On this week #32: Nigel Mansell | Pirelli

On this week #32: Nigel Mansell

 

L'8 agosto 1953 nasce ad Upton-upon-Severn Nigel Mansell. Campione del mondo di Formula 1 nel 1992, Mansell è stato uno dei piloti che più ha entusiasmato gli appassionati per la sua irruenza, la sua determinazione e lo spettacolo che regalava in pista e, al tempo stesso, capace di dividere la critica e di irritare molti, dagli avversari ai compagni di squadra.

Mansell arrivò in Formula 1 dopo un percorso piuttosto tribolato – lasciò un lavoro come ingegnere spaziale e vendette tutti i suoi beni per finanziarsi l'avventura nella Formula Ford britannica - e contrassegnato da alcuni incidenti che ne misero a rischio non soltanto il proseguimento della carriera ma anche la sua stessa integrità fisica. La sua aggressività in pista in Formula 3 attrasse l'attenzione di Colin Chapman, che nel 1979 gli offrì la possibilità di partecipare a un test organizzato dalla Lotus per individuare il potenziale sostituto di Carlos Reutemann l'anno successivo, destinato a lasciare la squadra. Il posto se lo aggiudicò Elio de Angelis ma Nigel riuscì ad ottenere il ruolo di test driver. Nel 1980 l'inglese fece il suo debutto nella massima serie nel Gran Premio d'Austria in cui fu costretto al ritiro per il cedimento del motore: una perdita di benzina nell'abitacolo gli provocò delle serie ustioni alle natiche.
Il rapporto con Chapman si consolidò velocemente e l'improvvisa scomparsa, nel 1982, del geniale fondatore della Lotus lo lasciò devastato. Lasciò la squadra nel 1984 dopo averci corso 59 volte: furono molti di più gli incidenti che i piazzamenti a punti e il miglior risultato fu il terzo posto, ottenuto in cinque Gran Premi. 

 

Nel 1985 iniziò la sua storia con la Williams motorizzata Honda, la squadra che gli avrebbe dato la gloria ma non subito. Dovette attendere altre tredici gare prima di assaporare la gioia del successo: a Brands Hatch, dove quell'anno si disputò il Gran Premio d'Europa, Mansell salì finalmente sul gradino più alto del podio dove poté dar sfogo alla sua emozione tra le lacrime. Da lì in avanti iniziò un periodo incredibile, con undici vittorie in due stagioni: nessuno fu in grado di far meglio di lui. Eppure, né nel 1986 né l'anno successivo Mansell riuscì a conquistare il titolo iridato. Il primo anno l'inglese arrivò all'ultima gara ad Adelaide (Australia) con sei punti di vantaggio su Alain Prost (McLaren) e sette sul suo compagno di squadra Nelson Piquet, con cui i rapporti non erano esattamente idilliaci, per usare un eufemismo. Mansell era terzo quando a 18 giri dalla fine esplose uno pneumatico e così lasciò via libera a Prost che si aggiudicò il primo titolo iridato. L'anno successivo, la coppia Piquet-Mansell arrivò a Suzuka, penultima gara, con l'inglese che avrebbe dovuto vincere sia sulla pista di casa della Honda e poi ad Adelaide per superare il compagno di squadra: un incidente nella prima sessione di qualifica del venerdì gli provocò una lesione alla schiena che lo mise fuori causa per il finale del campionato, dando il titolo all'odiato brasiliano, che lo definì con garbo “una testa di legno non istruita”. Di quell'anno restò nella memoria la gara di Silverstone, che divenne presto un duello fra i due. Prima di metà gara Mansell scelse di fare un pit-stop per montare gomme nuove quando si trovava alle spalle del brasiliano che, invece, optò per rimanere in pista fino alla fine. La rimonta dell'inglese fu impressionante e, a due giri dalla fine, arrivò il sorpasso decisivo

 

Poco dopo la bandiera a scacchi la Williams di Mansell si fermò lungo la pista e la folla osannante lo circondò per festeggiarlo: si pensava che avesse finito la benzina, in realtà aveva ceduto il motore Honda spinto oltre il limite nel tentativo di andare a prendere Piquet. La Honda non gradì molto, anche perché già in precedenza la casa giapponese non era rimasta favorevolmente colpita – anche qui, un eufemismo – dal comportamento di Mansell e dal modo in cui la squadra stava gestendo la rivalità interna, già costata nei fatti il titolo 1986. Così a fine stagione si consumò un divorzio inaspettato, con la Honda che si accasò con la McLaren dove, nel frattempo, era approdato Ayrton Senna, mentre Piquet andò alla Lotus, dove trovò un compagno di squadra certamente più gestibile come Satoru Nakajima ma, soprattutto, il propulsore Honda. A Frank Williams e al DT Patrick Head rimase Mansell mentre come motore si dovettero accontentare del Judd.

