On this week #33: Nelson Piquet | Pirelli

On this week #33: Nelson Piquet

 

Il 17 agosto 1952 nasce a Rio de Janeiro Nelson Piquet. Campione del mondo di Formula 1 per ben tre volte – 1981, 1983 e 1987 – il brasiliano fa parte di un quartetto di piloti – con lui Alain Prost, Ayrton Senna e Nigel Mansell, che avrebbero segnato con le loro imprese e la loro accesa rivalità più di un decennio di storia della massima competizione automobilistica.

Figlio di un uomo politico – Estacio Gonçalves Souto Maior fu ministro della salute dal 1961 al 1964 – Nelson fu indirizzato dalla famiglia verso il tennis, sport in cui dimostrò un grande talento da adolescente, tanto che a 16 anni fu mandato in una scuola specifica in California. Nel frattempo, però un certo Emerson Fittipaldi infiammava gli appassionati brasiliani e il giovane Nelson cominciò a preferire sempre di più le corse rispetto alla racchetta, iniziando a mettersi in luce nei kart e nelle gare con vetture Sport utilizzando il cognome della madre, Piquet. Di nuovo, il padre tentò di indirizzarne la crescita facendogli frequentare la facoltà di ingegneria all'università e negandogli ogni supporto economico per le sue velleità sportive ma anche questa volta senza grande successo. Seguendo il consiglio di Fittipaldi, il giovane Nelson trovò i soldi – lavorando in un garage e vendendo la sua automobile - per finanziarsi la carriera in Brasile – nel 1977 riuscì vincere il campionato nella Formula Vee locale – e poi tentare l'avventura in Inghilterra, dove col suo talento avrebbe potuto trovare l'opportunità di crescere. 

 

Il 1978 vide il brasiliano vincere il titolo e battere il record di vittorie di Jackie Stewart in una delle due serie della F3 britannica (13 successi su 26 gare) e finire al secondo posto nell'altra. Le sue imprese attirarono l'attenzione di diverse squadre di Formula 1 che gli offrirono la possibilità di debuttare già in quella stagione. L'esordio avvenne a Hockenheim con una Ensign, poi corse due volte con una McLaren privata prima che Bernie Ecclestone, allora boss della Brabham, lo ingaggiasse come potenziale erede di Niki Lauda, facendogli correre un paio di Gran Premi con una terza vettura. L'anno successivo Piquet fu quindi titolare nel team motorizzato Alfa Romeo accanto all'austriaco: un'ottima scuola per la sua prima stagione vera, accompagnata dalla possibilità di lavorare vicino ad un genio dell'ingegneria come Gordon Murray

 

I frutti s'iniziarono a vedere nel 1980, quando Piquet portò tre volte al successo e due in pole position– impietoso il confronto con i compagni di squadra, prima l'argentino Ricardo Zunino e poi il messicano Hector Rebaque: in due raccolsero solamente un punto contro i 54 del brasiliano - la monoposto ora dotata di un propulsore Ford-Cosworth e, ancora di più, nel 1981, quando grazie ad altri tre successi e a diversi piazzamenti, riuscì a laurearsi campione del mondo per la prima volta. Nella stagione la Williams si era dimostrata la vettura più competitiva ma la faida interna fra i suoi piloti – l'australiano Alan Jones, campione in carica ma in procinto di ritirarsi, e l'argentino Carlos Reutemann – favorì la prima guida della Brabham, che riuscì a prevalere di un solo punto sull'avversario sudamericano (50 a 49) mentre la Williams vinse il titolo costruttori con ben 34 lunghezze di vantaggio sulla Brabham. All'ultima gara, nel parcheggio del Caesars Palace di Las Vegas, tre piloti arrivarono ancora in lizza per il titolo: oltre ai due sudamericani, anche Jacques Laffite aveva la possibilità di diventare campione del mondo. Un esausto Piquet terminò al quinto posto proprio davanti a Laffite mentre un Reutemann in piena crisi non riuscì nemmeno a finire in zona punti per la seconda gara consecutiva, vedendosi sfuggire dalle mani un titolo che sembrava suo a due gare dalla fine, per la gioia di Jones che chiuse la sua carriera con una vittoria.

