Chi oserebbe negare il fatto che la società dei consumi occidentale sia ormai fuori controllo? Dall'eccessiva produzione di rifiuti all'enorme inquinamento, fino alle emissioni di carbonio generate dalla produzione di oggetti che non abbiamo proprio bisogno di comprare. Senza dimenticare le condizioni di lavoro pericolose, la povertà dei lavoratori e persino le nuove forme di schiavitù delle economie che producono merce a basso costo destinata ai consumatori del mondo sviluppato. Il lungo boom dei consumi ha una responsabilità immensa.
Nessuno ha fretta di assumersi la responsabilità di queste conseguenze negative. Sappiamo che i consumatori in tutto il mondo generano circa 3,5 milioni di tonnellate di plastica e di rifiuti simili al giorno, e almeno 8 milioni di plastica finiscono in mare ogni anno, ma per la maggior parte delle persone la responsabilità è sempre altrui.
Sappiamo anche che, secondo la società di consulenza McKinsey, per produrre un solo chilogrammo di tessuto sono necessari circa 23 kg di gas a effetto serra, e almeno la metà dei capi di fast-fashion viene gettata dopo un anno di utilizzo. Ma la gente smette forse di acquistare capi d'abbigliamento economici? La maggior parte delle persone non ci pensa proprio.
Chi sono i responsabili?
Potrebbe essere che, nell'era dei grandi impegni presi dalle grandi aziende e dai governi verso una maggiore responsabilità, le persone siano tentate di credere che tutti gli effetti dei consumi eccessivi siano gestiti da qualcun altro? E quindi, come individui, non ci sia poi troppo di cui preoccuparsi? Dopo tutto, che differenza potrà fare un sacchetto in plastica usa e getta, quando le Nazioni Unite valutano che ogni giorno se ne utilizzano 5 trilioni?
Non conosciamo questa differenza, ma sarebbe invece bene esserne informati. “Consumo e produzione sostenibili”: questo è uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell'ONU, che sostiene che il consumo sostenibile è realizzabile se troviamo il modo di fare di più, e in modo migliore, con meno.
Un possibile approccio potrebbe essere ad esempio l'ispirazione al concetto di mindfulness, che, spiegato in maniera semplice, si riferisce all'essere consapevoli di dove siamo e di cosa facciamo. In questo contesto, applicare il concetto alle implicazioni del nostro comportamento significa pensare con maggiore impegno a come spendiamo e come consumiamo, e agli effetti reali di tali consumi.
Le persone possono fare la differenza
Un buon punto di partenza è l'elenco dei trend critici che l'ONU evidenza nell'ambito dell'obiettivo del consumo sostenibile. Esso sottolinea il fatto che il settore del trasporto è il contributore delle emissioni di carbonio che registra la crescita più veloce, seguito dall'utilizzo di energia per uso commerciale e residenziale, dall'agricoltura e dal settore tessile, che sono i principali inquinatori delle acque potabili.
Queste sono tutte aree in cui i singoli individui possono fare la differenza. Perché, ad esempio, non lasciamo a casa l'auto, se possiamo muoverci in autobus, o, ancora meglio, in bicicletta? Perché non ci informiamo sull'energia a basse emissioni o a emissioni zero per la casa, perché non cambiamo le lampade inefficienti e perché non coibentiamo la nostra abitazione?
Questo potrebbe essere solo l'inizio. Perché non modificare alcune fondamentali abitudini di spesa? È proprio necessario uscire ogni giorno con la carta di credito pronta all'uso? È proprio necessario acquistare abbigliamento e cibo che ha viaggiato per mezzo mondo? Molti di noi hanno armadi pieni di abiti che hanno viaggiato più di quanto riusciremo a fare noi, con frigoriferi pieni di cibi prodotti a migliaia di chilometri di distanza. Eppure, se cerchiamo prodotti locali, li troviamo di sicuro.
Obiettivo zero rifiuti
E se pensiamo ancora che questi siano modi irrisori per affrontare un problema enorme, possiamo considerare la possibilità di implementare cambiamenti più radicali nelle abitudini di consumo. Esiste una crescente comunità di persone che ha deciso di adottare modalità di consumo responsabili e di ridurre la quantità di rifiuti prodotti, per arrivare a valori prossimi allo zero.
Ciò non è certamente semplice. Nel Regno Unito una persona genera in media 463 kg di rifiuti all'anno. In Germania 609 kg e in Danimarca 844 kg. I seguaci dell'obiettivo zero rifiuti vogliono ridurre queste quantità ad un chilo o meno all'anno: i rifiuti non riciclabili dovranno avere al massimo un volume pari a quello di un vasetto di marmellata da 240 ml. Se così fosse, meno rifiuti sarebbero conferiti in discarica; solo il 15 percento della maggior parte dei rifiuti viene riciclato. E ciò significa anche un minore utilizzo di acqua, oltre alla riduzione di emissioni di carbonio derivanti dalla produzione di imballaggi e di prodotti di breve durata.
Un chilogrammo di rifiuti a persona all'anno significherebbe ridurre la produzione media di rifiuti del 99,8 percento, in base alle cifre europee pro capite, e ciò rappresenterebbe un cambiamento rivoluzionario per le persone, oltre a un impatto fortissimo sull'ambiente, se ognuno seguisse l'esempio. Ciò significherebbe inoltre valutare le implicazioni per l'ambiente di ogni nostra singola decisione presa.
È stato dimostrato che tutto ciò sarebbe possibile. E, come affermano i sostenitori dell'idea zero rifiuti, la questione va oltre il rifiuto in senso stretto, ma implica un altro tipo di spreco, ossia lo spreco di denaro, di tempo o di benessere.