I livelli di traffico e di inquinamento atmosferico raggiunti da quasi tutte le città del mondo stanno incoraggiando (o imponendo), negli ultimi anni, una rivoluzione nella mobilità. Bastano pochi dati, del resto, per capire come sia necessario cambiare il modo in cui concepiamo gli spostamenti cittadini. Secondo un recente report dell'Organizzazione mondiale della sanità, ogni anno nel mondo ci sono 7 milioni di morti premature causate dall'inquinamento atmosferico, e il 99 per cento della popolazione globale respira un'aria che non rispetta gli standard qualitativi ritenuti sicuri dall'Oms. Oltre a questo, ogni anno circa 1 milione e 350mila persone muoiono in incidenti stradali in tutto il mondo, principalmente nei Paesi a medio e basso reddito. Una risposta a questa situazione è la micromobilità, definita dalla Federal highway administration statunitense come la mobilità che utilizza «qualsiasi mezzo di trasporto di piccole dimensioni, a bassa velocità, a propulsione umana o elettrica».
Quali sono quindi questi mezzi? Le biciclette, le e-bike, i monopattini (elettrici e non) ma anche i vari skateboard, segway, hoverboard, monowheel. Uno dei denominatori comuni è chiaramente la sostenibilità, il basso impatto ambientale, sia in termini atmosferici sia acustici.
L'idea alla base della micromobilità urbana è di promuovere l'utilizzo di questi mezzi leggeri per migliorare la sicurezza e la qualità dell'aria delle città. Per raggiungere gli obiettivi occorrono interventi in vari ambiti, da quello infrastrutturale, con la creazione di piste e spazi ciclabili e pedonali, a quello regolamentare, con l'abbassamento dei limiti di velocità per le auto (creando Zone 30 in tutto il centro città) e la stesura di regole e codici stradali ad hoc per monopattini, biciclette e simili. Servono anche incentivi all'acquisto di questi mezzi, alla diffusione della micromobilità in sharing, al bike to work, e tutti gli altri provvedimenti utili per stimolare i cittadini a preferire i mezzi di mobilità leggera a quelli più impattanti.
Quasi tutti i Paesi e le metropoli del mondo si stanno, un po' faticosamente, muovendo in questa direzione. Parigi vuole diventare una città al 100 per cento ciclabile entro il 2024, con tutti i principali servizi raggiungibili in 15 minuti, muovendosi a piedi, in bicicletta o, al massimo, su mezzi pubblici elettrici. In Italia nel 2021 sono stati venduti circa 2 milioni tra biciclette ed e-bike, dati simili a quelli del 2020 ma in netto aumento rispetto al 2019, anche grazie a incentivi statali all'acquisto di un mezzo di micromobilità. Oslo da qualche anno ha sostanzialmente eliminato le auto dal centro.
Molti Stati e città hanno inserito nel codice della strada i monopattini elettrici e gli altri mezzi leggeri di nuova generazione. I migliori esperimenti integrano i mezzi della micromobilità e della sharing mobility con i trasporti pubblici, consentendo di portare monopattini e biciclette sui treni urbani e interurbani, creando parcheggi per le bici vicino alle stazioni. I benefici di una città basata sulla micromobilty sono trasversali: c'è il minor impatto sull'ambiente e sulla crisi climatica, certo, ma anche il miglioramento della condizione sanitaria (meno sedentarietà, quindi meno patologie, e pure meno incidenti), economica, perché spostandosi a piedi o con i mezzi leggeri si vive di più (e meglio) la città, e quindi anche sociale.