L'abilità di trovare il punto d'incontro
Originaria dell'Illinois rurale, l'attrice, 63 anni, dimostra il suo talento con ruoli sempre complessi e intensi, e film quasi mai accompagnati da effetti speciali, computer grafica ed esplosioni. Preferisce concentrarsi sul ruolo.
"Se guardi bene e ignori il contorno, al centro di tutto trovi sempre una storia, che sia un film, un libro o la vita di una persona", afferma. "Puoi aggiungere tutti gli extra che vuoi, ma se dimentichi che la storia è l'epicentro di quello che fai e quello che sei, non riuscirai mai a ricavare qualcosa di buono dalle tue esperienze."
Questo pensiero profondo spiega perché McDormand abbia sempre scelto personaggi impegnati in un viaggio personale. Lei dirà che il loro viaggio è anche il suo, e chi siamo noi per contraddirla.
L'acclamata attrice offre una prospettiva unica e oggi incredibilmente ambita in un periodo in cui il settore sembra ossessionato dalle repliche e dalle pigre reinvenzioni. E poi McDormand ha un approccio quasi irriverente all'arte cinematografica... è sempre presente ma mai prevalente,
è felice di muoversi senza destare troppo clamore, e infatti si potrebbe dire che fino a un paio di anni fa il suo ruolo più memorabile fosse quello di Fargo, lungometraggio firmato dai fratelli Coen 25 anni fa. Quest'interpretazione l'ha sicuramente fatta conoscere al grande pubblico e le è valsa un Oscar come Miglior attrice, ma McDormand non ha mai voluto ripetersi solo per il gusto di farlo. Nutre un profondo rispetto per il confine tra cinema e pubblico.
Nemmeno il matrimonio con uno dei registi più in vista del cinema, Joel Coen, l'ha convinta ad accettare progetti che non fossero davvero giusti per lei. "In questo settore e in generale nella vita devi sempre ricordarti chi sei. Ci saranno sempre persone intorno a te che ti descriveranno e presenteranno in modo diverso. È pericoloso e per questo ho bisogno di tenere le giuste distanze."
Eppure, nonostante le buone intenzioni, McDormand ha conosciuto una spettacolare rinascita negli ultimi anni. Con l'interpretazione in Tre manifesti a Ebbing, Missouri, nel 2017 ha contribuito a invertire quella tendenza che ignora le attrici più mature nei premi importanti. E infatti il lungometraggio è stato apprezzato agli Oscar e ai Golden Globe.
A testimonianza di questo cambio di marcia c'è anche l'ultimo Oscar per Nomadland, un altro guizzo di energia e libertà creativa, forse stimolato dai cambiamenti in famiglia (di recente il figlio adottivo Pedro è andato a vivere da solo).
L'espressione spesso imperscrutabile di McDormand nei film stride con la sua reale personalità, vivace e senza filtri. Brillante, spiritosa e straordinariamente onesta, l'attrice nelle interviste accompagna spesso un sorriso ironico alle risposte più pungenti. Altre volte è cupa, filosofica e persino emotiva. Camaleontica, e non certo per l'occasione ma per spirito di sopravvivenza, McDormand oscilla spinta dalla sua anima e dalla sua sensibilità, mantenendo un'onestà ormai quasi introvabile nella Hollywood del glamour.
Siamo impazienti di scoprire fino a dove saprà spingersi quest'attrice brillante, che abbiamo acclamato nella serie del 2014 Olive Kitteridge, amato nel film satirico dei Coen del 2016 Ave, Cesare!, e seguito attraverso un viaggio di scoperta nella sua ultima fatica. Mai come ora il cinema ha bisogno di Frances McDormand.
D: La tua vita è sempre esposta al giudizio dei media e dell'opinione pubblica. Pensi che l'immagine di te che ci siamo fatti rispecchi la tua vera identità o forse ci è sfuggito qualcosa?
