Le aziende si stanno trasformando, complici la pandemia e i cambiamenti che quest'ultima ha innescato. Non più semplici luoghi di lavoro, ma ambienti sicuri in cui i lavoratori possono condividere le proprie esperienze, prima fra tutte quella genitoriale. Come sottolineato da Alberto Pellai - medico, psicoterapeuta dell'età evolutiva, ricercatore e autore - i contesti professionali del prossimo futuro dovranno infatti dimostrare di saper considerare tutte le esigenze dei dipendenti, dai bisogni familiari a quelli di salute, incontrando così anche le aspettative dei giovani pronti ad entrare nel mercato del lavoro.
È autore di numerosi volumi che trattano il tema della genitorialità: quali sono, secondo lei, le sfide più importanti che attendono i genitori di oggi?
Oggi come ieri, bisogna permettere ai figli di muoversi dal territorio della dipendenza a quello dell'autonomia: devono essere quindi in grado di acquisire quelle competenze che consentiranno loro di essere adulti soddisfatti. I genitori di oggi però si trovano a dover affrontare questa sfida in un contesto differente, in cui i figli gestiscono due diverse esistenze, una reale e una virtuale. Non si sa ancora cosa significhi essere genitori di figli immersi in questa duplice dimensione. Noto poi una certa tendenza a limitare le esperienze, per poter proteggere i figli dai pericoli del mondo esterno. Il rischio, tuttavia, è quello di sostituirsi a loro, compiendo tappe significative del percorso di crescita al posto dei figli, certi del risultato che si otterrà. La performance del figlio è quello che interessa e gli errori sono poco tollerati.
Come è possibile essere genitori - oltre che lavoratori - in un momento storico che è arrivato a mettere in discussione la disuguaglianza e il disequilibrio di genere a casa e sul posto di lavoro?
È fondamentale favorire il concetto di genitorialità condivisa: i due adulti che fanno coppia devono poter svolgere una funzione davvero paritaria rispetto ai compiti e all'esperienza genitoriale. L'immagine tipica di un tempo, che vedeva i padri distanti dai figli e le madri coinvolte in ogni singolo aspetto dell'accudimento, si è profondamente modificata: i nuovi padri sono fortemente impegnati nella dimensione di cura del figlio, dal punto di vista emotivo, di connessione e di educazione. La genitorialità non deve essere percepita come un'occasione per ribadire le differenze tra i due generi, bensì è un momento per poter affermare l'importanza del fare le cose assieme, condividendo ruoli e funzioni.
Quali altri strumenti i datori di lavoro e le aziende possono mettere in campo in questo senso?
È necessario sostenere i genitori con attività educative e formative: genitori infatti non si nasce, ma lo si diventa e la complessità del ruolo richiede competenze, informazioni e riflessioni che in molti non detengono. Numerose aziende mettono quindi a disposizione dei loro dipendenti risorse formative nel territorio della genitorialità. Non bisogna dimenticare poi tutti gli altri dispositivi che i datori di lavoro possono attivare in questo senso, dagli asili nido sul luogo di lavoro, al contributo per il successo scolastico. Le aziende dovrebbero sviluppare inoltre delle esperienze di dialogo e confronto informale sulla genitorialità: uno spazio di ascolto attento e strutturato dove poter condividere suggestioni e aneddoti sul proprio ruolo di genitori, favorendo soprattutto lo scambio tra padri, solitamente restii ad esporsi su questi temi.
Questi turbolenti anni di pandemia hanno alterato le classiche dinamiche lavoro/famiglia, facendo molto spesso coincidere – anche dal punto di vista di spazi – queste due dimensioni: come valuta il benessere psicologico dei lavoratori dopo questa esperienza?
La pandemia ha effettivamente alterato lo status quo: attraverso il lavoro da remoto, in molti hanno avuto la possibilità di vivere il lavoro in maniera più funzionale alle proprie esigenze di vita; al tempo stesso però il luogo delle relazioni familiari si è progressivamente trasformato nel luogo di lavoro. I confini che ci indicano in quale territorio siamo professionisti e quello in cui siamo invece persone si sono persi. Ritrovare l'equilibrio non sarà facile.
Nota una consapevolezza e un'attenzione differenti da parte delle aziende e dei lavoratori stessi sul tema della salute psicofisica sul luogo di lavoro dopo questo parziale ritorno alla normalità?
Mai come in questi due anni mi è capitato di dover sostenere le aziende in progetti volti a promuovere la salute e il benessere emotivi dei propri dipendenti. In un prossimo futuro, sarà indispensabile offrire un contesto professionale attento ai bisogni di salute profondi dei lavoratori. In questo momento mi sembra che la stessa attenzione solitamente rivolta alla salute fisica sul luogo di lavoro sia stata trasferita a quella mentale.
Guardando ai lavoratori del futuro, dal suo osservatorio di psicoterapeuta dell'età evolutiva, cosa cercano e vogliono ottenere da una posizione lavorativa le nuove generazioni? Come le valuta?
Rispetto alle generazioni precedenti, chiedono maggiore stabilità, un luogo di lavoro dove poter esprimere al meglio le competenze acquisite e, in generale, ottimismo e speranza. Ai giovani viene infatti chiesto di fare moltissima fatica, di impegnarsi a fondo in innumerevoli esperienze per poter navigare il mondo esterno, ma al tempo stesso non viene data loro la certezza di riuscire una volta fuori: è il ripetersi continuo di questo paradosso ad alterare la loro percezione.