Ci sono delle vite che più che giorni che passano sembrano dei romanzi. Oppure dei film. Non sempre però chi sa raccontarle incontra chi le vive. Non è andata così a Pasquale Donatone aka “Tony driver”, che ha incontrato il regista Ascanio Petrini ed è diventato protagonista del film omonimo che racconta la sua storia.
È il caso a volte che unisce i fili ed è sfogliando le pagine di un quotidiano locale della provincia barese che Ascanio scopre Pasquale. «Come nei film, il piccolo paese è stato stravolto dall'arrivo di questa figura sempre perfettamente rasata, vestita bene, precisa. Poi, piano piano, si è scoperto che viveva in una grotta, poi in una roulotte. È così che Polignano ha scoperto Pasquale. All'inizio volevo scrivere una storia di finzione, appoggiarmi a un attore, ma rivedendo i video che avevo fatto con lui mi sono accorto che Pasquale mimava, interpretava le scene: una persona capacissima a recitare, perfetta per il mio Tony driver».
Andrea Boccalini Photo/ @andreaboccaliniphoto
Dopotutto la vita da film quasi sempre scorre come tutte le altre, mica si sente il rumore della cinepresa. «Se mi chiedi come mi sono sentito quando mi hanno chiesto di fare un film su di me e come mi sono sentito a fare il protagonista, è facile: non ho sentito niente. Non mi sono sentito un attore, per niente. Mi sono sentito normale, me stesso».
Pasquale nasce in un quartiere di Bari e a nove anni si trasferisce a Chicago con i suoi genitori. Sente gli Stati Uniti come casa, è l'inglese la sua lingua. Ma un giorno deve tornare, in un certo senso “sceglie” di tornare in Italia. Piuttosto di scontare la sua pena in un carcere americano, a 50 anni accetta di essere “deportato” nella sua terra d'origine. «Quando sono arrivato dagli Stati Uniti, non mi sentivo bene, mi sentivo perso, sentivo di non appartenere a questa terra. Ero depresso».
Quando si separa dalla moglie, da Chicago Pasquale si trasferisce in Arizona, a Yuma, dove inizia a guidare per lavoro. Inizia a fare il tassista. «Guidavo anche dodici ore al giorno. Un turno lunghissimo, fatto nel caldo del deserto che raggiunge temperature incredibili: per quattro mesi la media è di 47 gradi. Per questo, ma anche per offrire un servizio ai clienti, non puoi non avere l'aria condizionata, ti permette di sopravvivere, di sentire l'auto un luogo confortevole. Non avevo un'auto mia, la prendevo in leasing, quindi dovevo pagare 72 dollari al giorno e riportarla con il pieno di carburante, come l'avevo presa. Quando torni devi proprio mostrare la ricevuta, per dimostrare che non hai usato il carburante regolare, ma quello premium che costa di più».
È in una sera caldissima che Pasquale riceve una radio-chiamata. «Mi hanno detto di andare a dieci miglia da dove mi trovavo. Sono arrivato in questa casa e le luci erano spente, ho pensato “me ne vado”. Ma mentre stavo per andarmene, 6 messicani sono saltati fuori dai cespugli e sono entrati nella mia macchina: ecco com'è iniziato, la prima volta».
Da quella sera Pasquale porta almeno trecento messicani nelle zone agricole degli Stati Uniti, dove la loro manodopera è fondamentale per riuscire a seguire la richiesta del prodotto dalla catena distributiva ma anche il ciclo della natura, che non aspetta nessuno. «Io rispondevo soltanto a richieste di passaggi che venivano dagli Stati Uniti. I messicani conoscono tutta l'area del deserto, perché sono stati lì, vengono da lì, sanno muoversi. Volevano solo andare dove c'era da lavorare».
Pasquale ora deve scontare dieci anni perché un giorno del 2012 è stato fermato con quattro messicani a bordo, ma ha preferito l'Italia al carcere americano. «Quando sono arrivato qui mi sono sentito perso. Non conoscevo la lingua, i luoghi: non ci ero più tornato dal 1972. Casa mia è Chicago, dove sono rimasto per 27 anni. Qui in Italia non ho ancora guidato, ed è un'altra cosa che mi manca, anche se un poco alla volta sto iniziando ad ambientarmi, a sentirmi come il vero me».
Pasquale intanto sta preparando la documentazione per poter avere la patente anche in Italia, visto che non guida da otto anni e qui le distanze non sono come quelle dell'America. «Lì era logico guidare dall'Arizona alla California. Strade dritte e vuote, rimanere al volante per ore. Qui, da Polignano, dove vivo ora, Torino o la Sicilia sono lontani. Mi piacerebbe guidare in Italia, ho ancora due anni da spendere qui. E chissà, potrei cambiare idea e in America non tornarci più».