FRANCES: Posso solo rispondere in base a come io vedo me stessa. Se qualcuno mi vede in modo diverso, non posso farci nulla, perché tutto è soggettivo. Anzi, ti dirò, oggi tutto è ancora più soggettivo di prima. Abbiamo creato una cultura in cui l'opinione stessa è una tendenza e non avere un'opinione significa in alcuni casi rischiare di essere provocati o spinti a intervenire.
D: È una situazione scoraggiante.
FRANCES: Sì. Ma Nomadland mi ha insegnato anche questo: là fuori esiste un modo di voci nascoste, di persone in carne e ossa che vanno avanti ogni giorno proprio come noi. Alcune sono felici di vivere così, altre non lo sono, ma la chiave del ragionamento è che il loro stile di vita diverso dal nostro le condanna a non essere ascoltate, e questo mi preoccupa.
D: Allora forse è meglio non avere una voce, rispetto a una voce distorta, o una voce che non rispecchia davvero ciò in cui si crede?
FRANCES: Forse. Forse a volte il silenzio diventa l'opzione migliore.
D: In che modo la tua voce racconta chi sei veramente?
FRANCES: Secondo me gran parte delle persone si è fatta una buona idea di chi sono, ma non è detto che gli interessi più di tanto. Mi considero una donna di periferia che tutto sommato sta bene in quel tipo di ambiente. Ho vissuto gran parte della mia infanzia in piccole cittadine. Forse è per questo che riesco a capire e affrontare i malumori e le pause. Se fossi cresciuta in un appartamento a due passi da Central Park credo che sarebbe diverso.
Non penso di essere complicata, ma non vuol dire che non sono complessa, siamo tutti complessi, esseri molto complessi. Io di solito ho idee, ambizioni e prospettive chiare.
Sono pronta a cambiare in qualsiasi momento e sempre disposta ad aggiornare le mie idee se necessario, ma ho vissuto abbastanza da sapere a grandi linee come funziona il mondo e quali sono le mie responsabilità, i miei doveri e quale il mio contributo sia nei confronti della società, sia nei confronti di me stessa e della mia famiglia.
D: Hai mai affrontato momenti difficili in cui hai dovuto ritrovare l'equilibrio?
FRANCES: Certo. Se devo pensare al dolore che più di tutti altera il ritmo naturale di una persona, per me è la perdita. Intendo una perdita vera e propria, reale e debilitante.
È un'esperienza devastante e persino difficile da comprendere. Chi perde un coniuge è un vedovo, chi perde un genitore è un orfano. L'ho già detto in passato, ma non esiste una parola per un genitore che ha perso un figlio. Nessuno ci ha mai pensato, forse perché biologicamente non dovrebbe accadere. Non è previsto.
D: Sembri una delle persone più equilibrate del cinema.
FRANCES: È solo che il caos e il clamore non fanno per me. Non voglio vivere la mia vita davanti a una telecamera e non voglio essere schiava del lavoro. L'ho sempre pensata così.
D: Sembri una madre tranquilla.
FRANCES: Sì e no. Essere genitori significa provare spesso sentimenti di ansia e preoccupazione legati al desiderio di proteggere i figli.
Non ho partorito mio figlio. L'ho incontrato quando aveva sei mesi, ma dal momento in cui l'ho preso in braccio e ho sentito il suo odore, ho capito che il mio compito era prendermi cura di lui e tenerlo in vita... è una sensazione che non ti abbandona mai veramente. I figli adulti non hanno più bisogno di te, ma tu continui a volerti prendere cura di loro e ad amarli, né più né meno di prima.
La prospettiva e l'equilibrio, di madre e persona, con il tempo si adattano, ma quella sensazione non ti abbandona mai, proprio mai.
D: In che modo cambia il rapporto quando i figli vanno a vivere da soli?
FRANCES: Prima di tutto ammetto che mi manca non avere più mio figlio Pedro in giro per casa, ancora adesso mi sento un po' fuori fase. Per quanto tutti cerchiamo di trovare la forza dentro di noi, bisogna essere abbastanza coraggiosi e onesti da ammettere che la maggior parte delle volte cerchiamo la forza negli altri.
