On this week #29: il GP di Francia del 2002
Il 21 luglio 2002 Michael Schumacher vinse il Gran Premio di Francia e, grazie a questo successo, si laureò campione del mondo di Formula 1 per la quinta volta, la terza consecutiva: non era mai accaduto che un pilota si aggiudicasse il titolo iridato dopo sole undici gare (con ancora sei Gran Premi da disputare…) e così presto nella stagione, primati che non sono ancora stati migliorati.
Sull'onda di sette successi e altri tre piazzamenti sul podio su dieci Gran Premi, Schumacher era arrivato a Magny-Cours con un vantaggio enorme (54 punti; allora era in vigore un sistema di punteggio che assegnava punti solo ai primi sei classificati, secondo una scala 10-6-4-3-2-1, n.d.r.) sul più immediato inseguitore, il compagno di squadra Rubens Barrichello, con Juan Pablo Montoya e il fratello Ralf ancora più indietro, rispettivamente di una e due lunghezze. Il titolo era questione soltanto di tempo, anche se a Maranello ufficialmente non se ne voleva minimamente sentire parlare. In qualifica, soltanto la Williams di Montoya era riuscita a sopravanzare i due ferraristi, una circostanza che quell'anno era già accaduta diverse volte: in gara però la superiorità della Ferrari e, soprattutto, di Schumacher era stata quasi sempre stata inattaccabile.
Prima ancora della partenza ci fu già un colpo di scena, con la monoposto di Barrichello che non riuscì a mettersi in moto per il giro di formazione costringendo il brasiliano al ritiro e mettendo fuori gioco uno dei tre piloti che, teoricamente, potevano ancora ambire al titolo. Nei primissimi giri ci fu un po' di lotta fra il leader Montoya e gli inseguitori Schumacher e Raikkonen ma poi la situazione si stabilizzò fino alla prima serie di pit-stop. Il tedesco riuscì a prendere il comando della corsa ma, nel rientrare in pista dopo la sosta, mise una gomma oltre la linea bianca che delimitava la corsia d'uscita dalla pit-lane e si ritrovò sotto la minaccia di una penalità: un errore banale che sembrava però in grado di vanificare le chance di chiudere la faccenda mondiale quella domenica.
Michael e il muretto, consapevoli del rischio, decisero di provare a sfruttare la pista libera e cercare di accumulare così un vantaggio tale da compensare, l'eventuale penalità: obiettivo parzialmente centrato perché il drive-through, effettuato al giro 35, fece comunque scivolare il ferrarista alle spalle di Raikkonen, anche se per pochissimo, e di Montoya, che era così tornato al comando. Qui entrò in gioco per la prima volta la Toyota di Allan McNish: nel tentativo di doppiarla Kimi lasciò uno spiraglio a Michael che provò ad infilarsi, rintuzzato però dal finlandese: il ruolo della vettura giapponese sarebbe risultato decisivo.
La seconda serie dei pit-stop fu nuovamente condita da penalità legate all'attraversamento della linea bianca all'uscita: ne furono vittima prima Montoya e poi anche David Coulthard, che buttò al vento così le sue chance per un'inaspettata vittoria. Al comando si ritrovò così Raikkonen, ancora a caccia del suo primo successo in F1, braccato da Michael che a sua volta aveva bisogno della vittoria per vincere il titolo.
Poteva aspettare Michael. Una sola settimana e avrebbe avuto l'opportunità di vincere il titolo a Hockenheim, a casa sua, su una pista dove con la Rossa non aveva mai trionfato. E, forse, il pensiero di rimandare i festeggiamenti se l'era fatto venire, quando aveva notato che Raikkonen sembrava gestire la situazione con sicurezza, e così si era limitato a riportarsi nella scia del finlandese ma senza provare a forzare la situazione. Ed ecco che tornò in scena la Toyota di McNish che, già doppiata, pensò bene di cominciare a perdere olio dal motore fino a bloccarsi nella via di fuga al tornante Adelaide. Mancavano sei giri alla fine: quando Kimi arrivò alla staccata e premette il pedale del freno, la sua McLaren non obbedì e finì larga aprendo la strada al suo inseguitore. “C'erano le bandiere gialle, ma ovviamente non quelle per l'olio o per il circuito scivoloso” – spiegò Raikkonen dopo la gara con la laconicità che lo avrebbe contraddistinto per tutta la carriera – “Credo che una Toyota o qualcosa del genere abbia fatto esplodere il motore o che ci fosse qualcosa, solo olio, e ho bloccato la ruota anteriore, l'anteriore destra, e Michael mi ha superato”.
Peraltro, anche il tedesco rischiò di fare la sua stessa fine ma riuscì a tenere la sua Ferrari in carreggiata e a passare in testa, inseguito dal finlandese che era nel frattempo rientrato in pista. Si trattava di restarci fino alla fine, ancora poco più di una ventina di chilometri. “Quando sono passato in testa e sapevo che potevo diventare campione, questi sono stati probabilmente i cinque giri peggiori della mia carriera” – raccontò poi Michael – “All'improvviso ho sentito il peso di non poter commettere errori. Non sono mai stato bravo a trovare le parole giuste in questi momenti. Mi ha sopraffatto. Per tutto il weekend non ho creduto che avrei vinto qui, quindi, non avevo sentito alcuna pressione in precedenza. Mi dispiace per Kimi perché aveva fatto davvero una bella gara. Scivolare sull'olio non è una cosa che dipende dall'esperienza o dall'inesperienza. È capitato a lui, ma poteva succedere a chiunque. D'altra parte, non posso dire di averlo superato: lui era praticamente fuori pista e io ho semplicemente mantenuto la mia traiettoria”.
Quegli ultimi giri furono interminabili anche per tutta la Ferrari, che aveva cominciato ad assaporare il gusto di una nuova impresa man mano che si avvicinava il traguardo. Poi iniziò la festa, guastata per un poco da un reclamo della McLaren – che voleva che Michael fosse penalizzato per aver superato Kimi quando erano esposte le bandiere gialle – ma l'unico effetto fu quello di ritardare l'arrivo di Luca di Montezemolo in pista: il presidente della Ferrari era già arrivato a Magny-Cours ma non volle farsi vedere prima che il risultato della corsa fosse confermato ufficialmente. Certamente il piccolo villaggio nel centro della Francia non era proprio il luogo ideale per celebrare un titolo iridato che consentiva a Michael di eguagliare Juan Manuel Fangio in testa alla classifica dei pluricampioni del mondo ma la gioia era tanta che fu sufficiente trovare uno spazio idoneo ad accogliere tutta la squadra per dare il via ai festeggiamenti. Solo per una notte, però, perché la settimana dopo si tornava in pista e c'era ancora un titolo Costruttori da vincere. Mai accontentarsi, mai ritenersi arrivati: quello era il segreto di una squadra che, nella storia del Cavallino Rampante, avrebbe continuato a vincere ancora qualche anno ma poi, una volta iniziata a disperdersi, non si è mai più rivista.