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Cosa ci resta da scoprire?

Cosa ci resta da scoprire? 01
Cosa ci resta da scoprire? 01

Fatta eccezione per una manciata di luoghi, il nord della Birmania e della Groenlandia e la profondità degli abissi, ormai su questo pianeta non esistono più spazi incontaminati. Abbiamo quasi completato la mappatura del globo terrestre il che, insieme alla tecnologia, lo ha reso così piccolo che i nostri antenati faticherebbero a riconoscerlo. Al momento Los Angeles dista appena 18 ore di volo diretto da Singapore, vale a dire quasi 9.000 miglia percorribili in meno di un giorno e senza scali. Se da un lato il nostro mondo iperconnesso ha reso sempre più difficile realizzare il sogno di esplorare terre vergini, dall'altro ha semplificato di molto il viaggio e l'avventura per la maggior parte di noi. E mano a mano che la possibilità di viaggiare si apre a un numero crescente di persone, ciò che rimane da esplorare per la prima volta diventa sempre più soggettivo. 

Chiunque ami viaggiare conosce la sensazione unica che si prova scendendo da un aereo in un paese straniero. È ciò che succede quando un'aria diversa ci sfiora il viso, una lingua sconosciuta ci disorienta e persino il modo in cui le persone si muovono ci sembra nuovo. La mente è stanca, ma allo stesso tempo su di giri e tutto ciò che vogliamo è tenerci stretta per sempre questa sensazione che proviamo qui e ora e che ci fa sentire sospesi fra due luoghi, due fusi orari e due “noi stessi”.

Non importa quante persone viaggino con noi: si tratta di un'esperienza profondamente personale, perché dentro di noi si sono impressi tutti i ricordi legati all'arrivo in un posto nuovo che hanno costruito la lente attraverso la quale guardiamo il mondo. Gli aeroporti che abbiamo girato e le strade in cui ci siamo persi, le aspettative di un certo luogo che abbiamo soddisfatto o deluso ci seguono anche stavolta e noi siamo le uniche persone che abbiano mai vissuto quelle determinate esperienze.

Ecco come nel mondo di oggi, dove “non c'è nulla di nuovo sotto il sole”, è ancora possibile scoprire un luogo per la prima volta, in un modo in cui nessuno lo ha mai fatto prima di noi né mai lo farà dopo di noi. Il potere e la magia del viaggio risiedono proprio nel contrasto tra queste due dimensioni, una estremamente soggettiva e influenzata dalla me moria e l'altra fisica e geografica. Il farmaco più efficace per placare la wanderlust si trova proprio lì dove si incontrano questi due mondi. 

Cosa ci resta da scoprire? 02
Cosa ci resta da scoprire? 02

Circa sei anni fa prenotai volo e un mese di alloggio a Sarajevo, in Bosnia, per scrivere e lavorare in remoto da un luogo di cui sapevo poco o nulla. Google Maps non era ancora arrivato li, per cui, anche zoomando al massimo sulla mappa, la città rimaneva un puntino con scritto accanto “Sarajevo”. La sola possibilità di muovermi che avevo a disposizione era chiedere ai locali, memorizzare strade e punti di riferimento e infine trovare l'unica minuscola libreria che vendeva il solo stradario cartaceo della città. Ovviamente, prima dell'esplosione di Google tutti i miei viaggi erano stati così: dipendevo dalle mappe e dalle mie maldestre richieste di indicazioni. Ma tornare a viaggiare come una volta ora che possiamo contare sulla comodità di un telefono che naviga per noi è tutta un'altra cosa. 

Senza un GPS che facesse il lavoro di gambe, ero obbligata a prestare più attenzione a ciò che mi circondava. E non solo perché ero interessata a come si viveva a Sarajevo; avevo quel tipo di attenzione che in genere attiviamo a piacimento quando viaggiamo. Nel mio caso la spia era sempre accesa per necessità. Era estenuante ma al contempo gratificante e voleva anche dire che la mia capacità di mantenere i contatti con la mia vita a casa e persino con me stessa era radicalmente ridotta per lasciare spazio a tutto ciò che avevo bisogno di apprendere in quel corso intensivo di vita sarajevese. 

