On this week #36: Karl Jochen Rindt | Pirelli

On this week #36: Karl Jochen Rindt

 

Il 5 settembre 1970 moriva a Monza, durante la sessione di qualifiche del sabato del Gran Premio d'Italia, Karl Jochen Rindt, unico campione del mondo postumo nella storia della Formula 1.

Nato a Magonza, in Germania, il 18 aprile 1942 da padre tedesco e madre austriaca, nel 1943 il piccolo Jochen perse entrambi i genitori vittime di un bombardamento aereo ad Amburgo e venne così cresciuto dai nonni materni a Graz, in Austria. Sin da bambino ebbe una grande passione per la velocità e quando ottenne il diploma alle scuole superiori i nonni gli regalarono una Simca Aronde Montlhery con cui iniziò a cimentarsi nelle corse automobilistiche dopo quelle sugli sci e sulle moto che avevano caratterizzato la sua adolescenza. Il suo idolo era il Conte Wolfgang von Trips, la cui tragica fine sulla sopraelevata di Monza nel Gran Premio d'Italia1961 non scalfì il suo entusiasmo: piuttosto, fu un segno del destino ma questo, ovviamente, il diciannovenne austriaco non poteva nemmeno immaginarlo.

Dalle prime gare nel Turismo con un'Alfa Giulietta TI al debutto in Formula Junior e, in Formula 1 nel 1963, nella prima edizione del Gran Premio d'Austria a Zeltweg, non valida per il Mondiale, Rindt si dimostrò subito veloce, irruento, aggressivo in pista e sicuro di sé fuori, fin quasi ad essere arrogante. Nel 1964 investì nel suo futuro da pilota e si comprò una Brabham di Formula 2 per correre in Inghilterra, l'università del motorsport. Si fece subito notare, battagliando e, spesso, battendo piloti del calibro di Graham Hill e Jackie Stewart. Inevitabile un ingaggio per correre in Formula 1 - quello stesso anno esordì in Austria con la Brabham qualificandosi al tredicesimo posto ma fu costretto al ritiro poco dopo metà gara – anche se continuò, come accadeva all'epoca, anche successivamente a correre in Formula 2.

Nel 1965 firmò un contratto triennale con la Cooper ma la soddisfazione più grande di quell'anno arrivò grazie ad una macchina italiana. In coppia con Masten Gregory, Rindt corse la 24 Ore di Le Mans per il team North American Racing alternandosi al volante di una Ferrari 250 LM e trionfò in una tripletta ferrarista per quello che sarebbe stato l'ultimo successo assoluto della casa di Maranello a Le Mans fino al 2023. Molta meno fortuna l'austriaco ebbe con la Cooper nella massima serie, una monoposto che non era competitiva per lottare coi migliori. In tre anni Rindt riuscì a salire sul podio tre volte, tutte nel 1966, anno in cui riuscì comunque a classificarsi al terzo posto nel campionato Piloti.

II 1967 lo vide vincere a ripetizione in Formula 2 (nove successi) ma, soprattutto, sposare una modella finlandese – Nina Lincoln – che sarebbe diventata una stella del paddock, spesso fotografata mentre era intenta a raccogliere i tempi sul giro del marito, ed emblema del glamour delle corse automobilistiche in un mondo, quello della fine degli anni Sessanta, in velocissima trasformazione soprattutto per quello che riguardava i costumi. Stufatosi della Cooper, Rindt nel 1968 passò alla Brabham: vettura molto veloce ma quanto ad affidabilità un disastro: in 13 Gran Premi due pole position e due piazzamenti sul podio nelle uniche due gare in cui riuscì a vedere la bandiera a scacchi.

Nel 1969 Rindt fu chiamato da Colin Chapman ad affiancare Graham Hill, campione in carica, alla Lotus e, in breve, si dimostrò più veloce dell'illustre compagno di squadra. La monoposto era tanto veloce quanto fragile, soprattutto in quelle appendici aerodinamiche che iniziavano ad affermarsi in Formula. In Spagna, sul circuito del Montjuich a Barcellona, l'ala posteriore cedette prima sulla monoposto di Hill e poi su quella di Rindt, provocando un doppio incidente in cui l'austriaco riportò una commozione cerebrale e la frattura della mascella. Nonostante le critiche al patron e fondatore della squadra, Rindt continuò a correre con la squadra inglese e, prima della fine della stagione, colse finalmente il primo successo, vincendo a Watkins Glen il Gran Premio degli USA.

L'inizio della stagione successiva vide ancora protagonista la Lotus 49, in attesa di rendere affidabile quella monoposto, la Lotus 72, che avrebbe dato un'impronta ad una generazione di vetture di Formula 1. A Monte Carlo, terzo Gran Premio dell'anno, Rindt colse un successo incredibile: prima sfruttò i ritiri altrui per risalire in seconda posizione ma poi si rese protagonista di un furioso inseguimento al leader Jack Brabham, inducendolo all'errore proprio all'ultimo giro. Col debutto della nuova monoposto, non ci fu più storia: quattro vittorie consecutive portarono Rindt in fuga nel mondiale alla vigilia del Gran Premio d'Austria che tornava quell'anno nel calendario iridato. Nel frattempo, due colleghi ma, soprattutto, due amici se n'erano andati, vittima della stessa passione per le corse: Piers Courage in Olanda nel corso del Gran Premio, Bruce McLaren a Goodwood in occasione di un test privato. Rindt ormai cominciava a pensare al ritiro, a passare la vita con Nina e la piccola Natasha ma c'era da finire un compito. Nella gara di casa lo tradì il motore dopo 21 giri ma a Monza si poteva chiudere il discorso: venti i punti di vantaggio sul più immediato inseguitore, Brabham, venticinque su Hulme e ventisei su Ickx e Stewart. Un cedimento meccanico (peraltro mai dimostrato con certezza assoluta) alla Parabolica – più o meno il punto fatale a von Trips nove anni prima – fece volare la sua Lotus contro le barriere di protezione, spezzandola in due. La situazione apparve subito disperata ai primi soccorritori, fra cui l'amico Bernie Ecclestone, e Rindt spirò durante il trasporto in ospedale.

L'impressione suscitata dalla sua tragica fine fu enorme, anche perché Rindt era diventato un personaggio che aveva travalicato le cronache sportive. Anche la sua storia agonistica andò oltre la sua morte. Mancavano quattro gare alla fine della stagione ma nessuno riuscì a superarlo: Ickx ci andò vicino ma il quarto posto a Watkins Glen, vinto da quell'Emerson Fittipaldi che aveva sostituito Rindt alla Lotus, dette il titolo iridato all'austriaco con una gara d'anticipo.

Il 17 novembre, alla sede della FISA a Place de la Concorde a Parigi, il trofeo che spettava al campione del mondo fu consegnato a Nina da Jackie Stewart, che con Jochen aveva iniziato a lottare per rendere la sicurezza in pista una priorità, facendo sentire sempre più forte la voce dei piloti. Una battaglia che, nei decenni, ha portato a miglioramenti enormi ma non ad eliminare definitivamente quell'elemento di rischio che fa parte del DNA di questo sport e che, inevitabilmente, rende i suoi principali protagonisti, i piloti, speciali, per molti degli eroi. Rindt era uno di loro.

Nella sua breve carriera in Formula 1, Rindt disputò 60 Gran Premi. Sei le vittorie, dieci le pole position e tredici i piazzamenti complessivi sul podio, con ben 37 ritiri.