La révolution di Anquetil
La storia torna a essere raccontata ogni volta che il Tour passa dalla Normandia, terra di Jacques Anquetil, un nome che fa rima con fascino e stile, ma anche con eccesso e bramosia. Caratteristiche che danzano in equilibrio, oggetto di quell'attrazione per il perverso che alberga in una cultura guardona, e si riflettono negli occhi desiderosi di chi sbirciando dalle finestre dei castelli cerca di sfogare nei vizi altrui il desiderio di farli propri. Un castello Anquetil ce l'aveva davvero, benché nei fatti si trattasse soltanto una villa borghese circondata dal verde, a La Neuville-Chant-d'Oisel, località dal nome leggiadro come il suo abitante, a pochi chilometri da Rouen. La villa di Neuville ha visto passare dalle sue stanze Guy de Maupassant e Gustave Flaubert, prima di essere acquistata dal campione normanno e ribattezzata Castello degli Elfi. Oggi si chiama semplicemente Château Anquetil, ospita vecchi tifosi, ricchi turisti e ricevimenti di matrimonio.
Anquetil riposa poco più a Nord, al cimitero di Quincampoix, un sobborgo di Rouen, come Mont-Saint-Aignan, dove era nato. Una vita affacciata sulla Senna, che taglia la città lungo quella che oggi si chiama Quai Anquetil e scorre a ritroso sino al luogo dove realmente alberga lo spirito di Jacques: Parigi, gli Champs-Élysées, dove riposano le anime di chi ha avuto la fortuna di essere amato dagli dèi. Per capire la divinità di Anquetil bastava guardarlo pedalare. Era in grado di combinare potenza ed eleganza, di spingere lunghi rapporti senza scomporsi. Il corridore più elegante della storia, oltre che il miglior cronoman. Più del sovrumano Fausto Coppi, del ferroviario Ercole Baldini, dello sfortunato Roger Riviére, del taurino Miguel Indurain, del romantico Bradley Wiggins. Sopra tutti questi campioni, in quell'esercizio di stile che è la corsa solitaria contro il tempo, c'è solo Jacques Anquetil.
La lista dei successi e dei record è solo una traccia per seguirne l'epopea. Cinque Tour, primo ciclista a riuscirci, primo a metterne quattro in fila. Due Giri, preceduto dal solo Coppi nella doppietta giallo-rosa. Una Vuelta, primo anche tra i fenomeni della Tripla Corona, i soli sei in grado di conquistare i tre grandi giri in carriera. E poi una Liegi-Bastogne-Liegi e una Gent-Wevelgem, le uniche sue classiche, e tutto il vincibile a cronometro. Per nove volte primo al GP des Nations, la prima a 19 anni rifilando 6' al secondo, l'ultima 13 anni dopo. Sette vittorie al GP di Lugano, tre al Trofeo Baracchi e al GP Castrocaro, e due record dell'ora: il primo omologato, il secondo no, perché nella sua purezza Jacques non accettava discussioni, nemmeno dai commissari dell'antidoping. Quando Anquetil metteva le ruote sulla pista del Vigorelli, anche i meccanici si fermavano a guardarlo incantati: Alberto Masi, figlio del telaista che fornì ad Anquetil le bici dei record, lo ricorda ancora con lo stesso sguardo stregato di quei pomeriggi di gioventù.
Si dice che durante una cronometro Anquetil avrebbe potuto pedalare con una coppa di champagne sulla schiena e non ne avrebbe dispersa nemmeno una goccia. Lo si dice mentendo, perché Jacques avrebbe allungato la mano e se lo sarebbe bevuto come ha sempre fatto, anche in corsa. Lo champagne, il fumo, le notti a giocare a poker sono stati la compagnia di tutta la sua vita. Senza di loro, Anquetil non sarebbe mai diventato Anquetil. Forse avrebbe vinto, ma tanto vinceva lo stesso, proprio come Eddy Merckx, un altro gigante imperfetto, ma la leggenda gli sarebbe rimasta più distante. Cyril Guimard definisce Anquetil un inventore totale: "Con lui appare un nuovo genere, un nuovo stile, un nuovo modo di essere". La parola d'ordine era carisma. Che parlasse o che pedalasse, quando entrava in scena Anquetil il mondo si fermava a guardarlo e ascoltarlo. Una figura magnetica. Tifosi, tecnici, giornalisti, donne e avversari, tutti rispettavano Anquetil, e lui ricambiava.