 

Nel 1982 la Brabham passò al motore turbo BMW, potentissimo ma ancora poco affidabile e il brasiliano, col numero 1 sulla monoposto, fu in grado di vincere soltanto una gara, in Canada, che peraltro considera come una delle sue vittorie più belle. L'anno successivo i tedeschi fecero un passo avanti fondamentale in termini di affidabilità e Piquet tornò a lottare per il titolo. Anche quell'anno fu una lotta a tre, con due francesi – Alain Prost con la Renault e René Arnoux con la Ferrari – decisi a portare in Francia per la prima volta il titolo Piloti. Piquet vinse la prima gara della stagione a casa sua a Rio de Janeiro ma poi dovette aspettare Monza per tornare al successo. Ancora un successo a Brands Hatch nella penultima gara e poi lo showdown finale, stavolta a Kyalami, in Sudafrica. L'affidabilità mise KO prima Arnoux e poi Prost così a Piquet bastava finire al quarto posto per rivincere il titolo iridato, missione portata a termine senza grandi patemi anzi salendo pure sul terzo gradino del podio. Semmai, i brividi vennero nelle settimane successive, quando il patron Bernie Ecclestone dovette ammettere che la benzina usata durante la stagione non era esattamente regolare ma nessuno ebbe il coraggio di fare un vero reclamo per ottenere la squalifica della squadra che aveva portato Piquet al titolo, una situazione non certo rara nel mondo della Formula 1, prima e dopo quell'anno. Il rapporto di Piquet con la Brabham durò altre due stagioni ma poi si esaurì, sia perché la competitività del pacchetto non era più al massimo livello sia perché il brasiliano si fece via via più desideroso di monetizzare i suoi successi, mettendosi così in posizione di conflitto con Ecclestone, per finanziare un tenore di vita sempre più elevato che lo fece diventare un personaggio del jet-set. Ciononostante, Piquet vinse altre tre gare, fra cui quel Gran Premio di Francia del 1985 che segnò il ritorno alla vittoria della Pirelli in Formula 1, interrompendo un digiuno che durava dal 1957.

 

Alla fine del 1985, Piquet accettò un'offerta molto lucrosa da parte di Frank Williams e cambiò squadra, iniziando un biennio di lotta senza esclusione di colpi con il compagno di squadra, Nigel Mansell. Il primo anno la guerra intestina costò alla Williams un altro titolo iridato, anche se nell'ultima gara ad Adelaide tecnicamente furono le gomme ad impedire al brasiliano e all'inglese di difendersi da Prost ma nel 1987 Piquet riuscì a prevalere sul compagno di squadra grazie ad una maggior regolarità, pur vincendo la metà delle gare (tre contro sei) rispetto a Mansell. Fu quello il punto più alto della carriera del brasiliano, che a fine stagione passò alla Lotus, dove però non riuscì a brillare anche a causa di una vettura non certamente molto competitiva. Nel 1990 raccolse la sfida della Benetton che lo ingaggiò con un contratto particolare: 50.000 dollari a punto e 100.000 per vittoria: su 16 Gran Premi Piquet rimase a secco solamente tre volte e nelle ultime due gare colse due vittorie (Giappone e Australia) che rimpinguarono le sue finanze, facendogli terminare il campionato al terzo posto alle spalle di Senna e Prost, i veri protagonisti di quella stagione.

 

Il 1991 fu più difficile e soltanto a Montreal, al termine di una gara a dir poco rocambolesca, Piquet riuscì a vincere, beffando uno dei suoi nemici più acerrimi, Mansell, che si fermò improvvisamente a pochi chilometri dal traguardo. Fu la ventitreesima e ultima vittoria del brasiliano, che cominciava a non avere più il fuoco sacro della passione a motivarlo. Il colpo di grazia glielo diede un giovanissimo e fino ad allora semisconosciuto tedesco che arrivò alla Benetton nelle ultime cinque gare e regolarmente lo batté in qualifica: Michael Schumacher.
Nel gennaio 1992 annunciò il suo ritiro dalla Formula 1 ma la voglia di correre gli fece provare l'avventura della 500 Miglia di Indianapolis. Debuttò nelle qualifiche quello stesso anno ma uno spaventoso incidente gli provocò gravi ferite alle gambe che gli impedirono di correre. Ci riprovò l'anno successivo e riuscì a prendere il via della gara ma dopo 38 giri dovette ritirarsi per problemi al motore. Da lì in avanti, fece qualche gara con vetture Sport ma si dedicò principalmente agli affari e alla carriera del figlio Nelsinho, con cui ebbe la gioia di vincere nel 2006 la Mille Miglia di Interlagos in un equipaggio di cui facevano parte anche Christophe Bouchut e Helio Castroneves.

Nel suo palmarès in Formula 1 oltre ai tre titoli iridati e alle 23 vittorie figurano 24 pole position e 60 piazzamenti sul podio in 204 Gran Premi disputati.