Il derby di Milano non è come gli altri
Certe panoramiche di San Siro – le gradinate che declinano imperiose verso il campo, le file sovrapposte che brulicano di tifosi, il verde scintillante del prato – restituiscono l'impressione che tutto, in questo posto, contribuisca a creare un senso di vertigine, maestosa e accattivante. È qualcosa che ritorna, amplificata e inebriante, ogni volta che Inter e Milan si incontrano in uno dei derby più spettacolari del panorama calcistico internazionale: allora la vertigine si fa elettricità, e l'atmosfera circostante – l'inventiva schietta delle due curve, il ritmo coinvolgente degli applausi, il modo in cui a un gol segue la reazione tonante del pubblico, prima scoppio sordo poi sciabordio estatico – di fronte a cui non si può non rimanere abbacinati.
È una storia di passione e bellezza sportiva a cui Pirelli ha abbinato il proprio marchio, da quando – nel 1995 – ha scelto di comparire sulle maglie dell'Inter. Così Pirelli ha associato la propria immagine ai calciatori più forti della Terra, da Ronaldo a Vieri, da Milito a Ibrahimovic, da Zanetti a Icardi, tutti protagonisti di partite epiche contro avversari di valore altrettanto mondiale, come Maldini, Shevchenko, Pirlo, Kaká. È la meraviglia irripetibile del derby della Madonnina, da nessuna altra parte in Europa si registra una situazione del genere, dove le due rivali vantano pari prestigio e pari importanza: vuoi perché esiste un divario sportivo ed economico (Barcellona, Monaco di Baviera, Liverpool) vuoi perché la polarizzazione non avviene attorno a due sole squadre (Londra) o perché la rivalità alla pari è neonata e non consolidata (Manchester, per certi versi Madrid). La tradizione del derby di Milano è, da sola, un richiamo irresistibile per gli appassionati, a qualsiasi latitudine, ed è in qualche modo sovrapponibile alla tradizione di eccellenza di Pirelli.
I derby della scorsa stagione hanno assecondato l'idea di una rivalità in equilibrio, devota allo spettacolo e all'emotività. Nella partita di andata, nel novembre 2016, Suso aveva portato per due volte in vantaggio il Milan, con in mezzo il provvisorio pareggio di Candreva. Poi, in pieno recupero, l'Inter batteva un calcio d'angolo: lì, nel cuore dell'area di rigore, si scatenava una sequenza di duelli omerici, le maglie nerazzurre che attaccavano forsennate verso la porta, quelle rossonere che ne contenevano l'assalto, come brandendo scudi contro spade sguainate. Tutt'intorno, il pubblico in piedi, lo sguardo fisso sulla parabola del pallone, che viaggiava spedita sulla testa di Murillo e poi, come una trottola, raggiungeva il piede sinistro di Perisic per il più facile dei gol. Cinque mesi dopo, nella gara di ritorno, la stessa azione si ripeteva, stavolta a parti inverse, con il gol di Zapata a replicare dinamica dell'azione e risultato.
Quel derby, giocato ad aprile 2017, ha rappresentato un passaggio di testimone importante: era la prima volta che le due società erano entrambe detenute da proprietà straniere, a riprova di un orizzonte, sportivo ed economico, che guarda – e ha un potenziale – ben oltre i confini della città. Però il derby di Milano ha questo: se la contrapposizione tra muturèta – gli interisti, che andavano allo stadio in motorino – e tramvèe – i milanisti, meno abbienti e quindi costretti ai mezzi pubblici – appartiene a un passato remoto, rimane un'identità fortissima a marcare il senso di appartenenza, a una squadra o all'altra. La storia dell'Inter, del resto, nasce da un'opposizione all'interno del Milan: di fronte al divieto di arruolare stranieri in squadra, alcuni dirigenti decisero di uscire dalla società rossonera e fondarne una nuova, che nel nome – Internazionale – avrebbe affermato la propria cifra politica. L'identità è quindi quella del proprio nome, della propria fede, dichiaratamente diversa da quella rivale: senza, però, cadere mai in alcuna deriva extracalcistica, come avviene, ad esempio, a Glasgow. È tutto circoscritto al campo, alle imprese e alle disfatte, di una sfida ultrasecolare: il primo Milan-Inter si giocò il 10 gennaio 1909, e fu vinto dai primi per 3-2.
La supremazia è e resta un concetto importante nel dualismo tra le due squadre: lo slogan “Milano siamo noi” viene fatto proprio ora da una, ora dall'altra tifoseria, a riprova di un continuo rimbeccarsi e inseguirsi – in tono spesso e soprattutto canzonatorio, come molte coreografie hanno negli anni ricordato. San Siro è perciò lo spazio del confronto, prima dialettico, poi sportivo, dove la storia passa davanti ai nostri occhi – e noi stessi, che siamo lì ad ammirarla, ne facciamo parte.