Gunnar Nilsson: il talento svedese della F1 | Pirelli

On This Week #47: Gunnar Nilsson

 

Il 20 novembre 1949 nasce a Helsingborg (Svezia) Gunnar Nilsson, uno dei dieci piloti svedesi che hanno disputato almeno un Gran Premio in Formula 1.

La storia di Nilsson nel motorsport è stata troppo breve. Approdato al motorsport relativamente tardi – perlomeno per gli standard attuali, negli anni Settanta era piuttosto comune – Nilsson si mise in luce nel 1972 nella Formula Vee del suo paese, vincendo una gara sul circuito di Mantorp, per poi passare l'anno successivo alla Super Vee, terminando la stagione al quinto posto. Il piazzamento gli consentì di trovare le risorse per correre nel 1974 in Formula 3 nelle serie europea e britannica con una March-Toyota come privato, mettendosi in luce tanto che, l'anno successivo, gliene fu offerta una ufficiale. Fu quella la svolta della sua carriera. Con cinque successi e nove podi su 16 gare, Nilsson vinse il titolo nella F3 britannica e, non contento, arrivò secondo anche nella Formula Atlantic, con quattro successi su quattro gare disputate nel finale di stagione al volante di una Chevron-Ford.

 

Simili prestazioni non potevano passare inosservate fra le squadre inglesi, sempre a caccia di nuovi talenti ma anche di fondi per farli correre. Così Frank Williams offrì a Nilsson un test con una F1 a Goodwood e anche un sedile per l'anno successivo, a patto che lo svedese trovasse almeno parte dei soldi necessari per finanziare la stagione. Nilsson preferì un ingaggio con la March in Formula 2 e fu la sua fortuna. Infatti, il connazionale Ronnie Peterson, all'epoca alla Lotus, stava cercando il modo di lasciare il team di Colin Chapman, poco convinto della competitività della vettura, si accasò alla March in F1 la quale cedette in cambio il contratto di Nilsson che così si trovò a debuttare direttamente nella massima serie già alla seconda gara del 1976, in Sudafrica, a meno di quattro anni dal suo debutto in una monoposto.

Certo, la Lotus di quell'anno era l'ombra della squadra che aveva portato i vari Jim Clark, Graham Hill, Jochen Rindt e Emerson Fittipaldi al titolo iridato e la monoposto sembrava essere effettivamente un disastro: nelle prime due qualifiche, a Kyalami e a Long Beach, lo svedese riuscì sì a qualificarsi ma con distacchi abissali dalla pole position, anche per quell'epoca. Però, al ritorno in Europa, arrivarono alcuni aggiornamenti sulla macchina nonché un pilota decisamente più competitivo rispetto a Bob Evans: Mario Andretti. A Jarama la nuova coppia si qualificò nella top ten (Nilsson settimo, Andretti nono) e lo svedese finì addirittura sul podio dietro James Hunt e Niki Lauda. Nonostante un motore Cosworth non brillantissimo in confronto alla concorrenza e un'affidabilità non esattamente impeccabile, Nilsson quell'anno riuscì ad andare a punti (all'epoca si assegnavano soltanto ai primi sei classificati) altre tre volte, risalendo in Austria sul terzo gradino del podio.

Nel frattempo, il gruppo tecnico messo insieme da Chapman stava progettando una delle vetture più innovative viste in F1, la Lotus 78, che avrebbe riportato la squadra in cima al mondo grazie ad un'interpretazione dell'aerodinamica assolutamente rivoluzionaria. La macchina era già pronta alla fine della stagione '76 ma la sua relativa affidabilità e la volontà di Chapman di tenerla lontana dall'altrui curiosità – le cosiddette minigonne non passavano certo inosservate – ne fecero rimandare il debutto all'inizio della stagione successiva.

Nel 1977 la Lotus tornò non soltanto al successo ma anche a lottare per il titolo, tanto che concluse al secondo posto il campionato Costruttori mentre Andretti fu terzo in quello Piloti. L'italo-americano vinse ben quattro gare e un successo lo portò a casa anche Nilsson, trionfatore nel Gran Premio del Belgio a Zolder al termine di una corsa iniziata sotto la pioggia e terminata sull'asciutto: sul podio a festeggiare c'era anche il connazionale Peterson, terzo con la Tyrrell a sei ruote alle spalle della Ferrari di Lauda. A Silverstone lo svedese della Lotus salì di nuovo sul podio – proprio come a Jarama, terzo dietro Hunt e Lauda – ma da lì iniziò una spirale di risultati negativi per la squadra, quasi sempre dettati dalla scarsa affidabilità della vettura. Nilsson iniziò ad essere dominato in qualifica da Andretti in maniera sempre più netta, tanto che alla fine della stagione Chapman decise di fare a cambio di svedesi, riportando nel team proprio il connazionale. Per Nilsson si aprirono le porte della Arrows, dove avrebbe corso accanto a un giovane italiano rampante, Riccardo Patrese.

A dicembre, un po' preoccupato per un calo fisico, effettuò una serie di controlli medici, il cui verdetto fu scioccante: tumore ai testicoli, in stadio avanzato. A nulla valsero le terapie. Mentre Andretti e Peterson infilavano vittorie in serie con una Lotus (otto nelle prime 13 gare) e Patrese si faceva notare, Nilsson, che aveva rinunciato durante l'inverno al contratto con la Arrows, scivolava altrettanto velocemente verso un destino crudele che però doveva riservagli un ulteriore dolore. Il 10 settembre a Monza Peterson rimase vittima di un terribile incidente, di cui fu protagonista anche Patrese, e spirò due giorni dopo in ospedale. Nilsson, ancorché spossato anche dallo sforzo di organizzare una campagna per la raccolta di fondi da destinare ai trattamenti dei malati di tumore, volle essere presente ai funerali di Ronnie e volò da Londra a Orebro ma quello sforzo, chissà, gli fu fatale. Poco più di un mese dopo, il 20 ottobre, morì nella capitale inglese, a nemmeno trent'anni: in poche settimane se erano andati i più grandi piloti svedesi di Formula 1.