Quando all'età di sette anni le chiesero se volesse andare in barca, Giulia esitò, ma una volta a bordo si innamorò totalmente di questo sport che le ha regalato importanti risultati: due bronzi mondiali, un argento europeo in 420 e un argento mondiale ed europeo in Nacra 15. Oggi Giulia Fava è trimmer del team femminile Luna Rossa Prada Pirelli e si appresta a disputare la Puig Women's America's Cup, evento previsto all'interno della XXXVII Coppa America e riservato alle donne. Orgogliosa e fiera, Giulia insegue sempre nuovi traguardi, motivata dal mondo della “grande” vela di cui ha sempre voluto fare parte, ispirata da altre sportive e incitata da mare e vento.
Com'è nato il tuo rapporto con la vela?
Ho scoperto questo sport grazie a mio fratello che da piccolo, passeggiando per il lungomare di Civitavecchia, chiedeva sempre di andare in barca. A sei anni veleggiava sul suo Optimist. Quando ho raggiunto anch'io quell'età, i miei genitori mi hanno chiesto se volessi provare, ma tentennai. Alla fine, l'estate successiva ho fatto il mio primo corso e da lì non ho più smesso.
Appena salita sul mio primo Optimist ho capito che, per farlo andare, dovevo mettermi costantemente alla prova. Quella voglia di migliorare e spingere sempre al massimo mi ha portata a innamorarmi della vela. La cosa che mi piaceva di più era l'essere sola, il dover lottare e cavarmela con le mie sole forze contro qualcosa di più grande di me: il mare e il vento.
Ci racconti il momento in cui hai saputo che avresti fatto parte del team di Luna Rossa Prada Pirelli e quello in cui hai appreso che sarebbe stata una Coppa America storica per i team femminili?
Tutto è iniziato con un messaggio di Jacopo Plazzi (uno dei coach di Luna Rossa Prada Pirelli), che mi ha chiesto se fossi disponibile ad andare a Cagliari per fare dei test di selezione. Luna Rossa è un mito per tutti i velisti e chiunque alla domanda “Vorresti far parte del team?” risponderebbe di sì.
In seguito a diversi test, Max Sirena ha convocato me e altre sei ragazze per comunicarci il nostro ingresso nel team femminile per la Puig Women's America's Cup. Un sogno che si avvera: essere parte di questa squadra è il massimo riconoscimento che un velista possa ricevere. Ero al settimo cielo.
L'impatto che avrà un evento interamente dedicato alle donne nell'ambito della Coppa America sarà enorme. Mai prima d'ora era stato organizzato qualcosa del genere, credo che questa sia una grande opportunità per dimostrare di che pasta siamo fatte noi donne e per guadagnare il nostro spazio nel mondo della “grande” vela.
Come ti stai preparando, anche mentalmente, alla competizione?
Il mio percorso velico è passato per le classi olimpiche, dove tutt'ora navigo, e da diverso tempo ho iniziato a lavorare con un mental coach che mi supporta per gestire i momenti più difficili.
Sono estremamente convinta che la strada per il successo si basi sul duro lavoro. La mia filosofia, quindi, è sempre stata quella di lavorare a testa bassa e cercare di apprendere il più possibile da chiunque, perché ogni persona ti può dare quel qualcosa in più o uno spunto di riflessione a cui non avevi pensato. Abbiamo creato una grande sinergia tra noi ragazze, la forza del gruppo sicuramente è una grande spinta a migliorare e a raggiungere i nostri obiettivi.
Il momento più memorabile e quello più teso con la squadra?
Sicuramente uno dei momenti più belli è stato quando, in una delle prime uscite in barca tutte donne, il team è riuscito, in condizioni difficili di vento forte, a completare una simulazione di regata senza commettere errori. È stata la conferma che stavamo andando nella direzione giusta e che il lavoro fatto aveva dato i suoi frutti.
Il momento più teso ancora non saprei dirlo con precisione. Forse è quando dobbiamo fare delle operazioni delicate, magari in acqua, per sostituire dei pezzi; oppure quando ci sono dei malfunzionamenti nella barca, perché la voglia di navigare è tanta e non accettiamo come risposta uno “stop sailing”.
Cosa si prova a navigare a certe velocità?
È una sensazione unica. Quando si fa il “take off” avverti proprio che la barca vuole sollevarsi e volare sulle onde. Forse è l'abitudine, ma quando sei a bordo non ti accorgi di stare andando così forte – un po' come quando sei su un aereo, non ti accorgi che stai viaggiando a 700 km all'ora. Solo quando ti soffermi a guardare fuori comprendi veramente quanto stai andando veloce.
In quanto velisti avete un osservatorio privilegiato sullo stato di salute dei mari. Anche se giovanissima, come è cambiato il panorama?
In acqua troviamo molta sporcizia. Ci è capitato anche di vedere dei tronchi che, oltre a essere degli intrusi nel mare, sono molto pericolosi perché urtandoli rischiamo di danneggiare la barca e i foil. Si può sempre fare di meglio, ma in questo caso dobbiamo impegnarci tutti a tutelare maggiormente l'ambiente marino e costiero.
C'è una figura a cui ti sei ispirata o che ti ispira durante il tuo percorso?
Una persona che reputo una grande velista è Giulia Conti: quando ero piccola era il mio idolo, per i suoi risultati e la sua esperienza, e oggi mi sento privilegiata a lavorare al suo fianco in questo team.
Un'altra sportiva che ammiro moltissimo, soprattutto per la sua mentalità, è Sofia Goggia. Ha avuto la forza di rialzarsi da infortuni e cadute, sempre più forte e agguerrita di prima. Ha una forza invidiabile.
Una meta che vorresti scoprire?
Mi piacerebbe tantissimo scoprire paesi come l'India o la Penisola Arabica: paesi con culture totalmente differenti dalle nostre per conoscere le diverse realtà che ci sono nel mondo.