Ad Abu Dhabi si chiude un cerchio | Pirelli

Ad Abu Dhabi si chiude un cerchio

 

È un giorno speciale per la McLaren, che è tornata a vincere un titolo iridato Costruttori dopo ben 26 anni. Nessuno dei due piloti della McLaren in pista oggi a Yas Marina era nato quando Mika Hakkinen e David Coulthard vinsero l'ottavo titolo per una squadra allora diretta da Ron Dennis. Anche allora l'avversaria fu la Ferrari, che quel giorno a Suzuka schierava una coppia formata da Michael Schumacher ed Eddie Irvine.
 

È passata più di una generazione da quel successo e la McLaren è una realtà completamente diversa, basti pensare che dal grigio e nero della livrea dell'epoca si è passati ad una sgargiante colorazione papaya che, peraltro, era stata scelta dal fondatore Bruce McLaren alla fine degli anni Sessanta. Oggi alla guida della McLaren Formula 1 Team c'è una coppia tutta particolare, formata da un CEO spumeggiante e carismatico come l'americano Zak Brown e da un ingegnere italiano, Andrea Stella, che, da Team Principal, ha saputo portare in due anni la squadra dalle retrovie al successo iridato.
Per Stella questa vittoria ha un sapore particolare. Sicuramente c'è un'enorme soddisfazione per il risultato raggiunto, ottenuto con uno stile di leadership che fa della tranquillità e del pragmatismo la sua cifra distintiva. Nemmeno nei momenti più difficili – che fossero le polemiche sulle presunte irregolarità tecniche o sulle ormai famose regole papaya nella gestione dei piloti in pista – ha perso la calma. Anzi, la sua lucidità nell'analizzare i problemi – perlomeno verso l'esterno ma sarà stato così anche internamente – ha aiutato la squadra a crescere, ad abituarsi a gestire qualcosa che per la stragrande maggioranza dei suoi membri rappresentava qualcosa di totalmente nuovo - lottare per un titolo mondiale – e che comportava l'essere soggetti a pressioni sconosciute.

 

 

Di pressioni Stella se ne intende. C'è cresciuto dentro – professionalmente parlando – nel primo stint della sua carriera in Formula 1, percorso con la Ferrari, quella dell'era vincente di Jean Todt e Michael Schumacher ma anche di Stefano Domenicali e Fernando Alonso, che di titoli non ne ha vinti ma ci è arrivata a pochi centimetri. In quella squadra l'ingegnere italiano ha imparato sin da subito che cosa significa giocarsi un titolo, lavorando a fianco di un pilota come Michael Schumacher prima e Kimi Raikkonen dopo, per poi assumere un ruolo ancor più delicato come quello di ingegnere di pista di Alonso, l'uomo che doveva riprendere il ciclo vincente a Maranello.


Un'impresa mancata, che non si concretizzò soprattutto proprio qui ad Abu Dhabi in una giornata maledetta – per i ferraristi, s'intende: tanti altri, a cominciare da Sebastian Vettel e la Red Bull, gioirono - proprio qui ad Abu Dhabi, in un'incredibile serata del novembre 2010, quando tutto sembrava apparecchiato per vedere una Ferrari vincente. Quel giorno, molto più di quanto non accadde due anni dopo a Interlagos, il destino di quel gruppo prese una direzione ostinata e contraria. Lo sanno bene tanti di quegli uomini e donne della Ferrari, a cominciare dall'allora presidente Luca di Montezemolo e all'attuale presidente e CEO della Formula 1 Stefano Domenicali, senza contare ovviamente Fernando Alonso, che quel giorno vissero la delusione sportiva più bruciante della loro vita. Alcuni di loro, ne siamo sicuri, ogni tanto provano ad immaginare come sarebbe cambiato il corso delle cose se invece di fermarsi per un pit-stop per poi passare un interminabile secondo stint dietro Petrov Fernando fosse rimasto in pista qualche giro in più e avesse terminato quella gara in una comoda quarta posizione, sufficiente a farlo diventare campione del mondo per la terza volta

Ci ha pensato più di una volta lo stesso Stella, come ha detto anche sabato sera nel consueto incontro coi giornalisti svoltosi nell'hospitality della McLaren. “Quello è stato potenzialmente il giorno più doloroso della mia carriera in F1” - ha detto  Stella - Ma se guardo indietro ora, e ne ho parlato con Fernando un paio di volte, in realtà ci sentiamo orgogliosi di ciò che abbiamo ottenuto nel 2010, perché siamo orgogliosi di essere stati qui all'ultima gara di una stagione in cui per la maggior parte del tempo non abbiamo goduto di alcun vantaggio tecnico, ed è stato grazie alla grande esecuzione e alla grande guida di Fernando che abbiamo potuto lottare per il campionato all'ultima gara. E alla fine, con il passare del tempo, anche se sei orgoglioso delle tue vittorie, a volte quando non vinci è quello che conta di più per essere quello che siamo oggi. Spero che alcuni degli insegnamenti tratti da quella stagione, e anche la durezza emotiva che si acquisisce attraversando quei momenti, mi abbiano permesso di portare con me qualcosa nella mia carriera e spero di lasciare anche questo come parte del mio contributo alla McLaren”.

Perlomeno per lui oggi un cerchio si è chiuso. La conquista di un titolo Costruttori tanto meritato quanto inaspettato è il modo migliore per far sparire definitivamente una cicatrice capace, nonostante siano passati tanti anni, di dare ancora fastidio quando la si tocca. La prossima volta che Andrea tornerà qui ad Abu Dhabi non sentirà più dolore o, perlomeno, avrà un meraviglioso ricordo a contrastare quello di 14 anni fa.