brasiliano riuscì a rintuzzare l'attacco e a entrare per primo alla chicane: il duello per la vittoria era sempre cosa loro. Le due Ferrari per una volta non si fecero staccare subito ma contro il passo della McLaren però c'era poco da fare e a metà corsa Senna conduceva con più di 4” di margine su Prost e 19” su Berger, a sua volta seguito dal compagno di squadra. Dal trentesimo giro però il V6 Honda del francese comincia a fare le bizze e così rapidamente Prost perde terreno e vede avvicinarsi Berger, spinto non soltanto dal V12 di Maranello ma dall'entusiasmo di tutta la folla ferrarista. Al giro 35 Prost si fece superare da Berger e poi rientrò ai box: un'occhiata al motore da parte dei meccanici e il ritiro diventò inevitabile. Per Senna la strada sembrava essere spianata ma dal box McLaren arrivavano istruzioni di rallentare e gestire la pressione del turbo, per evitare un cedimento come quello che aveva fermato il compagno di squadra: c'era comunque tanto margine di vantaggio, tanto che a tre giri dalla fine c'erano ancora poco meno di cinque secondi a separarlo da Berger. Né il brasiliano né la McLaren avevano però fatto i conti con Schlesser. Al penultimo giro il francese, che navigava nelle retrovie, si ritrovò alle spalle il leader della corsa mentre affrontava la prima chicane, pronto a doppiarlo: i due si toccarono e Senna finì in testacoda nella sabbia, col motore ammutolito. La folla esplose in un boato di gioia perché quell'incidente significava una doppietta ormai certa per la Ferrari: Berger e Alboreto arrivarono in parata sotto la bandiera a scacchi e un mare di gente invase in fretta la pista per correre al podio per festeggiare il successo più inatteso non solo nella storia della Ferrari ma, probabilmente, in quella della Formula 1. In tanti allora – ma molti continuano a pensarlo – credettero che si fosse realizzato una sorta di disegno superiore per consentire alla Ferrari e a tutti i suoi tifosi di omaggiare nella miglior maniera possibile la memoria del suo fondatore.
Oggi il dominio ha il colore blu della Red Bull ma con una forte impronta arancione, quella che caratterizza la tifoseria di Max Verstappen e che colora in maniera sempre più presente le tribune delle piste di tutto il mondo. La superiorità del pacchetto Red Bull-Verstappen tecnicamente forse non è a livello di quella della McLaren 1988 - che, almeno, offriva lo spettacolo del duello fra i due compagni di squadra - ma è un fatto che, oggi come allora, nessuno sembra in grado di insidiarla. La squadra diretta da Christian Horner sta facendo incetta di record e ha da poco tolto proprio alla McLaren quello dei successi consecutivi, che era stato stabilito proprio nel 1988 e che era stato appunto interrotto a Monza. Succederà la stessa cosa quest'anno? Chi può dirlo, certo è che l'idea di concludere la stagione imbattuti solletica sicuramente la fantasia degli uomini e le donne di Milton Keynes: sarebbe un'impresa straordinaria, ancora di più di quanto non lo sarebbe stata nel 1988 perché nel frattempo le gare sono aumentate (allora furono 16, oggi sei di più) e perché gli avversari sono, come abbiamo detto, meno lontani di quanto non lo fossero allora. Se dovesse accadere di essere sconfitti proprio a Monza, magari dalla stessa Ferrari che correrà in casa, allora forse anche i più scettici sulle coincidenze superiori potrebbero ricredersi…