On this week #38: Juan Pablo Montoya Roldan
Il 20 settembre 1975 nasce a Bogotà (Colombia) Juan Pablo Montoya Roldan, uno dei piloti più grintosi, versatili e spettacolari nella Formula di questo secolo. Già da bambino Juan Pablo era affascinato dal mondo delle corse, anche grazie all'esempio dello zio Diego, che ebbe una discreta carriera nelle gare endurance cogliendo fra l'altro anche un nono posto assoluto nella 24 Ore di Le Mans del 1983. A sei anni fece così il suo esordio nei kart prima di passare alle monoposto e ad iniziare ad attirare l'attenzione a livello internazionale finendo al terzo posto nella Barber Pro Saab Series del 1993. L'anno successivo iniziò la classica avventura in Europa che per i piloti sudamericani rappresenta da sempre la strada obbligata per arrivare al vertice. Montoya la cominciò col piede giusto: terzo posto in Formula Vauxhall britannica nel 1995, secondo nella Formula 3000 nel 1997 e vittoria nella stessa serie l'anno successivo. La sua velocità e la sua aggressività in pista colpirono diversi osservatori ma il più rapido nell'assicurarselo fu Frank Williams, che gli dette nel 1998 un posto da collaudatore in attesa di potergliene dare uno da titolare. Non c'era spazio però per il biennio successivo e così Montoya, pur rimanendo in orbita Williams, decise di cimentarsi nelle serie nordamericane, con un impatto straordinario: titolo in Formula CART nel 1999 e vittoria nella 500 Miglia di Indianapolis nel 2000. Ormai non c'era più modo di tenerlo fuori dalla F1 e Sir Frank gli offrì finalmente il posto che gli spettava, accanto a Ralf Schumacher, a partire dalla stagione 2001.
Il percorso del colombiano nella massima serie fu relativamente breve ma molto intenso, sin dall'inizio. Sono stati soltanto 95 i Gran Premi disputati, di cui sette vinti, ma in molti di essi Montoya ha dimostrato il suo talento e la sua aggressività. Chi non si ricorda i duelli con Michael Schumacher? Brasile 2001, Monza 2003 e Imola 2004 sono Gran Premi spesso ricordati non tanto per il risultato finale quanto per il confronto diretto fra chi stava dominando la scena e quello che era percepito da molti come una specie di ribelle, un usurpatore. Il sorpasso che Montoya rifilò a Michael a Interlagos è rimasto negli occhi di tantissimi tifosi che, all'epoca, pensarono che il pilota della Williams sarebbe stato il grande avversario del ferrarista in quella decade. Invece, Montoya fu in lotta per il titolo soltanto in una stagione, nel 2003, quando era secondo con un solo punto di ritardo da Schumacher con tre gare da disputare ma nel rush finale non riuscì a brillare come avrebbe dovuto. L'anno successivo la Williams non era abbastanza competitiva e, nel frattempo, Montoya aveva maturato la convinzione di cambiare squadra e di cercare finalmente di battere il suo “nemico” preferito, Schumacher, sposando così la stessa ambizione della McLaren, dove avrebbe trovato un compagno di squadra tanto silenzioso quanto veloce, Kimi Raikkonen.
Il 2005 sembrava essere l'anno giusto: Schumacher e la Ferrari in difficoltà, una McLaren molto competitiva ma c'era un terzo incomodo, Fernando Alonso. Montoya faticò ad adattarsi alla nuova squadra e divenne competitivo solamente nella seconda parte della stagione, quando però era chiaro che l'avversario dello spagnolo della Renault era Raikkonen. Il colombiano vinse sì due gare ma non fu mai in lotta per il titolo. E peggio ancora andò nel 2006, quando la McLaren orfana di Adrian Newey si perse per strada. I dissapori con la squadra crebbero in maniera rapidissima – un infortunio un po' misterioso gli fece saltare due gare – e il contratto fu risolto ancor prima della fine del campionato, quando Montoya aveva ormai tirato i remi in barca pensando già al ritorno negli USA.
Il ritorno sull'altra sponda dell'Oceano Atlantico rivitalizzò la carriera del colombiano. Montoya divenne il primo pilota non a stelle e strisce ad imporsi in gare della NASCAR e poi si dedicò sempre più alle gare di durata, vincendo per ben tre volte (2007, 2008 e 2013) la 24 Ore di Daytona oltre al campionato IMSA nel 2019. Soprattutto, Montoya si tolse lo sfizio di vincere per la seconda volta nella sua carriera la 500 Miglia di Indianapolis, nel 2015, anno in cui arrivò al secondo posto nella classifica della IndyCar Series a pari punti con Scott Dixon: soltanto un numero inferiore di vittorie (due contro tre) gli impedì di fregiarsi del titolo.
Oggi Montoya si vede molto più spesso sulle piste dove si svolgono i Gran Premi: non più dentro una monoposto a battagliare ruota a ruota con i colleghi ma al fianco del figlio Sebastian, che tenta di seguire le orme del padre. Per ora, la strada è in salita – il miglior risultato del diciannovenne nato a Miami è il terzo posto nella Feature Race di Formula 3 quest'anno a Spa – ma siamo sicuri che se ha ereditato soltanto la metà della grinta del padre ci sarà ancora tempo per crescere e, chissà, arrivare ad avere un altro Montoya in Formula 1.