Come si cambiano i centri urbani per renderli a misura di ciclisti: un'intervista con Mikael Colville-Andersen, fondatore dello studio urbanistico Copenhagenize
La prima cosa che mi colpì, arrivando per la prima volta a Basilea, dopo alcune – poche e piacevoli – ore di treno da Milano, fu il parcheggio per le biciclette appena fuori la stazione: ce n'erano centinaia, forse migliaia, all'apparenza caotiche eppure ordinate. Scoprii, nei mesi e negli anni successivi, che la stessa scena si ripeteva in altre città europee, spingendosi ancora più a nord.
Da anni, a Milano, mi sposto in bicicletta ogni giorno. Ogni mattina pedalo per circa quattro chilometri, ma negli anni successivi ho avuto lavori che mi costringevano anche a distanze maggiori: sette chilometri, per la precisione, ovvero circa mezz'ora sui pedali. Milano, durante gli ultimi anni, ha visto un sensibile aumento delle corsie e delle piste ciclabili: alcune sono state ricavate, restringendo le corsie per le auto o eliminando le file di parcheggi, altre sono state progettate e costruite ex novo, grazie a riqualificazioni di intere aree, come nel caso di Porta Nuova. Eppure, intere aree della città rimangono scoperte, le rotaie dei tram, anche per quanto riguarda le linee soppresse, un ostacolo diffuso ovunque, e l'educazione “ciclistica” di molti abitanti rimane scarsa. Nel 2015, lo studio di urbanistica Copenhagenize ha pubblicato una versione speciale, estremamente allargata, della classifica delle città più “bike-friendly” del mondo: sono stati recensiti 122 centri urbani, dal Nord America all'Asia, passando, naturalmente, per l'Europa. È in Europa che si trovano le migliori infrastrutture per biciclette: Copenhagen e Amsterdam sono al primo e secondo posto, Utrecht al terzo, seguita da Strasburgo, Eindhoven, Malmö, Nantes, Bordeaux, Anversa. Arriva soltanto al decimo posto la prima città mediterranea, Siviglia, seguita da Barcellona. Si esce dall'Europa solo alla quattordicesima posizione, con Buenos Aires, e si arriva negli Stati Uniti con Minneapolis al posto numero diciotto. Il sito ufficiale del comune di Milano parla di 140 chilometri di piste ciclabili. Copenhagen, che ha meno della metà degli abitanti di Milano – ma ci si potrebbe spingere a dire quasi un terzo – più di 400. Anche alla luce di un confronto del genere, il fatto che lo studio Copenhagenize si chiami così non è sorprendente. Il fondatore, Mikael Colville-Andersen, aveva inizialmente creato un blog con quel nome – un blog che trattava di biciclette, di “cycling culture”, di città – e successivamente ha rinominato così il suo studio. Copenhagenize oggi lavora con città in tutto il mondo per progettare soluzioni che rendano più “bike friendly” le strade. «Mi sono trovato al posto giusto nel momento giusto, e ho intuito il potenziale nell'idea di ristabilire la bicicletta come mezzo di trasporto nella coscienza del pubblico», mi dice quando gli chiedo dei suoi inizi. Sfogliando il portfolio di clienti, mi soffermo sulla dicitura «Complete bicycle strategy», ovvero il servizio che Copenhagenize ha realizzato per Almetyevsk, una piccola città russa della Repubblica del Tatarstan, nella Russia centro-orientale, vicina, se così si può dire, parlando di circa 250 chilometri, alla capitale regionale Kazan. Chiedo a Mikael che tipo di sfida rappresenta, lui spiega: «La sfida è sempre la scala del progetto. Modernizzare i trasporti di una città disegnando il network di piste ciclabile è un progetto molto grande. Almetyevsk è piccola, ma adesso stiamo facendo la stessa cosa per Detroit. Tuttavia, è un lavoro “lineare”: mappiamo le “desire lines” dei ciclisti e i percorsi migliori per spostarsi nelle vie, e cerchiamo di riallocare lo spazio nelle strade, per far posto alle biciclette. È un lavoro complesso, ma in fondo non abbiamo inventato niente».
“Desire lines”, o “desire path”, è un'espressione sempre più usata quando si parla di pianificazione urbanistica. Tuttavia, siamo abituati a vedere questi “sentieri del desiderio” tracciati in aiuole, prati, boschi: sono quei sentieri formatisi con l'erosione della vegetazione da parte di un frequente traffico umano, che ha apparentemente scelto quella via come la migliore per andare da un punto A a un punto B. Mappare le “desire lines” delle biciclette permette di conoscere quali sono i percorsi più utilizzati dai ciclisti in determinate zone urbane, e renderli concreti e sicuri costruendo una pista ciclabile. Può capitare che i “desire path” non seguano esattamente le strade già costruite, ma passino tra palazzi, per cortili aperti, o attraverso piazze e altri elementi non riservati alla circolazione. Questo succede perché il reticolo stradale di una città è spesso più antico degli edifici contenuti, che, cambiando, possono offrire nuovi “path” da percorrere. A differenza di Almetyevsk, costruita negli ultimi anni grazie alla ricchezza garantita dai vicini giacimenti di petrolio, molte città in Europa hanno un'origine pre-medievale, con strade strette, centri città tortuosi in cui è difficile ricavare piste ciclabili. «Sbarazziamoci delle macchine, e otterremo un sacco di spazio», mi risponde Mikael Colville-Andersen. «Quelle strade non sono state costruite nemmeno per le auto. Helsinki sta lavorando per eliminare automobili private entro il 2030, offrendo servizi di car sharing. Ma sta anche espandendo la sua rete di piste ciclabili perché le biciclette verranno, di conseguenza, usate di più». Gli chiedo se, mentre il car sharing farà diminuire le auto private, succederà lo stesso con il bike sharing. «Il bike sharing è un elemento chiave nella pianificazione urbanistica di oggi, ma raramente ha avuto un impatto negativo sulle biciclette private. Nei cinque anni in cui Parigi ha lanciato il suo programma Velib, che oggi ha circa 20.000 bici disponibili, in città si sono vendute due milioni di biciclette», spiega. «Il bike sharing è comodo, e spinge le persone a voler possedere una bici privata. È una questione di convenienza: una bici è sempre appena fuori da casa tua. In meno di un minuto sei già in moto. La gente sceglierà sempre questo». Mentre scrivo questo articolo, nelle ultime ore calde del pomeriggio, mi scrivo con un amico e decidiamo per una passeggiata in bicicletta lungo il Naviglio della Martesana, uno dei “piccoli fiumi” di Milano, dotato di una pista ciclabile, diretto verso le campagne poco fuori città. È una cosa che in primavera e in estate faccio spesso, il sabato o la domenica, prima di tornare alla settimana lavorativa. Lo faccio per quello che intende Mikael, quando dice che «Le città hanno sempre funzionato così, con cittadini che camminano gomito a gomito. Antropologicamente, c'è un indubbio vantaggio nell'andare in bicicletta».