Su 14 Gran Premi corsi nel 1988 Mansell vide la bandiera a scacchi solamente due volte, peraltro terminando in entrambi i casi al secondo posto. Era tempo di cambiare aria e, una volta presentatasi l'opportunità di passare alla Ferrari, non se la fece scappare
Il debutto con la Rossa fu fulminante. A Rio de Janeiro Mansell portò al successo la prima monoposto, la F1-89, con il cambio elettroattuato coi comandi al volante, un'impresa storica. Da lì seguirono quattro ritiri consecutivi e una squalifica prima di una serie di piazzamenti sul podio culminata con la straordinaria vittoria all'Hungaroring, condita da un epico sorpasso su Senna. Per chiudere l'anno, un'altra serie di quattro gare a secco, fra ritiri e incidenti.

A Maranello sotto la guida di Cesare Fiorio si puntava al titolo iridato ma, per riuscirci, fu ingaggiato Alain Prost, reduce dalla vittoriosa guerra con Senna in McLaren. Prost si portò in dote il numero 1 sulla sua monoposto e, teoricamente, anche come status interno, cosa che non poteva certamente andare già a Mansell. Nonostante l'inglese fosse in fretta diventato un beniamino dei tifosi, i rapporti interni si logorarono rapidamente, tanto che a Silverstone Mansell annunciò che si sarebbe ritirato al termine del campionato. Lo showdown in casa Ferrari si materializzò all'Estoril. Sulla griglia Mansell era in pole con Prost al suo fianco e Senna, con cui il francese si stava giocando ancora una volta il titolo iridato, in terza posizione. Al via Mansell non si preoccupò minimamente di proteggersi dal brasiliano ma sterzò visibilmente verso destra per chiudere la porta in faccia a Prost, col risultato che Senna passò in testa. È vero che poi Mansell si riprese la prima posizione e vinse la gara ma Prost non riuscì più a sopravanzare il rivale per il titolo. La corsa si era ormai spezzata e le strade di Mansell e della Ferrari si separarono: la squadra italiana strappò un giovane rampante francese, Jean Alesi, alla Williams, dove fece ritorno l'inglese, una volta ravvedutosi in merito all'ipotesi di ritiro.

Il 1991 vide Mansell tornare con una certa regolarità al successo con la monoposto di Frank Williams ora motorizzata Renault ma la McLaren-Honda di Senna era troppo superiore, soprattutto in termini di affidabilità. Ben diversa fu la stagione successiva. La macchina progettata a Didcot, la FW14B, era un gioiello pressoché imbattibile, sfruttando al meglio la superiorità data dalle sospensioni attive oltre che da un propulsore: dieci vittorie su 16 Gran Premi, con nove dei successi firmati Mansell. Finalmente, il Leone poté coronare il sogno di diventare campione del mondo ma ciò non addolcì il suo carattere, tanto è vero che poco dopo la conquista del titolo iridato annunciò nuovamente il ritiro, irritato anche per la prospettiva di ritrovarsi Alain Prost come compagno di squadra nel 1993, il cui arrivo era sponsorizzato dalla Regie. Nonostante gli sforzi di Frank Williams e Patrick Head, Mansell lasciò il team e iniziò una nuova avventura negli USA, dove riuscì a conquistare al suo esordio il titolo nel campionato CART con il team Newman-Haas nel 1993. Il carattere spigoloso si fece sentire anche negli States – Mario Andretti lo definì “il peggiore compagno di squadra che abbia mai avuto” – e nel 1994 la monoposto non era altrettanto competitiva. 

In Europa, intanto, la tragedia di Imola aveva presto interrotto il percorso di Senna con la Williams e la vecchia squadra chiese aiuto nel finale di stagione per provare ad aiutare il giovane Damon Hill a vincere il duello con Michael Schumacher. Il compito non riuscì ma Mansell riprovò il gusto del successo vincendo l'ultima gara ad Adelaide, dopo che i due contendenti per il titolo si erano autoeliminati. A 41 anni suonati, per la terza volta Mansell disse addio alla Williams per accettare una nuova sfida in una McLaren da poco totalmente rinnovata con l'arrivo della partnership con la Mercedes ma la nuova avventura iniziò col piede sbagliato – Mansell non riusciva ad essere a suo agio nell'abitacolo della monoposto, troppo stretto – e si chiuse dopo due soli Gran Premi disputati. Fu quello il vero passo d'addio di Mansell alle corse, anche se in seguito ci furono sporadiche apparizioni soprattutto con vetture a ruote coperte. Si è ritirato da uomo ricco, gestendo diverse attività commerciali, tra cui una concessionaria Ferrari e un club di golf e country club (giocava a golf a livello professionale) e facendo la bella vita con la moglie Rosanne e i loro tre figli.

 

In totale, Mansell ha corso 187 Gran Premi, vincendone 31 e ottenendo 32 pole position e 59 piazzamenti sul podio. Se non ci fossero stati ben 92 ritiri (quasi la metà delle gare disputate) il suo palmarès avrebbe potuto essere molto più ricco: non tutti furono ovviamente colpa sua ma sicuramente non è un pilota passato alla storia per la sua capacità di gestione delle corse. O la va o la spacca: per il Leone c'è sempre stata una sola alternativa.