Da decenni, o forse da secoli, il buon senso comune insegnerebbe che la risposta alla povertà è il lavoro; è questa l'idea alla base pressoché di tutti i sistemi welfare mondiali: si presuppone che entrare nel mondo del lavoro sia il modo più sicuro per uscire dalla povertà e dallo sfruttamento, ossia dal welfare stesso. Ma le cose stanno sempre così?
Per le aziende che danno lavoro a milioni di persone in tutto il mondo, la questione sta ormai diventando pressante: in certe parti del mondo, si iniziano a intravedere segnali preoccupanti che mostrano non più un calo della povertà lavorativa, ma un aumento. Ecco perché molte aziende, tra cui Pirelli, hanno aderito all'Action Platform delle Nazioni Unite per un lavoro dignitoso nelle filiere produttive di tutto il mondo*, nata con lo scopo di garantire, grazie a pratiche di approvvigionamento sostenibili da un punto di vista etico, quello che l'ONU chiama "lavoro dignitoso".
Povertà relativa
Immaginate di trovarvi in un hotel, in un ristorante, in una fattoria, una fabbrica o anche in ospedale, in qualsiasi parte del mondo. Tutti intorno a voi lavorano: producono cibo, confezionano prodotti o forniscono assistenza. Tutti, insomma, sembrano essere parte integrante della normale economia lavorativa.
Ma la realtà potrebbe essere ben diversa! Ad esempio, una considerevole percentuale di quei lavoratori potrebbe trovarsi in condizioni di povertà: non in quella povertà più estrema definita dalla Banca Mondiale come il dover vivere con meno di 1,90 dollari al giorno, bensì in povertà relativa, ossia secondo la definizione comunemente accettata riguardante il vivere con meno del 60% del reddito medio nazionale.
Alcuni di quei lavoratori potrebbero non avere neppure una casa. Un recente studio ha infatti dimostrato come oltre la metà delle famiglie senza fissa dimora del Regno Unito disponga effettivamente di un impiego; inoltre, ha evidenziato come anche alcuni lavoratori a tempo pieno siano comunque costretti a vivere per strada. Questo ci ricorda che, nonostante la povertà lavorativa sia un fenomeno globale, non si limita ai Paesi più poveri. All'interno dell'Unione Europea, sono molte le grandi economie in cui più del 10% dei lavoratori si trova al di sotto della soglia di povertà relativa: tra queste la Grecia, la Spagna, il Lussemburgo, l'Italia, il Portogallo e la Polonia.
Legami globali
La povertà lavorativa si fa più marcata in Asia, nel Medio Oriente e soprattutto in Africa, dove la Banca Mondiale ritiene si concentrerà, entro il 2030, quasi il 90% delle persone più povere al mondo. Non è un caso che la povertà lavorativa tenda ad essere maggiore, seppur talvolta in maniera quasi invisibile, in Paesi facenti parte dei segmenti più poveri di filiere produttive molto lunghe e complesse, ossia in tutti quei luoghi dove le aziende si riforniscono di materie prime, prodotti agricoli e prodotti ad alto fabbisogno di manodopera, come l'abbigliamento.
Le multinazionali potrebbero obiettare che non è loro compito controllare ciò che accade in altri settori, nonostante giochino un ruolo rilevante all'interno delle attività internazionali. Anche quest'argomentazione sta via via scricchiolando: la povertà lavorativa è spesso associata a condizioni di sfruttamento estremo come la schiavitù moderna, la tratta di esseri umani e il lavoro minorile. Le aziende che tollerano la povertà lavorativa nelle loro filiere molto estese corrono pertanto il rischio di essere additate come complici; quando coinvolgono i partner globali (che possono essere centinaia o addirittura migliaia) nella questione del lavoro dignitoso, si ritrovano spesso a scoprire qualcosa di inaspettato.
Azioni semplici ed efficaci
Un esempio per tutti: un'azienda membro dell'iniziativa Action Platform dell'ONU, produttrice globale di articoli industriali con circa 5000 fornitori in tutto il mondo, disponeva già di un programma avanzato in materia di lavoro dignitoso, per poi scoprire che il messaggio sembrava non varcare mai la soglia degli uffici del suo team specializzato in tema di sostenibilità. Tuttavia, la semplice realizzazione di un video sul lavoro dignitoso, con il coinvolgimento all'insegna della multiculturalità di persone provenienti da vari settori dell'azienda e con l'impiego di un linguaggio semplice al posto dei tecnicismi sulla sostenibilità, ha contribuito a far rimbalzare il messaggio tra i diversi fornitori, i quali hanno iniziato così a capire come poter creare il lavoro sostenibile.
Un'altra azienda membro del progetto, produttrice mondiale del settore automotive, ha deciso di promuovere una serie di workshop con i fornitori globali con l'obiettivo di fugare l'idea che il fornitore venga meramente sottoposto ad audit e a controlli delle criticità. I workshop si sono invece incentrati sulle problematiche relative ai diritti umani sul lavoro e su come queste possano implicare rischi tanto per il produttore quanto per i fornitori; anche questi ultimi hanno così iniziato a proporre le proprie soluzioni alla questione lavoro dignitoso.
Un'altra multinazionale impegnata nel settore dell'energia, con oltre 100.000 fornitori, aveva già realizzato una mappatura delle problematiche relative ai diritti umani all'interno della propria filiera produttiva, per poi scoprire che l'iniziativa non aveva riscosso consensi tra i membri del team approvvigionamenti. Anche in questo caso si è optato per la formula del workshop, ma con un focus interno, invitando cioè esperti esterni che aiutassero a evidenziare le problematiche specifiche che rendono il lavoro dignitoso un fattore di rischio considerevole per ogni aspetto legato all'approvvigionamento. Questo intervento ha aiutato a modificare l'intero approccio aziendale verso la gestione della filiera produttiva.
Buoni motivi per agire
Queste esperienze aziendali dimostrano che la questione del lavoro dignitoso è complessa, come altrettanto complesse sono anche le filiere produttive che possono dare origine alla povertà lavorativa, se non ben gestite. Molte aziende stanno però scoprendo che le cause principali della povertà lavorativa al loro interno non sono l'avarizia o il taglio dei costi, ma l'ignoranza, la mancata pianificazione e l'inefficienza.
Se la questione del lavoro dignitoso verrà affrontata seriamente, il risultato apporterà benefici a tutti. Non parliamo soltanto di un lavoro migliore, ma anche un modo migliore di lavorare.
*Pirelli è una delle 27 aziende leader del Global Compact delle Nazioni Unite, che nel 2017 ha lanciato una Action Platform sul lavoro dignitoso nelle filiere produttive di tutto il mondo.