Kimi Raikkonen, l'ultimo ferrarista iridato | Pirelli

On this week #43: Raikkonen, l'ultimo ferrarista iridato

 

Il 21 ottobre 2007 Kimi Raikkonen conquistava il suo primo e unico titolo mondiale, vincendo il Gran Premio del Brasile, epilogo di una delle stagioni più incredibili e controverse della storia della Formula 1. Lasciando da parte il racconto dell'incredibile spy story che vide protagoniste Ferrari e McLaren – un riepilogo piuttosto approfondito può essere ascoltato qui - il confronto sull'asfalto fra le due scuderie più titolate fu tanto appassionante per i tifosi quanto stressante per chi si affrontava in pista e ai box.

Se è vero che il titolo Costruttori aveva già preso la direzione di Maranello dopo che il Consiglio Mondiale della FIA aveva escluso la McLaren dalla classifica, il titolo Piloti sembrava assolutamente alla portata di uno dei due piloti di Woking. A due gare dalla fine – quelle di Shanghai e Interlagos - Hamilton era nettamente primo con 107 punti, 12 in più del suo compagno Fernando Alonso, peraltro in guerra dichiarata con il team diretto da Ron Dennis, e 17 in più di Raikkonen. In Cina Hamilton sprecò malamente il primo match point, insabbiandosi all'entrata della pit-lane in una gara in cui gli sarebbe bastato arrivare secondo per diventare campione del mondo nell'anno del suo esordio. Kimi vinse la corsa davanti ad Alonso e così tutto si sarebbe deciso all'ultima gara.

Nonostante il KO in Cina, Hamilton rimaneva il netto favorito, l'unico dei tre ad essere padrone del proprio destino. Lo spagnolo avrebbe dovuto vincere e sperare di mettere qualcuno fra sé e Hamilton per fare il tris dopo i titoli 2005 e 2006 ma sapeva la squadra non lo avrebbe certamente aiutato, anzi i suoi possibili alleati erano proprio i ferraristi. Dal canto suo, il finlandese doveva assolutamente vincere e contare su un Alonso non più di terzo e un Hamilton non oltre il sesto posto.

Per Jean Todt e la sua squadra c'era un solo obiettivo, la doppietta: così almeno non ci sarebbero stati rimpianti di sorta. Per il resto, bisognava solamente stare ad osservare cos'avrebbero fatto i due galli nel pollaio McLaren. Già le qualifiche furono tesissime, con piccoli sgarbi fra i contendenti per il titolo e con un Felipe Massa autore di una pole straordinaria. La Ferrari si dimostrò competitiva in ogni condizione e in gara volò via, con Massa a fare da apripista e Raikkonen a distanza di sicurezza prima di superare il compagno di squadra grazie ad un secondo stint leggermente più lungo. Alle loro spalle fu una corsa tanto caotica quanto emozionante.

Hamilton si fece infilare da Kimi e da Alonso alla partenza e, nella furia di recuperare subito, commise un errore alla curva 4 piombando in ottava posizione. L'inglese risalì poi fino alla sesta piazza ma al giro 8 un nuovo colpo di scena: un problema al cambio, le cui cause non furono mai comunicate, lo rallentò vistosamente tanto che si pensava che avrebbe dovuto fermarsi. La sua McLaren riprese vita ma ormai era scivolato al diciottesimo posto: da lì non sarebbe più tornato in una posizione che gli avrebbe consentito di diventare campione, visto che in testa la situazione fra i primi tre era congelata. Inoltre, il suo muretto decise di passare ad una strategia su tre soste, scelta che lo avrebbe ulteriormente penalizzato, anche perché su un tracciato corto come quello di Interlagos il rischio di subire il doppiaggio era più che concreto, come infatti accadde. Quando Raikkonen prese la testa della corsa era virtualmente campione del mondo: bisognava sperare di arrivare in fondo congelando le posizioni di vertice e sperare che non succedesse niente nel pacchetto di piloti che si disputavano le posizioni ai piedi del podio.

Gli ultimi giri furono vissuti col cuore in gola nei box di Ferrari e McLaren: tutti avevano occhi non più per i rispettivi piloti ma per il trio composto da Nick Heidfeld, Robert Kubica e Nico Rosberg che si stava dando battaglia senza esclusione di colpi. Per Hamilton, settimo ma staccato di un giro e senza il passo per riprendere quelli davanti a lui, l'ultima speranza era riposta in un qualsivoglia episodio che potesse metterne fuori gioco almeno due e farlo così salire in quella quinta posizione che gli avrebbe permesso di restare davanti a Raikkonen. Nonostante le “gufate”, i tre piloti “neutrali” non commisero errori irreparabili e arrivarono sani e salvi al traguardo, facendo così scattare la festa nel box di Maranello e piombare nell'incredulità quello di Woking per aver perso un titolo che un mese prima sembrava pressoché certo.

La festa rossa fu però interrotta dopo il podio perché si rese necessaria un'investigazione su un cavillo tecnico relativo alla temperatura della benzina della Williams di Rosberg e delle BMW di Kubica e Heidfeld ma gli Steward decisero che non erano necessari provvedimenti. Fu Stefano Domenicali, allora direttore sportivo della Scuderia, a comunicare alla squadra che si poteva ricominciare a festeggiare quello che – ma in quel momento nessuno l'avrebbe mai pensato – sarebbe rimasto l'ultimo titolo iridato di un pilota Ferrari. La notizia dell'appello presentato dalla McLaren – respinto poi il 15 novembre successivo – non scalfì l'entusiasmo degli uomini in rosso per un successo che fuori da Maranello nessuno più si aspettava.