Al Giro di Sardegna del ‘67, Jacques si ritrovò a insultare chi faceva l'andatura in testa al gruppo: “Non avete vergogna ad andare a prendere quel povero diavolo che è stato davanti tutto il giorno?”. Il solitario, tale Aldo Pifferi, fu ripreso ugualmente, ma sull'ultima salita trovò la mano del campione normanno a spingerlo, con un ultimo slancio di solidarietà, prima che il fuggitivo cedesse alla stanchezza e mollasse del tutto. Alla vigilia di un GP di Lugano gli organizzatori gli offrirono del denaro perché non vincesse ancora una volta: Anquetil contrattò l'ingaggio e poi incassò, la vittoria era destinata a Ercole Baldini. Sul traguardo, naturalmente, l'ordine fu inverso, Anquetil quintuplicò la posta e nessuno riuscì a dirgli nulla, nemmeno Baldini. Come si poteva mettere in discussione cotanto talento?
Ma tra i rivali di Anquetil ce n'è uno che conta più di ogni altro. Raymond Poulidor divenne eterno secondo proprio per mano del normanno. Battuto sia in corsa che fuori, tanto che al Tour del '65 un infortunato Anquetil promise un assegno in bianco a chi avrebbe battuto il rivale. Giù dalla bici, però, i due erano legati da affetto ed amicizia. Condividevano i tavoli da poker e l'affetto per la piccola Sophie, figliastra di Jacques che imparò prima a dire “Pou-Pou” che papà. Fu a un tifoso di Poulidor che Anquetil aprì le porte del suo castello per due giorni: l'uomo, malato e quasi infermo, voleva discutere con l'acerrimo nemico prima che fosse troppo tardi, ma Anquetil era in partenza. Così chiese alla moglie di accoglierlo in casa e attenderlo sino al suo ritorno, e chissà di cosa avranno parlato. Forse di quella volta che Anquetil voleva abbandonare il Tour dopo l'infausta profezia di un mago parigino e una ricca grigliata ad Andorra nel giorno di riposo. Ventiquattr'ore dopo già sull'Envalira aveva 4' di ritardo dai migliori quando il suo direttore sportivo Raphaël Géminiani gli passò dall'ammiraglia un bicchiere di champagne. Una volta bevuto, Anquetil disse: “Ora va meglio. Vado”. Quel Tour lo vinse davanti a Poulidor. Eterno secondo ma eternamente amato, fino al letto di morte, quando Anquetil salutò l'antico rivale dicendogli: “Mi sa che arriverai anche stavolta secondo”.
Ci volle ancora un quarto di secolo prima che la storia valicasse le mura del Castello degli Elfi. Sono brevi passaggi, ma c'è dentro una vita da romanzo. Il giovane Anquetil si innamorò di Jeanine, la moglie del suo medico: la sedusse, la spinse al divorzio e la portò all'altare. Lui aveva 24 anni, lei 30 e due figli, Annie e Alain. Una volta ritiratosi, anche Jacques avrebbe voluto un figlio, ma Jeanine non poteva più darglielo. L'amore la portò sino a spingere il campione nel letto della figlia Annie, ormai 21enne: un'unione da cui nacque la primogenita Sophie. Il fascino di Anquetil era troppo forte e Annie troppo bella perché la cosa non sfuggisse di mano a tutti: anche dopo la paternità, Jacques restò nel letto della ragazza. Jeanine, furiosa, convocò al Castello il figlio Alain per ristabilire la quiete, ma fu un errore fatale, perché con lui arrivò la moglie Dominique, che finì per diventare la nuova amante di Anquetil, al quale diede un secondo figlio. Cristopher nacque nel 1986, un anno più tardi il turbine erotico venne interrotto dal cancro allo stomaco che mise fine alle vicende di un campione, un uomo, un personaggio unico. Il cui posto è ben più in alto di questa storia. È nella Storia.