La storia di Piero Taruffi: pilota e innovatore | Pirelli

On this week #41: Piero Taruffi

 

Il 12 ottobre 1906 nacque ad Albano Laziale, in provincia di Roma, Piero Taruffi, uno dei personaggi più poliedrici e versatili del mondo del motorismo a due e a quattro ruote. Infatti, il suo nome è rimasto famoso non soltanto per i suoi successi sulle piste e sulle strade ma anche per la sua genialità e per la preparazione tecnica, che trasformava in una meticolosità estrema nello studio del comportamento dei mezzi con cui correva.

Suo e dell'amico Carlo Giannini il progetto e la realizzazione del “bisiluro” con cui conquistò diversi record di velocità.

 

 

Brillante negli studi e nelle attività sportive, le corse divennero ben presto la sua passione principale, anche grazie al coinvolgimento paterno, che lo fece esordire, quando aveva 17 anni, e vincere al volante di una Fiat 501 S in una gara di regolarità fra Roma e Viterbo. Come regalo per la maturità classica ricevette una moto da corsa con cui iniziò a mettersi in luce a livello agonistico e, durante gli studi di ingegneria, continuò in parallelo a cimentarsi nelle gare. La sua carriera nelle corse iniziò a decollare sulle due ruote, dove si affermò rapidamente. Vinse il Campionato Italiano di velocità nel 1932 e partecipò a diverse gare prestigiose a livello internazionale, tra cui il Gran Premio delle Nazioni.

Nel 1931 fu notato da Enzo Ferrari, che lo ingaggiò per farlo correre con la sua scuderia: inizio così un rapporto altalenante ma che avrebbe contraddistinto la carriera del romano fino alla sua fine. Fu proprio Ferrari a ridare un sedile per una corsa in salita alle porte di Roma – da Vermicino a Rocca di Papa - ad un Taruffi ancora non pienamente a posto dopo un grave incidente che lo aveva visto protagonista nel Gran Premio di Tripoli del 1934, in cui aveva riportato fratture a un braccio e a una gamba: “Quando lasciai la clinica avevo un polpaccio quasi completamente rivestito da una sottilissima plastica, costituita da 80 pezzi di pelle affettati dalle cosce; l'articolazione del braccio sinistro, rimasta ingessata ed in estensione per più di due mesi, non era più in grado di flettere. Non riuscivo a farmi il nodo alla cravatta ma potevo impugnare a braccio teso il volante di un'automobile e questo per me era sufficiente”.

Taruffi corse con tutti i più importanti marchi automobilistici fra gli anni '30 e gli anni '50 – Alfa Romeo, Bugatti, Cisitalia, Ferrari, Lancia, Maserati, Mercedes – e vinse tantissime gare, soprattutto quelle di durata. In Formula 1 disputò 18 Gran Premi validi per il campionato mondiale Piloti, vincendo quello di Svizzera del 1952 con la Ferrari 500 e salendo sul podio altre quattro volte, fra cui un secondo posto con la Mercedes a Monza nel 1955. Fuori dal calendario iridato – all'epoca erano numerose e, spesso, molto prestigiose anche altre gare – s'impose nell'Ulster Trophy e nel Gran Premio di Parigi, sempre nel 1952 e sempre con una vettura di Maranello. Ricchissimo il suo palmarès nelle gare di durata: fra i successi più importanti ci sono la Targa Florio 1954 con la Lancia D24, la Carrera Panamericana 1951 insieme a Luigi Chinetti al volante di una Ferrari 212 Inter, la 1000 Km del Nürburgring con una Maserati 300 S condivisa con Harry Schell, Jean Behra e Stirling Moss, e il Giro di Sicilia 1955 con una Ferrari 118 LM.

La corsa cui il nome di Taruffi è inscindibilmente legato è la Mille Miglia. Ci aveva provato tante volte – ben quindici le sue partecipazioni dal 1930 al 1956 – ma il successo assoluto gli era sempre sfuggito: i migliori risultati erano stati il terzo posto nel 1933 con l'Alfa Romeo della Scuderia Ferrari e le vittorie di classe del 1934 (Maserati) e del 1938 (Fiat). Arrivato ai 50 anni d'età, la Volpe d'Argento (un soprannome ricevuto nelle sue partecipazioni alla Carrera Panamericana per via della sua capigliatura folta ma precocemente invecchiata) cominciava a sentire il peso dell'età e, soprattutto, di una famiglia che gli chiedeva di porre fine alla carriera agonistica e ai rischi che essa comportava. C'era però un ultimo sogno da inseguire ed Enzo Ferrari gli mise a disposizione una 315 S per provare a vincere l'edizione 1957, con il patto che se ce l'avesse fatta, si sarebbe ritirato. La corsa fu dominata dalle vetture di Maranello, tanto che al controllo di Bologna Peter Collins era in testa, seguito proprio da Taruffi e poi da Von Trips. Ferrari fu di parola. “Quando arrivò, mi disse di accusare una sensibile stanchezza fisica” – raccontò sul suo libro “Piloti, che gente” – “inoltre, diceva che la sua macchina non era più brillante come nella prima parte del percorso. Lo rincuorai: ‘Lei deve continuare perché può vincere'. Lo informai rapidamente che era transitato Collins ma che accusava difficoltà meccaniche… Aveva alle costole soltanto von Trips. Andasse dunque, a von Trips avrei parlato io. E von Trips rispettò la consegna, anche quando intravide e raggiunse Taruffi, si astenne dall'ingaggiare con lui una lotta che avrebbe potuto portare all'eliminazione di uno dei due. Così Taruffi, proprio all'ultima delle gloriose Mille Miglia (la corsa fu vietata per sempre dopo il tragico incidente di Guidizzolo, n.d.r.), coronò il suo sogno di pilota completo. E mantenne la promessa alla signora Isabella”. Un'applicazione degli ordini di squadra che, con la perfidia che ogni tanto lo contraddistingueva, Ferrari non perse occasione di far notare: “In un'intervista, ad anni di distanza, affermò di aver sostenuto una lotta accanita con von Trips che a tutti costi voleva superarlo. Ormai von Trips era scomparso a Monza nell'incidente con Clark…”

Oltre alla sua attività di pilota e ingegnere, Taruffi fu anche autore di libri tecnici e di manuali sulle tecniche di guida. Uno dei suoi testi più conosciuti è "L'arte di guidare", in cui spiegava in dettaglio le tecniche per affrontare le curve e le varie situazioni in gara. Questo libro divenne una lettura obbligata per i giovani piloti dell'epoca e viene ancora oggi considerato una risorsa preziosa per comprendere le dinamiche della guida sportiva. Non fu solo un pilota di successo e un ingegnere innovativo, ma anche una persona profondamente rispettata nel mondo del motorsport per la sua integrità e il suo spirito sportivo. Dopo il suo ritiro dalle corse, continuò a dedicarsi al mondo delle competizioni automobilistiche attraverso il suo lavoro tecnico e la sua attività di scrittore. Morì il 12 gennaio 1988.