Mario Andretti, il supercampione di Formula 1® tra vita e velocità
L'Eroe dei Due Mondi è ancora tirato a lucido. Abbronzato, sereno, circondato da persone che lo vogliono almeno un momento per sé. Perché lui è Mario Andretti e per tutti, per quelli del mondo delle quattro ruote, è un eroe per sempre. Mario Andretti è tornato a Milano, nella sua Italia, per ritirare un premio alla serata dei Caschi d'Oro ospitati nella sede della Pirelli, e riuscire a tenerlo fermo su un divanetto per dieci minuti è stata un'impresa: correva veloce, come ai bei tempi, tra una richiesta di foto e una di autografo; correva e sorrideva. L'Eroe, a 75 anni, è ancora come tutti se lo ricordano. E sarà per questo che, tra le due sponde dell'Atlantico è un mito: “Ma in fondo sono stato fortunato, oltre che anche un po' bravo: ho avuto la possibilità di confrontarmi con i migliori piloti della storia del nostro sport. Eh sì, in effetti, ho anche vinto”.
Sì, ha vinto: un mondiale di Formula 1® con la Lotus e una 500 Miglia di Indianapolis, per esempio. Ha vinto correndo con la Ferrari e negli ovali americani. Ha conquistato 11 successi in carriera e soprattutto è stato l'ultimo pilota nato in Italia a trionfare nel Circus. È nato a Montona (oggi in Croazia), ma ai tempi territorio italiano. Fu costretto a fuggire dalla violenza della Jugoslavia per approdare in un campo profughi dentro gli attuali confini italiani. Lì ha cominciato a frequentare un'officina meccanica, dove è nata la sua passione e il suo mito.
Andretti ormai è più america-italiano che italo-americano, ma di quel che succede qui, in Europa e dintorni, sa tutto. E soprattutto sa tutto di quel che succede in Formula 1®: “Dicono che sia diventata noiosa, ma io credo che non sia vero. La Mercedes ha dominato, ma la Ferrari si è avvicinata e anche se non sarà facile accorciare le distanze. Ma so che a Maranello lavoreranno giorno e notte per questo: lo hanno sempre fatto, lo facevano anche ai miei tempi”. Ferrari, l'orgoglio per un americano nato in Italia, così come Pirelli, “un vero simbolo del made in Italy”. E poi Vettel, che qualche anno fa aveva definito “corretto e intelligente, ma non è solo merito suo se vince”. E invece: “Adesso dico che Seb è diventato un pilota che sa dare il massimo: quest'anno ha portato a casa 3 gare facendo crescere la squadra. È arrivato al livello dei grandi campioni del mondo di questo sport”. Il massimo come Schumacher? O magari come Andretti… “Lasciamo stare: ogni epoca ha le sue stelle, impossibile fare paragoni. Certo che ai miei tempi era più difficile”.
Ai suoi tempi Mario Andretti vinceva, da tutte e due le parti dell'Atlantico ed ha fatto avanti e indietro con la Ferrari: “Perché si poteva schierare la terza macchina, ed io in Sudafrica nel 1971 sono arrivato all'ultimo, sono entrato nell'abitacolo e ho vinto. Un peccato che non si possa fare oggi, anzi”. Appunto, ecco la soluzione per la Formula 1® firmata Mario Andretti: “Io farei due cose: la prima è consentire l'arrivo dei team privati: i grandi potrebbero consegnare loro una monoposto e lasciarli liberi di personalizzarla. Ad esempio mio figlio Michael lo farebbe subito. La seconda è consentire appunto di far correre gli ospiti, come succedeva ai miei tempi: sarebbe fantastico, per dire, quando si corre negli Usa avere una terza auto con un pilota americano. Altro esempio: mio nipote Marco…”. Marco, che avrebbe dovuto rinverdire i fasti degli Andretti in F1®, ma che “qualche anno fa è stato vicino a un tema, ma poi non se ne è fatto più nulla”. Marco che è uno dei molti Andretti nella scia di un mito, dell'Eroe dei due Mondi e di chi ama l'automobilismo: “Magari ce ne saranno ancora, chi lo sa. La vita è in fondo imprevedibile”. E a questo punto sorride e sgomma via. Come una volta. Come sempre.