Bob, velocità, lancio del giavellotto e del peso: sono queste le discipline che, nel corso della sua carriera sportiva, Valentina Margaglio ha praticato prima di approdare allo skeleton, sport invernale individuale in cui gli atleti scendono lungo un tracciato ghiacciato, in posizione prona (con la testa in avanti e i piedi all'indietro), su una slitta dotata di pattini. Il primo marzo 2020 – durante i Campionati mondiali ad Altenberg, in Germania – Margaglio ha vinto la prima medaglia mondiale italiana della disciplina: un bronzo, nella gara a squadre in coppia con il collega Mattia Gaspari. Nel 2022, ai Campionati europei di Sankt Moritz, si aggiudica il terzo posto nel singolo. Conta, poi, tre secondi posti e un terzo posto individuali in Coppa del Mondo e una vittoria, nella gara a squadre in coppia con Amedeo Bagnis, lo scorso gennaio. Due sono i podi (terzo posto) a livello europeo, mentre quattro sono gli ori a livello italiano, conquistati rispettivamente nel 2016, 2017, 2019 e 2021. Un palmarès significativo per un'atleta che non si considerava «portata per gli sport invernali», come ha raccontato lei stessa nel corso di quest'intervista.
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Guardando al tuo curriculum, è impossibile non notare come quest'ultimo sia strettamente legato allo sport. Sei stata infatti una bobbista, una velocista, una giavellottista e una pesista e adesso sei un'atleta di skeleton. Come definiresti il tuo rapporto con lo sport?
«Lo sport rappresenta da sempre una componente essenziale della mia vita: adoravo le lezioni di scienze motorie alla scuola elementare e i miei pomeriggi erano scanditi dagli allenamenti, di pallavolo prima, poi judo, poi ancora nuoto. Mi sono avvicinata all'atletica leggera durante il liceo, allenandomi a Vercelli. Ho preso parte come velocista ai Campionati nazionali assoluti indoor nel 2013 e nel 2014, come pesista e giavellottista nel 2015. Ed è proprio sulla pista di atletica che ho incontrato per la prima volta le discipline invernali: nel 2011, infatti, la squadra nazionale di bob mi ha contattata per farmi fare dei test per il ruolo di frenatrice, in vista delle Olimpiadi giovanili che si sarebbero svolte di lì a poco a Innsbruck. Nel gennaio 2012 partecipavo appunto alla manifestazione, classificandomi quinta con la squadra. Nonostante l'ottimo risultato, non mi sentivo portata per la disciplina, decisi addirittura di allontanarmi dallo sport in generale. Una pausa durata solamente due anni: nel 2014 ripresi ad allenarmi, provando nuovamente il bob per poi passare allo skeleton. Le prove a secco andarono bene, i test su ghiaccio in Norvegia non altrettanto. Decisi di riprovare e i risultati iniziarono a migliorare. Debuttai in Coppa Europa nel 2016, classificandomi dodicesima al termine della prima gara, quattordicesima alla fine della seconda. Da allora sono passati quasi dieci anni».
Quali sono gli elementi fondamentali di questa disciplina?
«Il primo elemento che citerei è sicuramente la capacità di spinta, che entra in gioco soprattutto nei momenti iniziali della gara: gli atleti, infatti, spingono la slitta – che pesa all'incirca trenta chilogrammi – per i primi venti metri di pista. Bisogna avere poi una buona resistenza: la pressione sul casco è notevole, quasi quattro joule di forza. Lo skeleton è uno sport che richiede molta sensibilità in guida: il tracciato va interpretato e va individuata la traiettoria più efficace, ovvero quella più veloce. Lo studio dei materiali è altrettanto importante: la slitta e i pattini vengono regolarmente calibrati, a seconda delle condizioni atmosferiche presenti sulla pista. Ciò che più mi affascina di questo sport è il connubio che si crea tra velocità e una superficie instabile come il ghiaccio. Si possono, infatti, raggiungere i 130, 140 km/h».
