Sofia Goggia – L'adrenalina della discesa libera
“Se la velocità la si crea nella solidità del percorso dato dalla lentezza della crescita.... eccomi qui. Pronta per questa nuova sfida”. Così Sofia Goggia, 25 anni, medaglia d'oro di discesa libera alle Olimpiadi invernali in Corea, ha raccontato su Instagram il suo infortunio, che l'ha tenuta ferma due mesi: frattura del malleolo peroneale destro. È già andata oltre quella caduta, Sofia. D'altronde, andare oltre è quello che le accade sempre in gara, quando, come ci racconta, “curva dopo curva” è obbligata dalla velocità ad anticipare nella sua mente ogni singolo movimento che verrà. “Un delicatissimo equilibrio tra incoscienza del rischio e consapevolezza del momento”, è la definizione di discesa libera consegnata da Sofia alla lingua italiana attraverso le pagine del dizionario Zingarelli. Ed è esattamente per quel momento -- che “richiede strategia di approccio, lettura continua del terreno e intelligenza tattica. Istinto e spiritualità” -- che la sciatrice dice di vivere. “È una sensazione tale, è un'adrenalina tale, ti fa sentire talmente vivo che quel momento lì vale tutto”, ci racconta mentre continua ad allenare il fisico e la mente per arrivare alle prossime gare “ancora più forte e preparata”. Nonostante un attimo di lentezza.
Come stai?
Tutto bene, ho soltanto una piccola frattura al perone, per il resto tutto a posto. Starò ferma circa due mesi.
Che cosa ti fa andare avanti in un momento di grande difficoltà per un atleta come quello di un infortunio?
Qual è la cosa che alla fine ti fa sempre andare avanti? La motivazione intrinseca è unica: a me piace sciare, indossare il pettorale con la consapevolezza del percorso fatto, di tutto il lavoro che mi ha portato lì, in quel momento. Vivo per quel momento: potermela giocare, ed essere pronta a farlo.
Quindi Sofia Goggia continua a divertirsi?
Assolutamente sì, mi diverto. Quel momento mi diverte, mi eccita proprio, mi fa sentire la vita.
Dammi una definizione di potenza.
La potenza è fare girare lo sci in breve tempo riuscendo a sfruttare la sua struttura a livello massimo nello spazio minimo. Fare girare lo sci e ricevere una riposta elastica talmente ampia da uscire dalla curva come una fionda.
La forza fisica da sola non basta per diventare campioni: va gestita, dosata. E qui entra in gioco la mente. Come si allena la mente di un campione?
Lavorando molto tecnicamente, sapendo dosare la potenza di cui ti ho parlato. Il lavoro mentale per ciascuno è diverso. Riesco a esprimere al massimo la mia potenza in una condizione di libertà: devo essere libera da vincoli, libera da conflitti interni. Libera e armonica.
Dopo la vittoria dell'oro in Corea, hai raccontato che ti sei presa un momento per te stessa, e hai scritto. Lo fai spesso: tieni un diario. La scrittura fa parte della tua preparazione?
Sì, molto. Quando scrivo è un tu per tu con me stessa. Riesco a dar voce a tutti quei pensieri che ho dentro di me. Li lascio fluire. È come se li mettessi su carta e quindi riesco a dar loro una sorta di perimetro, di forma.
Il primo ricordo che hai dello sci?
Il primo ricordo si riconnette alla prima domanda: che cosa mi fa andare avanti? Ci ho pensato tanto in questi giorni. Ho iniziato a sciare a Foppolo, in provincia di Bergamo, a quattro anni. All'inizio facevo solo il sabato e la domenica. Foppolo è una stazione sciistica che ha meno di trecento abitanti e tre impianti in croce. È collegata a Carona, un'altra stazione piccolissima. Spesso noi andavamo da Foppolo a Carona. Per andarci, c'è una stradina di collegamento in piano, di quelle dove devi racchettare. Tuttavia, non c'è stato un giorno della mia infanzia in cui io non sia arrivata prima di tutto il gruppo. È quella bambina lì che mi fa andare avanti, quella che ha voglia di eccellere. Perché la vittoria non dipende solo da te, ma quello che io ricerco tanto nella mia vita è l'eccellenza: se tu eccelli poi i risultati arrivano per forza.
Dici che la vittoria non dipende solo da te. Da che cos'altro dipende?
Magari c'è qualcuno che ti batte, ci sono le avversarie. La vittoria è un risultato. Puoi controllare solo la tua performance sportiva, che poi ti conduce a un risultato. Se c'è qualcuna che scia più forte di te, vince lei. Se c'è qualcuna che fa un miglior tempo di te, vince lei. Il risultato finale dipende sì da te, ma ci sono fattori esterni che tu non puoi controllare.
A che cosa pensi in quei secondi a oltre 100 chilometri all'ora, mentre sei in gara? Che cosa succede dentro la tua testa?
Mi concentro curva dopo curva. Curva dopo curva. Penso a quello che ho da fare di lì a poco. Tu arrivi a un salto, sai che sul dente del salto dovrai avere una determinata posizione, ma andando a 180 chilometri all'ora quella posizione la devi anticipare nella tua testa almeno 20 metri prima. Penso alle cose da fare nel qui e ora, sebbene il mio qui e ora sia anticipato. Non lo devo neanche pensare, perché l'ho già fatto nella mia testa mille volte prima di affrontare la gara.
