La fabbrica della velocità
Sulla copertina del numero di giugno 1912 della Rivista Mensile del Touring Club Italiano, Mario Stroppa illustrava con tratto leggero i nuovi stabilimenti Pirelli della Bicocca. Sotto un cielo azzurro e rassicurante, gli edifici dell'azienda erano una macchia geometrica che si allargava tra la ferrovia e le campagne di quella che era remota periferia milanese. Le officine chiare e squadrate, puntellate di ciminiere. La più imponente, sulla destra, sembrava la bocca di un vulcano: un'alta colonna di fumo si elevava verso quelle che parevano stelle, e arrivava a sfiorare il riquadro con dentro la didascalia, scritta a mano: “Dove si fabbricano i pneumatici Pirelli”.
105 anni dopo l'illustrazione di Stroppa, gli edifici Pirelli della Bicocca stanno in mezzo a un quartiere moderno, tra via Sarca e vie Chiese, tra l'Università e il Niguarda, la Collina dei Ciliegi e il Teatro degli Arcimboldi. In un caldo pomeriggio di giugno, la Fondazione Pirelli apre le porte alla stampa di tutto il mondo per la presentazione della più recente vetta conquistata dall'azienda in fatto di innovazione. I copertoni P Zero Velo sono insieme un viaggio nella tradizione e una proiezione nel futuro.
Con un occhio al glorioso passato, riportano Pirelli nel mondo del ciclismo, che all'epoca del disegno di Stroppa era una delle destinazioni principali dell'azienda: fondata nel 1872, la Pirelli & C. a inizio Novecento cominciò a sfruttare il know-how acquisito grazie alla produzione di cinghie di trasmissione e manicotti in gomma per realizzare la propria versione dello pneumatico per bicicletta. Lo pneumatico era stato introdotto un paio di decenni prima ed aveva segnato la svolta decisiva per l'affermazione su scala planetaria dello strano mezzo di trasporto ch'era il velocipede.
La bicicletta era stata inventata nel 1817 dal barone tedesco Karl Drais von Sauerbronn, il cui ingegno aveva partorito l'idea di un cavallo meccanico a due ruote come soluzione alla crisi di sussistenza che stava colpendo l'Europa da due anni. Nel 1815 il vulcano indonesiano Tambora era esploso con fragore, e l'immensa nube di cenere si era spinta fino all'emisfero settentrionale, filtrando i raggi del sole e abbassando le temperature. Il 1816 era stato “l'anno senza estate”: gravi carestie avevano colpito tutto il vecchio continente e, in Germania come altrove, i cavalli – quelli veri – venivano macellati per mancanza di altro cibo.
Per il trasporto occorreva dunque inventarsi un'alternativa, e la proto-bicicletta fu la soluzione di Karl Drais, che il 12 giugno 1817 si rese protagonista della prima uscita in bici della storia, da Mannheim a Schwetzingen e ritorno, 15 chilometri in totale. Tuttavia il barone non poté godere del successo della sua invenzione: morì povero e deriso dai più, la sua bicicletta per affermarsi avrebbe necessitato di due fondamentali miglioramenti. In primis, i pedali; subito dopo, lo pneumatico.
Oggi i copertoni P Zero Velo, introdotti a duecento anni esatti dall'invenzione del velocipede, sono l'evoluzione diretta dei modelli che permisero alle prime biciclette di esplorare le strade polverose del Giro e del Tour. Sono una proiezione nel futuro perché sfruttano la storia secolare di un'azienda che ha deciso di mettere a disposizione dei ciclisti la propria esperienza. Nei copertoni P Zero Velo convergono la Superbike e la Formula 1, i circuiti di prova, le strade a cielo aperto e, soprattutto, i laboratori della Bicocca, quelli disegnati da Mario Stroppa e oggi aperti ai giornalisti. Alle loro penne, non ai loro smartphone. Non si possono scattare foto nei laboratori Pirelli. Laddove i pneumatici si fabbricavano, adesso vengono immaginati e testati. Al loro interno si lavora a prototipi segreti; le immagini, i suoni e gli odori si possono immagazzinare solo nella propria mente e sui propri taccuini.
Rileggere gli appunti al termine della visita guidata, allora, significa rientrare nel laboratorio di chimica, dove il caucciù sembra liquirizia e decine di barattoli di sostanze diverse sono schierati sul tavolo a centro sala. Gli scienziati studiano le caratteristiche della mescola: l'idea rivoluzionaria si chiama SmartNet Silica™, vuol dire che le nano-particelle sono intelligenti, si dispongono in una rete e legano a sé altri elementi della mescola. Lo si può verificare in un'altra stanza, dentro microscopi potenti e nelle radiografie spiegate da un addetto in camice bianco: le nuove molecole di silice sono allungate e si dispongono longitudinalmente, predisposte all'elasticità e alla scorrevolezza.
Nella stanza dei test di stabilità una macchina silenziosa punge un pezzo di gomma e i colori del monitor rivelano che la nuova mescola ha una resistenza alle forature doppia rispetto a quelle tradizionali. Poi si scende. Nei piani sotterranei la gomma ha incontrato il fuoco: è stata vulcanizzata, è diventata nastro su cui rotoleranno chilometri ed avventure. Ha un odore più intenso. I copertoni vengono testati da bracci giganti che li inclinano, li stressano e li fanno accelerare su un surrogato di strada che scorre come un tapis roulant. Altri test vengono condotti molto lontano da qui, alle pendici dell'Etna, dove l'odore della gomma viene sovrastato da quello dei limoni, e il grip messo alla prova di asfalti ora basaltici, ora calcarei.
Gli pneumatici P Zero Velo nascono negli edifici della Bicocca e si aprono al mondo dopo aver superato i test del fuoco e dell'acqua, dopo essersi ingraziati Vulcano e Nettuno. Si mettono in scia delle prime biciclette, applicano loro oltre un secolo di innovazione e le portano nel futuro, promettendo di perfezionare il rapporto tra l'uomo e la bicicletta, tra la macchina migliore di sempre e la sua invenzione migliore di sempre.