On this week #28: L'eredità di Alberto Ascari
Il 13 luglio 1918 nasce a Milano Alberto Ascari, campione del mondo Piloti nel 1952 e nel 1953. Il suo nome è nella storia dell'automobilismo sportivo, sia per i risultati che per un destino tragico che lo accompagnò sin dall'infanzia. Quando Alberto aveva infatti solamente sette anni, il padre Antonio, famoso pilota di automobili da corsa, perse la vita in un incidente, le cui cause non furono mai chiarite, durante il Gran Premio di Francia sul circuito di Montlhery. Lo shock per la prematura perdita non spaventò Alberto, che già da bambino si era trovato a frequentare l'ambiente delle corse, a due e a quattro ruote, dove ebbe a conoscere anche Enzo Ferrari, intimo amico di suo padre. A diciannove anni si trovò un ingaggio con la squadra Bianchi di motociclismo mentre nel 1940 debuttò nella Mille Miglia, insieme al cugino Giovanni Minozzi, con una Auto Avio Tipo 815, la progenitrice delle Ferrari.
Poche settimane dopo, l'entrata in guerra dell'Italia mise in pausa l'attività sportiva di Alberto, che doveva occuparsi delle attività di famiglia, la fiorente concessionaria e officina FIAT Ascari di Milano e una società di trasporti per l'esercito italiano in Nordafrica, in cui era socio di Luigi Villoresi. Alla fine del secondo conflitto mondiale fu proprio quest'ultimo a convincerlo a riprendere a correre e, insieme, nel 1949 divennero compagni di squadra nella Scuderia di Enzo Ferrari. Nel frattempo, Alberto aveva messo su famiglia, sposando Mietta che gli dette due figli, Patrizia e Antonio.
Cominciarono ad arrivare i primi successi e, con loro, una popolarità straordinaria in un Paese che aveva bisogno di nuovi eroi. Il 1950 vide la creazione del primo campionato mondiale piloti: Ascari prese parte a quattro Gran Premi, salendo due volte sul podio, la prima a Monte-Carlo nel giorno del debutto della Ferrari nella competizione, concluso al secondo posto. L'anno successivo giunse anche la prima vittoria, nel Gran Premio di Germania, bissata subito dopo a Monza, nel Gran Premio d'Italia, ma fu nel biennio successivo che raggiunse la gloria. Con la Ferrari 500 F2 Ascari vinse praticamente tutto ciò che poteva vincere: undici vittorie su quattrodici gare e doppietta iridata. Ciccio, questo il suo soprannome, aveva un carattere aperto e amichevole ed era noto per essere un pilota non soltanto velocissimo ma anche sempre in controllo di sé, senza dunque dover oltrepassare i limiti per prevalere sugli avversari. Era molto superstizioso – aveva il terrore dei gatti neri - e fatalista, consapevole dei rischi che si trovava ad affrontare continuando a correre.
Il 1954 fu un anno di svolta. Nel campionato Piloti la Ferrari non era più competitiva come nel biennio precedente così Ascari accettò la lucrosa offerta della Lancia per la massima competizione automobilistica ma la D50 inizialmente non era affidabile. Con la casa torinese, quell'anno Ascari vinse la Mille Miglia con la D24, battendo proprio una Ferrari, quella del conte Vittorio Marzotto. L'anno successivo alla seconda gara del campionato di Formula 1 a Monaco, il 22 maggio, la D50 del pilota milanese si trovava in testa quando, alla chicane del porto, sbandò improvvisamente e finì in mare affondando immediatamente: ci vollero secondi interminabili prima di rivedere Ascari e il suo casco azzurro riemergere per essere tratti in salvo da una barca di salvataggio, il naso rotto, qualche contusione e un grande spavento: poteva andare molto peggio!
Quattro giorni dopo, Ascari si presentò improvvisamente a Monza, dov'era in corso un test della Ferrari con una vettura Sport, affidata all'amico Eugenio Castellotti. Chiese di fare qualche giro, pur senza avere con sé il solito abbigliamento da gara e quel casco azzurro cui era molto legato: usò infatti quello bianco di Castellotti. Dopo tre giri, in una zona della pista lontana dai box, la curva del Vialone, che oggi è intitolata alla sua memoria, lo schianto fatale. Un blackout? Una folata di vento? Lo scoppio di una gomma? Qualcuno attraversò la pista all'improvviso? Non si è mai saputo. Certo è che le coincidenze che legano la sua fine a quella del padre Antonio sono molte: entrambi avevano 36 anni, entrambi perirono quattro giorni dopo essere scampati ad uno spaventoso incidente in una gara, entrambi avevano vinto 13 Gran Premi nel campionato più importante cui avevano partecipato, entrambi avevano avuto l'incidente all'uscita di una curva a sinistra, entrambi morivano nel ventiseiesimo giorno del mese a trent'anni di distanza l'uno dall'altro, entrambi lasciavano una moglie e due figli ancora piccoli.
Tutta l'Italia pianse la perdita di Ascari e il giorno del funerale a Milano l'intera città rimase in silenzio, mentre un solenne corteo che trasportava l'eroe caduto si muoveva lentamente per le strade fiancheggiate da migliaia di persone silenziosamente vestite di nero. Ci vollero quindici carrozze per portare la profusione di corone e di fiori, e nel carro funebre, trainato da una squadra di cavalli neri piumati, spiccava il suo casco azzurro sopra la bara nera. Nel cimitero di Milano Alberto Ascari fu seppellito accanto alla tomba del padre.