On this week #24: Il compleanno più bello di Jean Alesi
L'11 giugno è una data speciale per Jean Alesi. Non soltanto perché è il suo compleanno – una cifra tonda in questo 2024 visto che Jean compie sessant'anni – ma anche perché è l'anniversario della sua prima e unica vittoria in Formula 1, ottenuta l'11 giugno del 1995 a Montreal, nel Gran Premio del Canada.
Una vittoria speciale perché giunta in maniera inattesa e perché il successo sembrava essere diventato per Jean una chimera irraggiungibile e che lo resterà anche successivamente. Una vittoria – va detto – arrivata anche grazie al problema elettrico che al cinquantasettesimo giro costrinse Michael Schumacher ad un lungo pit-stop ma Jean era lì in agguato, avendo conquistato di forza la seconda posizione dopo essere partito quinto e aver superato il compagno di squadra Gerhard Berger e la Williams di Damon Hill (David Coulthard si era ritirato subito). Stavolta il destino decide in maniera propizia per quell'allora trentunenne ragazzo di Avignone, che era entrato nel cuore non soltanto degli italiani e dei ferraristi ma anche di tantissimi appassionati di Formula 1 che ne apprezzavano il coraggio, la passione e l'irruenza. Jean – racconterà alla fine della gara – guida gli ultimi giri con le lacrime agli occhi, passa sotto la bandiera a scacchi ma non riesce a rientrare ai box per il 12 cilindri Ferrari della sua 412 T si ammutolisce, a secco di benzina. A riportarlo indietro sarà proprio Michael, che si ferma lungo la pista e lo fa salire a cavalcioni sulla sua Benetton.
“L'immagine che più mi è rimasta impressa nella memoria di quel giorno non è tanto il passaggio sotto la bandiera a scacchi o la cerimonia di premiazione sul podio quanto l'esplosione di gioia del pubblico nel momento in cui sono passato al comando della corsa” – ha raccontato Jean a Racing Spot – “Vedevo le bandiere della Ferrari sventolare ed è stata un'emozione incredibile. Montreal è uno dei circuiti dove i piloti riescono a vedere le tribune molto bene e quando capirono che Michael aveva avuto un problema i tifosi impazzirono. Bisogna ricordare che all'epoca correvo con il 27, quello di Gilles Villeneuve, e correre su quella pista su una Ferrari e con quel numero ti faceva diventare automaticamente un canadese e, personalmente, sentivo ancora di più l'impegno di dover dare tutto me stesso quando correvo a Montreal. Gilles era stato il mio idolo da bambino e considero un dono del cielo aver avuto la possibilità di vincere quella gara con la macchina numero 27: come tifoso della Ferrari e suo un po' mi sembrava che avesse vinto lui…”
Una vittoria particolare quella del 1995 anche perché fu l'ultima di un motore a dodici cilindri nella storia della Formula 1. La Ferrari era rimasta l'ultimo costruttore ad adottare quella configurazione per i motori aspirati ma la decisione di adeguarsi anch'essa al più compatto ed efficiente dieci cilindri era già stata presa e non fu il successo Montreal a far cambiare idea a Maranello.
“Guidare una monoposto spinta dodici cilindri era proprio speciale, qualcosa di assolutamente diverso da oggi, era una Formula 1 di un'altra epoca. Si gareggiava con tanti motori diversi: c'erano gli otto, i dieci e il dodici era considerato una specie di Graal: oltre diciassettemila giri di rotazione, una musica!” – ricorda Jean – “Contrariamente a quanto si dice, era anche abbastanza facile da guidare perché, sebbene non avesse la coppia di un otto o di un dieci, era comunque molto elastico e ciò ti permetteva, ad esempio sul bagnato, di sfruttare al massimo la straordinaria potenza. Certo, le vibrazioni erano molto forti. Ricordo che i primi anni a Maranello il giorno della presentazione e i primi test lavoravamo tantissimo sul sedile per fare in modo che le vibrazioni che dal motore si trasferivano al telaio non disturbassero la guida. Però sentire quel rombo dietro le spalle era pazzesco: posso immaginare cosa provassero allora i tifosi quando vedevano sfrecciare una monoposto con quel motore, ancora di più se era rossa Ferrari!”
Se la vittoria di Montreal arrivò con una vettura gommata Goodyear, la lunga carriera di Alesi (201 Gran Premi, due pole position, quattro giri più veloci in gara e 32 piazzamenti sul podio) in Formula 1 lo ha visto guidare monoposto con ben quattro fornitori di gomme diversi: oltre alla casa americana nella lista figurano anche Bridgestone, Michelin e Pirelli. Proprio con l'attuale Global Tyre Supplier della massima competizione automobilistica, Jean colse il primo podio della carriera in una gara, il Gran Premio degli USA 1990, che lo fece salire alla ribalta mondiale, su una pista – il tracciato cittadino di Phoenix (Arizona) in cui le gomme italiane si dimostrarono superiori alla concorrenza, basti pensare che dietro la McLaren di Berger in pole position si piazzarono la Minardi di Pierluigi Martini, la Dallara di Andrea De Cesaris e, appunto, la Tyrrell del francese, alla sua prima stagione completa da titolare della squadra inglese. Al via Jean scattò magnificamente e prese la testa della corsa, tenuta fino al giro 35, nonostante la crescente pressione della McLaren di Ayrton Senna: soltanto dopo un duello ruota a ruota con il francese, durato praticamente due giri, il brasiliano riuscì a passare al comando, mantenendolo fino alla fine.
“Sono un po' privilegiato perché ho corso con quattro costruttori di pneumatici assolutamente iconici. In ognuno di loro ho sempre trovato un partner di straordinaria professionalità. Sono molto affezionato alla Pirelli perché, in un certo senso mi ha permesso di farmi conoscere dai tifosi” – ci racconta il francese – “All'epoca si usavano le gomme da qualifica e quelle Pirelli erano molto performanti e davano un po' prestazione in più, in particolare sui circuiti stradali e in quelli con bassa aderenza. Il mio stile di guida era molto aggressivo e le Pirelli mi permettevano di spingere al massimo, di fare spettacolo. Inoltre, mi piaceva tantissimo la possibilità di lavorare con i tecnici italiani per realizzare delle gomme praticamente su misura, artigianali. All'epoca in occasione delle qualifiche sul battistrada veniva depositata una soluzione autovulcanizzante di una mescola super adesiva che consentiva di fare il giro cronometrato con un grip incredibile. A fare quest'operazione era un tecnico che per me era quasi un'artista, un Michelangelo delle gomme: mi raccontavano che ogni volta che veniva completata l'operazione lui con un gesso faceva un segno sull'incollatura che era come una firma! Quell'anno ebbi la possibilità di visitare la fabbrica alla Bicocca e mi fecero provare a fare la stessa operazione ma diciamo che il lavoro non fu esattamente a regola d'arte… Mi sa che quello pneumatico lo hanno buttato!”