Tutti vogliono la Doyenne | Pirelli

Tutti vogliono la Doyenne

Democratica, meritocratica 
Nel 1998 il magazine francese Vélo chiese ai 100 migliori ciclisti del mondo quale fosse la loro classica preferita. Più di un terzo dei votanti non ebbe dubbi: la Liegi-Bastogne-Liegi venne eletta corsa più amata dai corridori. Sebbene sia possibile che negli ultimi vent'anni i gusti dei professionisti siano cambiati, le ragioni dell'apprezzamento dei ciclisti nei confronti della più antica delle classiche-monumento sono ancora valide. 

PZeroVeloLa Liegi-Bastogne-Liegi, con i suoi circa 4000 metri di dislivello complessivi – la maggior parte dei quali concentrati nell'ultimo quarto di gara -  è considerata da molti la corsa di un giorno più impegnativa del calendario. Nonostante le difficoltà altimetriche, è tuttavia una gara molto più democratica delle altre due grandi classiche del Nord. Se il Giro delle Fiandre e la Parigi-Roubaix, le epopee del pavé, sono corse dominate da un numero piuttosto ristretto di specialisti, alla partenza della Liegi sono ben più numerosi i pretendenti alla vittoria. Scattisti energici, passisti resistenti, scalatori veloci. Esclusi i velocisti, quasi tutte le altre categorie di corridori possono legittimamente ambire alla gloria, sul traguardo di Ans.

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Non bastasse, la Liegi-Bastogne-Liegi tende a essere anche meritocratica. “È l'unica corsa dove sei certo che i tre che finiscono sul podio sono in effetti i più forti di giornata”, ha dichiarato una volta Michele Bartoli, vincitore delle edizioni 1997 e 1998. “In altre corse essere intelligenti tatticamente può sopperire a un difetto di forma fisica, ma non alla Liegi”. Anche il caso, uno degli attori del ciclismo che gli spettatori apprezzano di più (i corridori lo apprezzano un po' meno), recita una parte piuttosto piccola nell'annuale corsa vallona. Tutto ciò certo non ha impedito alla Liegi di produrre alcune tra le imprese più spettacolari del ciclismo.

Condizioni eccezionali 
La prima edizione della Liegi-Bastogne-Liegi fu disputata nel 1892 come test preliminare in vista di una corsa talmente epica da non avere mai luogo: la Liegi-Parigi-Liegi, 845 km in totale, non sarebbe mai avvenuta, ma la sua versione in miniatura (“appena” 250 km, Bastogne scelta come approdo intermedio perché gli organizzatori potevano raggiungerla in treno e assicurarsi che i partecipanti avessero completato la prima metà del percorso) sarebbe entrata nella storia dello sport a due ruote. Non subito, però. 

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La Liegi rimase a lungo una semi-classica, cioè una corsa importante ma lontana dai livelli della Milano-Sanremo, della Parigi-Roubaix e del Giro di Lombardia. In particolare, la Doyenne difettava dell'impatto culturale che un altro evento nato come locale, il Giro delle Fiandre, era stato in grado di generare: il ciclismo si era integrato a tal punto nelle abitudini dei belgi di lingua olandese da diventare imprescindibile elemento identitario fiammingo. Le fortune della classica vallona si rivelarono invece più alterne, e la Liegi riuscì a stabilirsi come corsa professionistica solo nel 1930. Si elevò al rango di classica-monumento ancora più tardi, fu la Seconda Guerra Mondiale a segnare un punto di svolta nella storia della Doyenne. 

A partire dalla fine degli anni '40, le martoriate strade delle Ardenne si popolarono di grandi nomi. Ferdi Kübler, lo svizzero in grado di contrastare il dominio di Coppi e Bartali nei grandi giri, fu il primo grande campione a nobilitare l'albo d'oro della Liegi, vincendo nel 1950 e nel 1951. Louison Bobet dovette invece arrendersi al microclima tutt'altro che ospitale delle colline ardennesi, dove piove il doppio che in pianura (e in pianura, in Belgio, non piove pochissimo), ci sono 130 gelate all'anno e nevica 30 volte all'anno, in certi casi anche a primavera inoltrata. 

