A Montecarlo ogni curva è una storia
Sarà la sagoma del Casinò che sovrasta la pista, ma il Gran Premio di Montecarlo è da sempre un azzardo. Un azzardo controllato e dominato dal talento dei piloti e dalle continue evoluzioni tecnologiche delle vetture, ma proprio per questo in grado di regalare ogni anno nuove sfumature di emozioni. D'altra parte quello di Monaco è il circuito più amato e odiato della Formula 1. Di certo non può lasciare indifferenti, con i suoi 3.337 metri ricavati tra le strette e tortuose stradine del Principato, un susseguirsi di angoli che raccontano leggende e che negli anni hanno regalato imprese inimitabili, da Fangio a Moss, da Prost a Senna fino ad arrivare a Vettel. Per chi è al volante è una sfida ipnotica: come ebbe a dire Nelson Piquet: «È come andare in bici nel salotto di casa». Qui convivono la curva più lenta (il tornantino ex Loews) e una delle più veloci (il tunnel) dell'intero campionato di Formula 1.
Nella narrazione classica Monaco è il glamour, i reali, il mare, le barche, il lusso. Ma, oltre a questo, è soprattutto la gara di Formula 1 che assicura i maggiori colpi di scena. Anche l'assenza di un avvenimento imprevisto costituisce di per sé una sorpresa. Questa imprevedibilità sembrerebbe un controsenso se si pensa che il tracciato è rimasto fedele a se stesso dal 1929, quando si tenne la prima gara e che dagli anni '50 fino ad oggi sono state minime le modifiche al layout.
Il romanzo di Montecarlo, anacronistico e sofisticato, è ricco di imprese apparentemente impossibili e altrettanto incredibili fallimenti. Qui ha debuttato ufficialmente la Ferrari nel 1950: alla guida della 125 S realizzata da Enzo Ferrari e gommata Pirelli c'era Alberto Ascari, che tagliò il traguardo come secondo dietro l'Alfa guidata da Juan Manuel Fangio. E qui ha avuto il suo primo (infelice) contatto con la Formula 1 Bernie Ecclestone: era il 1958 e l'allora 28enne inglese tentò il grande passo, acquistando tre vetture Connaught, mettendo su una squadra e presentandosi alle prequalifiche. Alla guida di una delle tre auto lo stesso Ecclestone. Il cronometro fu impietoso, nessuna qualificazione. Una delusione che era solo il preludio di una lunga carriera di successo, non dietro al volante ma alla guida dell'intero circuito. E, a proposito di disavventure, indimenticabile i voli in mare di Ascari (distratto dal pubblico) nel 1955 e di Paul Hawkins dieci anni dopo: in entrambi casi un approdo spettacolare in acqua senza danni per i piloti.
Tra i dominatori storici Stirling Moss, che vinse tre volte il Gp ('56, '60, '61) senza mai riuscire conquistare il Campionato del Mondo, e Graham Hill, che grazie ai cinque successi etra il 1963 e il 1969 ottenne il soprannome di “Mister Monaco”.
È ricordata tra le imprese più esaltanti quella di Gilles Villeneuve con la Ferrari 126 CK turbo nel 1981, quando il francese inaspettatamente a quattro giri dalla fine riuscì a superare la Williams-Ford di Alan Jones, esaltando la folla grazie al suo stile guida azzardato ma mai spericolato, da consumato giocatore di casinò.
Sfrecciando tra le trame magnetiche e sfuggenti di Montecarlo è nata la stella di Ayrton Senna, quando nel 1984 si rivelò al Mondo mentre Alain Prost chiedeva di fermare la gara agitando le braccia in quella che sembrò all'epoca una sfida tra il Davide brasiliano e il Golia francese. Senna divenne poi “il Re di Montecarlo” grazie alle sue vittorie in carriera, record ancora imbattuto. E poi gli anni magici di Michael Schumacher che al volante della rossa aveva un'alchimia speciale con queste curve, fino alla doppietta Ferrari dello scorso anno, ancora negli occhi di tutti, con Alberto e tutta la famiglia Grimaldi sul palco a premiare Vettel e Raikkonen. Perché a Montecarlo anche il podio è diverso da tutto gli altri, elegante e regale, come a voler prolungare l'atmosfera di sogno che ogni anno si rinnova.