Per riprendere una definizione dell'International Labour Organization, l'agenzia dell'Onu specializzata nella giustizia sociale e nei diritti dei lavoratori, i green jobs sono «i mestieri che contribuiscono a preservare o ripristinare l'ambiente, sia nei settori tradizionali come la produzione e l'edilizia, sia in quelli dei nuovi settori verdi emergenti come le energie rinnovabili e l'efficienza energetica». Parliamo di figure tecnico-scientifiche o organizzative come gli ingegneri energetici esperti nel settore delle rinnovabili, i sustainability manager, i risk-manager, i mobility manager, i consulenti e gli esperti di diritto ambientale o i manager delle risorse umane focalizzati su diritti socio-ambientali e parità di genere, perché non esiste transizione ecologica senza una giustizia sociale. Sono e saranno importanti gli scienziati climatici, le guardie forestali e poi chiaramente tutti gli operai o i progettisti impegnati nella costruzione delle infrastrutture della transizione energetica come i pannelli solari o le pale eoliche.
Oltre a questi mestieri, che possono essere considerati direttamente responsabili della transizione energetica, ci sono nuove professioni nate per rispondere alle esigenze di un mondo in evoluzione. Gli stessi lavori considerati tradizionali hanno subito inevitabilmente delle integrazioni, serviranno per esempio agronomi e agricoltori, per rendere da un lato questo settore più sostenibile e meno impattante, dall'altro per fare i conti con uno scenario climatico molto complicato; ci sono poi professioni meno conosciute come gli esperti in forest therapy e le guide che aiutano le persone a sperimentare i benefici del contatto con la natura; e poi gli arboricoltori tree climber, professionisti specializzati nella cura degli alberi e abili ad arrampicarsi su di essi, e i gestori dei rifiuti. Non bisogna, infine, sottovalutare il ruolo delle persone impegnate nella comunicazione dell'emergenza ambientale e delle possibili soluzioni: divulgatori scientifici, fotografi naturalisti, cacciatori di eco-tendenze, influencer green, tutti a loro modo importanti per portare l'attenzione su questi temi e sull'importanza di avere abitudini e stili di vita rispettosi dell'ambiente.
La transizione ecologica è infatti prima di tutto una necessità per salvare la biodiversità sul Pianeta, ma è anche una clamorosa opportunità di crescita economica, tecnologica, sociale. Fortunatamente chi ancora oggi nega la crisi climatica in corso è in netta minoranza: sono pochi a non abbracciare il cambio di paradigma necessario per il nostro sistema produttivo e continuare invece a mantenere con la formula business as usual.
Se è vero che la transizione deve essere, come dice il termine, una transizione, per permettere al sistema produttivo di adeguarsi senza shock, bisogna considerare che la stessa, oltre a consentirci di combattere l'emergenza climatica, creerà ricchezza socio-economica e un numero potenzialmente altissimo di posti di lavoro. Secondo il report di McKinsey&Company The net zero transition, what it would cost, what it could bring, uscito a gennaio 2022, la transizione ecologica porterà alla creazione di circa 200 milioni di nuovi posti di lavoro diretti e indiretti e alla contemporanea perdita o riqualificazione di 185 milioni di posizioni entro il 2050.
Il saldo sarà dunque positivo. Negli ultimi dieci anni istituzioni, mondo imprenditoriale e aziendale hanno certamente cambiato il loro punto di vista, assumendo consapevolezza sulle tematiche green. Una generale spinta delle imprese verso un attivismo diffuso ha infatti generato coscienza e al tempo stesso competenze, portando a una conseguente aumento dei nuovi green jobs (tendenza destinata inevitabilmente a crescere).