La storia non si ripete a Interlagos: Hamilton scaccia un incubo
Il 2 novembre 2008 Lewis Hamilton vince il primo dei suoi sette titoli mondiali in Formula 1. Lo fa arrivando al quinto posto nel Gran Premio del Brasile, disputato sul circuito di Interlagos, nei sobborghi di San Paolo, al termine di una delle gare sportivamente più drammatiche della storia di questo sport.
A poco più di un anno di distanza dal Gran Premio del Brasile 2007 (lo abbiamo raccontato qui), Lewis si ripresenta a Interlagos in una situazione molto simile: sono sette le lunghezze di vantaggio su Felipe Massa, gli basta arrivare quinto per essere campione del mondo, anche col brasiliano sul gradino più alto del podio. La McLaren, per contro, dovrebbe recuperare undici punti alla Ferrari per vincere un titolo Costruttori che le sfugge da dieci anni: difficile ma non impossibile.
In qualifica Massa si conferma pressoché imbattibile su questa pista e coglie la sua terza pole position consecutiva in casa. Hamilton è quarto, dietro anche Trulli e Raikkonen. Poco prima del via arriva la pioggia, la partenza viene rinviata di dieci minuti, poi smette, così rapidamente com'era arrivata. Si parte dunque, con le intermedie: Felipe scappa via subito, non lo rivedranno più fino alla bandiera a scacchi. La Ferrari a Interlagos sembra rinata, dopo tutti i guai e le incertezze nel trittico in Estremo Oriente (Singapore, Giappone e Cina) che ha visto Hamilton prendere un vantaggio che sembra decisivo. Raikkonen, sul posto dove dodici mesi prima è diventato campione, è lì per aiutare il compagno di squadra, come ha fatto a Shanghai lasciandolo passare per prendere un paio di punti in più. Il finlandese fa il suo e porta a casa un terzo posto dopo una gara solida e senza errori.
A Felipe non basta, ci vuole che altri si mettano in mezzo fra lui e Hamilton per inseguire il sogno iridato. Uno che farebbe di tutto per fare un altro dispetto all'inglese è Fernando Alonso che, infatti, guida da campione e si prende la seconda posizione una volta tornati alle slick, dopo una manciata di giri, mantenendola quasi ininterrottamente fino alla fine. Velocissimo è anche il più giovane in pista, Sebastian Vettel, che a Monza ha stupito il mondo diventando il più giovane vincitore di Gran Premio con una Toro Rosso, prima e unica vittoria di un team cliente della Ferrari. Il tedeschino dà spettacolo, sia sull'asciutto che sul bagnato – la pioggia ritorna nel finale, tanto per creare ulteriore suspence – e chiude al quarto posto.
Quattro dei cinque posti utili per Hamilton sono quindi assegnati ma lui è rimasto in apparente controllo della situazione per tutta la gara, costantemente subito ai piedi del podio. Mai particolarmente incisivo, mai veramente in difficoltà. Fino all'arrivo della pioggia, al giro 63, prima leggera, poi sempre più insistente. A quel punto le carte si mischiano di nuovo e c'è chi, come il tedesco Timo Glock, sceglie di provare ad arrivare in fondo con le slick: non ha nulla da perdere, la stagione della Toyota è lì, senza infamia e senza lode, chissà che non ci scappi il colpaccio.
Magari succede come prima della partenza, che la pioggia com'è arrivata se ne va. Gli altri, invece, vanno sul sicuro e uno dopo l'altro tornano ai box per rimettere le intermedie. L'ultimo a farlo è Massa, che rientra in pista al giro 67 ancora in testa. Hamilton è ancora quarto, davanti a lui ora c'è quel Glock che continua a navigare bene nonostante le gomme già abbastanza avanti con l'usura e una pista sempre più infida. Due giri dopo e un altro tedesco, Vettel, passa Hamilton e lì scoppia il dramma nel box McLaren, perché ora l'inglese è sesto, non è più campione. Comincia l'ultimo giro, Hamilton è ancora indietro. La pioggia che gli ha scombinato le carte però ora va in suo soccorso perché aumenta d'intensità. Massa, intanto, passa sotto la bandiera a scacchi, il suo l'ha fatto, e in quel momento è campione del mondo. Arrivano, nell'ordine Alonso e Raikkonen. Glock inizia la salita che porta al traguardo ancora al quarto posto ma ormai l'acqua è troppa per le sue gomme, non ce la fa più a tenere la macchina, a spingere il piede sull'acceleratore come vorrebbe. Vettel lo passa e vola al quarto posto. Poi Hamilton fa lo stesso: adesso gli manca solamente di portare la sua McLaren in fondo. I secondi scorrono, quando ne sono passati 38 e 907 millesimi Lewis finisce la sua gara e diventa il più giovane campione del mondo. Al box McLaren si passa dall'incubo al sogno, in quello Ferrari succede l'opposto, anche se lì c'è la soddisfazione per il titolo Costruttori, che per Maranello conta e tanto.
Sul podio, Felipe dà una lezione di sportività al mondo: nei suoi occhi ci sono le lacrime ma anche la consapevolezza che quel giorno lui ha dato tutto, che la squadra ha dato tutto. Il mondiale non l'ha perso quel giorno, quando dopo diciassette gare si finisce secondi per un punto sono mille gli episodi che avrebbero potuto fare la differenza. Sotto il podio la gente della Ferrari vive un momento particolare. C'è uno striscione che recita “Orgoglio Ferrari”, perché è quello il sentimento di chi ha dimostrato di essere la squadra più forte, di avere la macchina migliore. C'è però la tristezza per Felipe e per la gioia di titolo sfuggito in modo così crudele dopo averla assaporata per una manciata di secondi. E anche, chissà, la consapevolezza che un'occasione così, per Felipe, forse non si sarebbe più ripresentata.
Lewis è distante, avvolto dall'Union Jack e dalla gioia della sua squadra. Giustamente. Ha guidato da campionissimo – magari non quel giorno - il titolo lo merita perché questo dice la classifica. L'incubo dell'anno prima è scacciato.
P.S.: c'è un post-scriptum ma lo si scoprirà poco meno di un anno dopo, a Singapore. Non toglierà nulla alla vittoria di Hamilton ma lascerà in Felipe la sensazione, difficile da mandare via, che qualcosa di strano è accaduto. Questa però è un'altra storia, che andrà raccontata quando sarà davvero conclusa.