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Insieme a Mattia Gaspari nel 2020, nella tappa di Altenberg, hai vinto la prima medaglia mondiale della disciplina per l'Italia: puoi raccontarci quella gara e le sensazioni che hai provato durante quei minuti?
«Ricordo i cronisti definire quella nostra gara un “miracolo on ice”: era dal 1972 che l'Italia non vinceva una medaglia nello skeleton. Il risultato è stato quindi davvero inaspettato per tutti, soprattutto per me: non ero pienamente soddisfatta della mia performance, ma, nonostante qualche sbavatura, avevo fatto correre la slitta. Il tempo era però tutto sommato buono, come quello di Mattia. Dopo di noi scendevano le nazioni più forti, si trattava solo di aspettare: tre erano le squadre che avrebbero dovuto scendere e noi eravamo secondi. Canada e Germania ci superarono, passammo quindi al terzo posto con la Russia pronta a gareggiare. Solo una volta visti i tempi degli atleti russi siamo stati in grado di realizzare quello che era appena successo. La vittoria di Altenberg ha rappresentato un punto di svolta anche per il mio percorso sportivo personale: ho acquisito una consapevolezza e una sicurezza diverse, che mi hanno aiutato a ottenere prestazioni significative anche negli appuntamenti individuali».
Sei attualmente impegnata con la squadra italiana nelle gare di Coppa del Mondo, a cui seguiranno a marzo i Mondiali in USA: come ti stai preparando per queste prossime gare?
«Mi alleno a Robbio, in provincia di Pavia, dove da qualche anno esiste una pista di spinta a secco, voluta da Andrea Gallina, il mio preparatore atletico e anche compagno di vita. Negli ultimi tempi mi sono concentrata molto sulla fase iniziale di spinta, uno dei miei punti di forza. A livello mondiale ora sono la seconda atleta per spinta, un traguardo che mi rende particolarmente orgogliosa. La costruzione di questa pista ha permesso a me e agli atleti della squadra di allenarsi a secco, su un tracciato, anche nei mesi estivi, non aspettando per forza la stagione invernale. Quando quest'ultima si apre, raggiungiamo come nazionale i paesi e le piste che ospiteranno le gare e ci alleniamo sul ghiaccio. La preparazione atletica per lo skeleton è molto simile a quella dell'atletica leggera, con un focus sul sollevamento pesi, considerando appunto i trenta kg di slitta da sollevare».
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Lo sport italiano tutto sta vivendo una fase di crescita, stanno emergendo numerosi talenti – molti di questi al femminile – in discipline diverse. Cosa ti aspetti in questo senso per gli sport invernali e per le atlete impegnate in tale settore?
«Considero lo skeleton una disciplina meritocratica, dove a contare sono i tempi e i risultati raggiunti, indipendentemente dal genere. Mi piacerebbe che questa meritocrazia si estendesse anche al di fuori delle gare, contaminando anche la componente “commerciale” dello sport. In generale, per il movimento, mi auguro che l'attenzione raggiunta grazie all'appuntamento olimpico non cali, ma anzi aumenti e possa poi portare nuovi atleti e appassionati».
A proposito di Olimpiadi: quali sono i tuoi pensieri in vista di Milano Cortina 2026?
«Il sogno è ovviamente legato alla vittoria, una prospettiva che sto cominciando a immaginare. Sto lavorando molto in vista del prossimo anno, utilizzando la stagione attuale come test: voglio capire come poter migliorare la guida e su quali materiali puntare. Milano Cortina 2026 porterà allo skeleton una pista di gara: un cambiamento notevole, che permetterà lo sviluppo e la crescita di un vero e proprio settore giovanile, assente a oggi. Spero che le Olimpiadi possano essere un vero successo, dal punto di vista atletico, organizzativo e mediatico».