Che cosa provi mentre scendi?
Eh, libertà, libertà. Quando so che sono sui miei sci, quando so che ho quella potenza di cui abbiamo parlato, quando riesco a sentire la neve, a sentire me stessa, provo una sensazione unica. Mi sento inadeguata a raccontarlo, perché è qualcosa che vivo in una maniera talmente unica e particolare. È un privilegio tale quello che mi è stato concesso. Non credo di poterlo condividere se non tentando a parole, ma non basterebbe neppure un intero dizionario per spiegare quello che sento realmente, perché è indicibile.
Alle velocità che raggiungete, vincere significa rischiare, andare oltre i propri limiti e…
No, no no. Ti sbagli.
Perché?
Perché non vai oltre il tuo limite. Ti avvicini e lo accarezzi, ma se vai oltre rischi. Se c'è un limite, lo devi rispettare. Nella vita ho rischiato tanto. Da giovane, sono caduta tantissimo facendomi male perché non rispettavo i miei limiti, invece il limite è una manna dal cielo: ti fa capire fino a dove puoi spingerti. È un confine labile che va accarezzato. Se stai sotto osi, e osare va bene. Se vai oltre rischi. E quando rischi, raramente ti va bene. Il limite non perdona.
Quindi è una questione di equilibrio, come hai detto altre volte. Quando capisci di aver trovato l'equilibrio?
Guardandoti dentro, e non è facile. Ci sono tantissimi atleti che passano tutta una carriera nella mediocrità, quando magari hanno un potenziale altissimo. Il limite lo trovi cercando di fare ordine in te, cercando di costruire un puzzle con tutti i pezzetti giusti, che ti danno il perimetro e la forma della composizione che vuoi realizzare.
Fin da bambina hai avuto in testa quella “composizione”. A nove anni, hai scritto sulla scheda del tuo sci club: “Voglio vincere le Olimpiadi di discesa libera”. Le hai vinte. Ora qual è il tuo sogno?
Continuo a sognare. Sogno di vincere magari un'altra medaglia da qui a quattro anni, a Pechino. So già la disciplina in cui vorrei vincerla…
Quale?
Super G. Avevo raggiunto la maturità sciistica prima di questo piccolo infortunio al perone, avevo lavorato in una maniera incredibile. A 25 anni ho realizzato sogni. Questo non significa che non ne abbia altri. La Coppa del Mondo è un sogno.
Che cos'è la velocità: paura, un'arma, uno stimolo, una variabile da gestire?
È un fattore fondamentale della mia vita: è energia, è il motore. Ho sempre cercato di andare veloce. La velocità è qualcosa che mi tiene in piedi, mi fa sentire viva.
La velocità è anche paura?
La paura non esiste, è una proiezione mentale di una situazione che potrebbe andare in un certo modo. Da un lato potrebbe essere un limite: diventa una profezia auto-avverante. Se la prendi invece come un'opportunità è qualcosa che ti fortifica nel momento in cui, con molto rispetto, riesci a superarla.
Una persona senza la quale non saresti dove sei oggi?
Direi me stessa, così non ho il dubbio di scegliere. È chiaro che ti ho dato una risposta un po' da megalomane, cosa che non sono se non in minima parte. Quante volte avrei potuto mollare? Sei tu che fai la differenza, in ogni giornata lavorativa, anche nella giornata più orribile di lavoro, quando nevica, quando fa schifo. E invece sei tu ad avere il potenziale di creare un legame talmente costruttivo con i tuoi collaboratori da far sembrare quella giornata così di brutta la giornata più bella del mondo per allenarsi. Sei tu che fai la differenza in ogni cosa. Parlo per quanto riguarda il mio piccolo, ma penso sia così in ogni ambito lavorativo, in ogni relazione personale. E io quando decido di fare la differenza, lascio un segno. Ho risposto alla tua domanda dicendo “me stessa” perché ogni volta c'ero io ai cancelletti di partenza. Ma è chiaro, sono arrivata lì reggendomi sulle spalle di moltissime persone.
Chi fa sport ad altissimo livello ha sicuramente un'adolescenza e una gioventù diverse da quella dei suoi coetanei. Che sacrifici fa un campione per arrivare al podio?
È la mia vita, ho scelto di essere questo. Quelli che parlano di sacrifici… non li capisco. Nel momento in cui scegli, la scelta stessa implica una presa di posizione in una direzione. E quella direzione esclude automaticamente l'altra. Ho fatto una scelta consapevolmente e felicemente.
Chi è l'avversaria che ti piace sfidare in gara?
Lindsey Vonn.
La tua pista preferita?
Rispondo sempre la prossima, ma a dir la verità la mia pista preferita è Cortina. Anche se ho nel cuore la Corea, perché lì ho vinto tre volte. Quando scio a est vado forte.
C'è un motivo?
È qualcosa di legato all'energia: lì siamo fuori dal consumismo occidentale. È come se riuscissi a essere più connessa con la mia parte spirituale.