Nel 1957 c'erano dieci centimetri di neve sulla Côte de Rosiers, alcuni corridori si riscaldarono le mani urinandovi sopra. Bobet, quarto all'arrivo, qualche anno dopo avrebbe dichiarato: “A scuola ti insegnano che il Belgio è un paese pianeggiante e temperato. Avrei voluto guardare in faccia il mio insegnante di geografia, quel giorno”. La vittoria venne assegnata ex-aequo a Frans Schoubben e a Germain Derycke. Quest'ultimo era stato il primo sul traguardo di Liegi, ma lungo il percorso aveva attraversato un passaggio a livello chiuso, manovra consentita in Francia e in Italia ma non in Belgio. Tuttavia, considerate le condizioni in cui si era corso, la federazione decise di non squalificarlo, ma di fargli condividere la gloria con il secondo classificato: “Condizioni eccezionali richiedono misure eccezionali”.

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Il Cannibale e il Tasso 
Negli anni '70 la Doyenne, non diversamente da tutte le maggiori corse del calendario, si trasformò in palcoscenico privilegiato per gli show di Eddy Merckx. Se la Milano-Sanremo è la corsa che ha fondato il mito del Cannibale, la Liegi-Bastogne-Liegi lo ha cementato. Dopo essere stato battuto all'esordio dal rivale Godefroot, Merckx vinse sulle Ardenne per cinque volte tra il 1969 e il 1975. Il successo del 1971 è considerato dagli storici del ciclismo uno dei più memorabili di sempre: ammalato, due magliette e guanti di lana indosso, Merckx attaccò a 90 km dall'arrivo, rimase solo ai meno 60, guadagnò cinque minuti sul gruppo, poi li perse tutti e venne ripreso da Pintens, ma riuscì infine a batterlo in volata. “Non ho mai sofferto tanto come quel giorno”, ricorda Eddy. “Fu la corsa più difficile della mia carriera, e forse per questo una delle più belle”.

Qualche anno più tardi anche Bernard Hinault, che possedeva di Merckx la stessa necessità di dominio, scelse la Liegi come sua classica d'elezione. La vinse solo una volta, nel 1980, ma bastò per la leggenda. Nella giornata più fredda della storia della Doyenne, il Tasso se ne andò tutto solo a 80 km dal traguardo. Il secondo e il terzo sarebbero arrivati nove minuti dopo di lui, tuttavia sul traguardo Hinault non alzò le braccia in segno di vittoria: gli ci vollero tre settimane per recuperare la sensibilità nelle mani, tutt'ora le sue dita soffrono particolarmente il freddo. “Quel giorno semplicemente decisi che correre molto forte sarebbe stato l'unico modo per riscaldarmi”, dice Hinault.

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Identità nuova, fascino immutato 
Negli ultimi trent'anni la Liegi ha provato a costruirsi un'identità nuova di protagonisti e percorso.  Nell'albo hanno fatto irruzione gli italiani, Moreno Argentin in testa. Quattro vittorie, quella del 1987 dopo essere piombato dalle retrovie sulla testa della corsa e aver superato sulla linea d'arrivo Roche e Criquelion, che continuavano a studiarsi. L'irlandese pianse, per la prima volta nella sua vita. Dopo Argentin ce l'hanno fatta anche Bartoli, Bettini, Rebellin e Di Luca.

Nel 1998 gli organizzatori hanno introdotto una nuova salita poco prima del traguardo, nel tentativo di ravvivare un finale di gara che il tempo aveva reso sempre meno selettivo: la Côte de Saint Nicolas è oggi il passaggio-chiave della Doyenne. Nonostante la durezza della côte tenga la corsa chiusa fin quasi alla fine e neutralizzi di fatto la precedente, epica arrampicata sulla Redoute, il prestigio della Liegi-Bastogne-Liegi è pressoché immutato. Le ultime 20 edizioni le hanno vinte 15 corridori diversi, nessuno due volte consecutive, nemmeno Alejandro Valverde, che pure ad Ans ha esultato 4 volte, la più recente nel 2017, a 37 anni. Valverde è come la Decana, la classica che seduce tutti e premia uno solo: non invecchia mai.