Dovevo ricordare, per esempio, che il mercato dove acquistare la verdura più fresca, un vero e proprio lusso, si trovava ai piedi della collina, superato il campo abbandonato dove dormivano i gatti randagi, quindi a destra alla prima strada trafficata e un paio di isolati dopo il salone di Mele, la donna che mi aveva tagliato i capelli poco dopo il mio arrivo e che mi invitava a prendere il tè ogni volta che passavo di lì. Parlavamo, lei in un inglese zoppicante ma espressivo, dei suoi figli, di donne gelose e della prima volta in cui era stata in America, mentre in città infuriava la guerra. Quando, una volta finita, tornò a Sarajevo, dovette sostituire le ampie vetrine che erano esplose e sistemare l'interno del negozio ma lasciò a “testimonianza” un foro di proiettile nel perlinato del muro. 
A dire il vero, la maggior parte delle persone che incontrai a Sarajevo non voleva che i fori di arma da fuoco venissero chiusi e tinteggiati. In quelle cicatrici di guerra, alcune delle quali mi furono utili per orientarmi in città, quella gente vedeva un valore. Era la memoria come arma, un concetto cui non avevo mai pensato prima di imbattermi in quei muri martoriati, che inizialmente mi tolsero il respiro e che alla fine mutarono in qualcosa che capii rappresentare un legame tra i locali. 

A Sarajevo la sera era buia e silenziosa. Quando calava il sole, sembrava levarsi un lieve tormento di solitudine. La cosa non avrebbe dovuto sorprendermi vista la distanza che percepivo con la mia vita vera, ma mi confondeva perché allo stesso tempo avvertivo un autentico senso di libertà. Ero riuscita a liberarmi dalla macchina di cui mi sentivo prigioniera e a spalancare le porte e le finestre della mia mente per permettere a idee e pensieri di entrare e uscire. Ma questo senso di disconnessione mi disorientava e mi spingeva ad addentrarmi il più possibile nella cultura locale. Avevo la sensazione di essere completamente persa e allo stesso tempo completamente a casa.

Cosa ci resta da scoprire? 03
Cosa ci resta da scoprire? 03

Nel corso di quell'esperienza mi sono resa conto che mi sento me stessa soprattutto quando viaggio e mi chiedo se non sia così anche per altre persone che amano partire. Quando siamo meno schiacciati dalla vita quotidiana, non siamo forse più vulnerabili? Non abbiamo forse orecchie migliori e anime più sensibili? Nell'arco di una giornata possiamo fare moltissimo o pochissimo pur sentendoci estremamente produttivi. E per un minuto non possiamo liberare i nostri fantasmi distraendoli con l'inedita bellezza che a sua volta ci distrae? So che questa sensazione non può durare per sempre. Come scrive il saggista Adam Gopnik: “I fantasmi che ti perseguitavano a New York o Pittsburgh ti perseguiteranno ovunque andrai, perché sono i tuoi fantasmi e tu sei la casa che infestano”. Ma che meraviglioso momento è quello in cui dimentichi la loro esistenza! 

Oggi che il mondo è quasi totalmente conosciuto ed è difficile trovare una foresta senza una sola impronta d'uomo, o solco di pneumatico, il concetto di inesplorato non scompare, semplicemente muta. Cosa ci è rimasto da scoprire? Che in quei luoghi noi siamo davvero “noi”. E non è neppure necessario che quei luoghi siano nuovi, perché sapete bene quanto me che la Senna parigina non è la stessa all'alba e al tramonto, proprio come io non sono la stessa persona che ero esattamente un anno fa. Quando si pensa al viaggio sotto questa luce, ogni luogo che visitiamo si offre a noi come un inedito luogo da esplorare. 

Così, alla fine della nostra permanenza in quelle terre straniere, non c'è partenza né ritorno alla vita reale, perché il viaggio è stato una scoperta tanto di noi stessi quanto dei luoghi che abbiamo attraversato. Flannery O'Connor lo ha raccontato con parole che mi commuovono ogni volta: “Il luogo da cui provieni appartiene al passato, quello verso cui credevi di dirigerti non c'è mai stato e il luogo in cui ti trovi non serve a nulla se non sai staccartene. Dov'è il tuo posto? Non c'è... Al di fuori di te nulla può darti un posto... Hai un solo posto tutto tuo ed è dentro di te.” 

Quando diciamo che non c'è nulla di nuovo sotto il sole, dobbiamo ricordarci che il sole è l'unico a godere di quel punto di osservazione. Noi abbiamo una visione distorta e ravvicinata di questo mondo. Che maledizione! Ma anche che meraviglioso dono è sapere che il sole onnisciente sorge sulla stessa identica Senna parigina che milioni di altre persone hanno visto prima di noi, sapendo che è la prima volta nella storia che noi ci troviamo lì, in quel preciso momento, e possiamo ammirare tutto questo. Da questa prospettiva il mondo vi apparirà due volte più grande e spaventoso che alla maggior parte della gente. Perché scalare il Monte Everest o immergersi in grotte oceaniche inesplorate è solo una parte del viaggio.