On this week #25: Denny Hulme
Il 18 giugno 1936 nasceva a Te Puke (Nuova Zelanda), Denny Hulme, campione del mondo di Formula 1 nel 1967. L'Orso – questo il suo soprannome, dovuto ad un carattere a dir poco burbero e a una corporatura piuttosto robusta – fece parte di quella generazione di piloti di Down Under – dall'australiano Jack Brabham ai neozelandesi Chris Amon e Bruce McLaren -che ha segnato la storia dell'automobilismo sportivo a partire dalla fine degli anni Cinquanta per poi esplodere nel decennio successivo.
Figlio di un eroe della Seconda Guerra Mondiale – il padre Clive si distinse come cecchino nella Battaglia di Creta nel 1941, ricevendo la Victoria Cross dell'Impero britannico – Denny imparò sin da piccolo ad avere un volante fra le mani sfruttando le sue doti di guidatore sia per lavoro – si guadagnò i primi soldi come autotrasportatore – sia per passione, mettendosi in luce nelle competizioni in salita in Nuova Zelanda. Grazie ai risparmi suoi e del padre fu possibile acquistare una Cooper-Climax di Formula 2 con cui riuscì a guadagnarsi, ex-aequo con un altro talento neozelandese come George Lawton, il “Driver To Europe Award”, una borsa di studio che nel 1960 gli avrebbe consentito di iniziare a correre in Europa, seguendo le orme del connazionale McLaren, già in Formula 1 da due anni.
Il primo anno di corse fu funestato dalla tragica morte di Lawton, vittima di un incidente fatale in una gara di F2 a Roskilde (Danimarca). Per Denny fu un colpo durissimo ma non abbastanza da fargli abbandonare il sogno di avere successo come pilota, anche se i soldi scarseggiavano. Jack Brabham gli offrì un lavoro come meccanico nella sua squadra ma poi capì che quel giovane aveva anche altre doti e iniziò a farlo correre con le vetture sport e anche le sue monoposto, prima in Formula Junior e poi in Formula 2. Nel 1965 arrivò l'esordio di Hulme nella massima competizione automobilistica, nel Gran Premio di Monaco, e l'anno successivo il neozelandese contribuì con quattro piazzamenti sul podio alla conquista del titolo Costruttori per la Brabham, il cui fondatore si aggiudicò anche il suo terzo titolo Piloti. Nello stesso anno, il neozelandese fu uno dei grandi protagonisti della tripletta leggendaria della Ford GT40 nella 24 Ore di Le Mans, conclusasi con un arrivo in parata: in coppia con Ken Miles fu classificato al secondo posto, alle spalle dell'equipaggio formato dagli altri due neozelandesi Amon e McLaren, soltanto perché essendosi qualificati meglio dei compagni di squadra avevano percorso meno chilometri.
Il 1967 fu l'anno della consacrazione. Sempre in coppia con Brabham, stavolta Hulme non si limitò ad accompagnare il suo capo verso un'altra doppietta iridata: una straordinaria regolarità – solo due ritiri su undici gare, mai sotto il quarto posto una volta passato sotto la bandiera a scacchi – gli consentì di sopravanzare l'australiano di cinque punti e di laurearsi campione del mondo all'ultima gara, in Messico, conclusa con l'ottavo piazzamento sul podio. Due le vittorie – a Monaco nella corsa funestata dall'incidente che costò la vita a Lorenzo Bandini – e al Nürburgring – furono i picchi di una stagione irripetibile.
La crescita e il successo del pilota neozelandese furono accompagnati da molto scettiscismo della critica ma non scalfirono mai la pelle dell'Orso, che non aveva nessuna voglia di perdere tempo nelle pubbliche relazioni – chissà come se la sarebbe cavata oggi in un mondo dove sono ci sono i social media a tenerti sempre sotto i riflettori… - ma amava soltanto correre e starsene con la famiglia e gli amici più stretti. Fra questi c'era proprio McLaren, con cui aveva iniziato a correre nel campionato Can-Am, dando vita a quello che fu definito il “Bruce and Denny Show”, per i successi in serie che seppero raccogliere in quegli anni nella popolarissima serie nordamericana al volante delle vetture che portavano il nome dell'amico e compagno di squadra. La collaborazione con McLaren non fu altrettanto ricca di vittorie in Formula 1 ma consentì comunque a Hulme di conquistare altri tre Gran Premi: Italia e Canada nel 1968 e Messico nel 1969.
Il 1970 fu un anno tragico. Il 12 maggio Hulme si ustionò gravemente alle mani nelle prove della 500 Miglia di Indianapolis, un incidente che ne condizionò pesantemente tutta la stagione. Meno di un mese dopo, il 2 giugno, Bruce McLaren perse la vita sul circuito di Goodwood durante un test di una sua vettura per la Can-AM. Fu un colpo durissimo per Hulme, che continuò a correre ancora altre quattro stagioni – vincendo peraltro tre Gran Premi: Sudafrica nel 1972, Svezia nel 1973 e Argentina nel 1974 – finché la morte non tornò a bussare vicino alla sua porta. Il 22 marzo del 1974 l'amico Peter Revson perse la vita in un test a Kyalami: Hulme terminò a fatica la stagione di Formula 1 ma poi disse basta e tornò in Nuova Zelanda, chiudendo così la sua carriera ad alto livello.
La passione per le corse però non si spense, perché Hulme continuò a correre, anche se saltuariamente, in varie competizioni per vetture Turismo, sia in Australasia che in Europa, e addirittura nelle corse per camion. Ma la morte non aveva smesso di seguirlo, anzi lo tallonava sempre più da vicino. Il giorno di Natale 1988 fu funestato dalla scomparsa del figlio ventunenne Martin, vittima di un malore durante un'immersione nel lago Rotoiti, uno shock da cui Denny non si riprese mai veramente. Infine, venne raggiunto all'indirizzo giusto, non casualmente su una pista, quasi quattro anni più tardi. Il 4 ottobre 1992, a Mount Panorama si disputava la prestigiosa Bathurst 1000 e Hulme era alla guida di una BMW M3 quando disse via radio che non riusciva a vedere bene. La squadra pensò che fosse a causa della pioggia ma la realtà era ben diversa: la sua vettura fu trovata quasi come parcheggiata accostata alle barriere di protezione e i commissari di percorso che lo tirarono fuori dall'abitacolo non poterono che constatarne la morte. Dopo tanti colpi subiti, anche il grande cuore dell'Orso aveva smesso di battere.