Il tema della sicurezza stradale è un punto fondamentale per lo sviluppo sostenibile. E le nazioni Unite nell'aprile 2018 hanno lanciato lo United nations road safety fund (Unrsf), un'istituzione che mira ad avviare programmi di sicurezza stradale, soprattutto nei Paesi poveri.
A maggio 2021 il Fondo ha partecipato alla sesta edizione della Global road safety week, un'occasione per i vari stakeholder della mobilità sostenibile e sicura (tra cui Pirelli, finanziatrice del fondo) di confrontarsi sulle prossime sfide a livello globale. Il tema scelto è stato la velocità sicura e la promozione di #StreetsForLife e dei limiti di velocità di 30 km/h da applicarsi ovunque si presentino situazioni di vulnerabilità per i pedoni.
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A fare il bilancio è Matthew Baldwin, coordinatore europeo per la Sicurezza stradale e la Mobilità sostenibile, oltre che direttore del Comitato consultivo dell'Unsrf: «È stata un'ottima settimana, nonostante fosse la prima organizzata interamente online. La risposta è stata sorprendente, sono state raggiunte moltissime persone con i social».
Il tema della sesta Global road safety week era la riduzione dei limiti di velocità sulle strade urbane a 30 km/h: quali risultati sono stati raggiunti?
«Fino a poco tempo fa, la sicurezza stradale era percepita come un tema capace di far preoccupare solo la gente ricca, che non avesse altri grattacapi, e invece oggi abbiamo visto una grande partecipazione degli abitanti provenienti dai Paesi del Sud del mondo, dove gli incidenti mortali sono purtroppo molto più significative».
Perché è così importante, in termini di sicurezza e di ambiente, abbassare i limiti di velocità?
Baldwin ha sottolineato che questo tipo di questioni, all'interno dell'Unione europea, spettano agli Stati membri e spesso alle singole città, metropoli – l'UE non ha la competenza legale. Ma è comunque sorprendente vedere quanti paesi e città stiano intraprendendo questa direzione.
«Prima di tutto, per ridurre la letalità. Un pedone o un ciclista colpiti da una macchina che viaggia a 30 km/h hanno il 90% di possibilità di sopravvivere. Se l'auto va a 60 km/h, la probabilità scende al 30%. Nell'Unione europea, il 70% dei morti negli incidenti stradali sono pedoni, ciclisti o motociclisti: muoiono i più vulnerabili. Se negli anni abbiamo reso più sicuro il viaggiare dentro un'auto, lo stesso non si può ancora dire per l'esterno. A livello ambientale, invece, andare massimo a 30 km/h nelle città permetterebbe di ridurre le emissioni perché andando a 50, nel traffico cittadino, ci sono accelerate e frenate brusche e continue, migliorando contemporaneamente il flusso di traffico.
Dobbiamo fare progressi sotto entrambi i punti di vista, considerando che spesso uno aiuta l'altro».
Lei è il coordinatore europeo per la Sicurezza stradale e la Mobilità sostenibile. A che punto siamo su questi temi? Cosa stiamo facendo, e cosa dobbiamo fare?
«È importante unire i due campi e allargare la questione della sicurezza stradale a tutta la comunità, perché la road safety ha implicazioni in molti campi, dalle discriminazioni di genere alla sostenibilità. Il nostro è un approccio olistico: vogliamo analizzare tutti gli elementi di un incidente stradale (i veicoli, le infrastrutture, la velocità) e migliorare il funzionamento di ogni componente. È vero che spesso gli incidenti avvengono per colpa dei guidatori, ma un incidente non deve per forza uccidere le persone. Voglio vivere in un mondo in cui i bambini possono correre per strada senza per questo morire. Per questo, e per raggiungere il nostro obiettivo di dimezzare le morti in strada entro il 2030 a livello globale, serve un'alleanza con i governi, la società civile e le aziende».
Cosa possono fare le istituzioni, le organizzazioni e soprattutto le aziende?
«Non è vero, come dice qualcuno, che i governi siano gli unici responsabili. Siamo molto contenti che privati come Pirelli siano attivi sul tema. Dobbiamo avere tutti la stessa missione e le grandi compagnie devono farsi avanti, perché hanno i mezzi per essere ascoltate. Pirelli, un'azienda determinata a migliorare nella sicurezza stradale, può usare una piattaforma come quella della Formula 1, di cui è fornitore ufficiale, per sensibilizzare sul tema e contribuire ai progressi».
Il Road safety fund delle Nazioni unite quale contributo sta portando?
«È un fondo nato da poco, giovane, ancora in fase di rodaggio, ma per me è molto eccitante essere coinvolto (come chairman dell'advisory board, ndr). Stiamo finanziando per il momento quindici progetti in Paesi a medio e basso reddito, dove si concentra il maggior numero di incidenti mortali».
Come immagina la mobilità, le città e le strade del mondo tra dieci anni?
«Ci saranno di sicuro dei cambiamenti, già con la pandemia abbiamo visto grandi trasformazioni nell'uso dello spazio cittadino. Dobbiamo ridurre la dipendenza da macchine private e alimentate da combustibili fossili, incoraggiando la mobilità attiva, quella dei pedoni e dei ciclisti, e il trasporto pubblico. Le automobili, certo, continueranno a essere importanti, soprattutto fuori città, per questo dobbiamo sviluppare veicoli elettrici o a idrogeno, per raggiungere la neutralità climatica. Le città e le strade del futuro devono essere sicure e sostenibili, e le due cose viaggiano sempre di pari passo».
Come può la tecnologia aiutarci a ridurre le morti in strada?
«In molti modi. Per esempio, l'Europa ha stabilito che tutte le nuove auto dovranno avere l'Intelligent Speed Assistance e Automated Emergency Braking dal 2022, e tutte le auto in generale a partire dal 2024».