Faccio un esempio: per fortuna ero impegnata sul set di Olive Kitteridge quando Pedro si è trasferito, perché così non ho avuto il tempo materiale di piangere e disperarmi! E comunque vive a New York a qualche isolato di distanza, vedersi non è un grosso problema.
D: Raramente abbiamo tue notizie quando non sei impegnata nella promozione di un film. La tua è una vita molto tranquilla?
FRANCES: Recito da 35 anni, ma dedico gran parte del tempo alla casa e a nostro figlio. E poi ho sviluppato una serie di altri grandi talenti: viaggiare, trovare le scuole giuste per Pedro, organizzare cene e feste, arredare case, dare una mano a mio marito con alcuni dei suoi progetti.
È forse una vita tranquilla? Non credo. È poco spettacolare? Per alcuni probabilmente sì.
D: Quali sono i messaggi e la morale di Nomadland secondo te?
FRANCES: Nomadland è stato un viaggio in un luogo che avevo paura di esplorare. Il film mette in mostra non solo una frattura tra le persone in questa società, ma in noi stessi.
Ho sperato da subito che il film indicasse una strada per capire che cosa significa far parte di una società, ma anche cosa significa essere fedeli a sé stessi. Nomadland racconta che esistono persone intorno a noi che non hanno mai smesso di riflettere su chi sono, cosa fanno e dove vanno, ma anche che una fetta di questa società si trova all'estremo assoluto di questo percorso.
È interessante chiedersi chi sono le persone più felici: quelle che hanno una casa, una famiglia, un lavoro sicuro e una routine, e non si allontanano mai da sé stesse? Oppure le persone che non si fermano mai, si spostano da un luogo a un altro e non sanno bene dove sono né dove andranno, ma vivono ogni giorno in completa libertà?
D: Che cosa ti ha lasciato questo progetto?
FRANCES: La misura, credo. La capacità di trovare una via di mezzo, un equilibrio in cui essere pienamente affidabili e funzionanti. Mi ha colpito e sconvolto la consapevolezza che ognuno può perdere quell'equilibrio, trovarsi sopraffatto da pensieri e norme morali e dimenticarsi di spostare l'attenzione verso ciò che ha davanti agli occhi ogni giorno.
Poi ci sono le persone così condizionate e schiacciate dal presente che non hanno il tempo di fare un passo indietro per guardarsi intorno.
Penso che nessuno di noi voglia vivere o essere percepito secondo questi estremi.
D: La prospettiva cambia tra uomo e donna? Il modo di trovare l'equilibrio ed essere soddisfatti delle proprie vite è diverso?
FRANCES: Io sono sicuramente felice di essere una donna. Non voglio sembrare offensiva, sessista, ingiusta o semplicemente ignorante, ma penso che le donne siano più brave a trovare l'equilibrio. Diciamo che entrambi i sessi possono gestire questi due aspetti della vita, lavoro e riposo, e cercare di tenerli separati. Anzi, è una questione più profonda: entrambi vogliamo tenerli separati.
Mio marito ammetterebbe senza problemi di essere meno capace di me, quindi la mia non è una posizione da femminista o attivista per i diritti delle donne, si basa proprio su una lunga ricerca [ride].
A parte gli scherzi, riusciamo a suddividere, a tirare una riga e a non superarla. Certo, conosco uomini altrettanto bravi a fare tutto questo, ma nell'immaginario collettivo l'uomo provvede alla famiglia e ha il diritto di ripartire e cacciare. Le donne invece hanno il diritto di stabilire l'armonia tra le cose e le persone che hanno intorno., anzi, non è solo un diritto, è un talento.
D: Pensi di avere sufficiente libertà creativa per esprimere questo aspetto nei film che scegli?
FRANCES: Penso di sì. È una bella soddisfazione riuscire a interpretare le donne nel cinema. Tutti i miei ruoli significano qualcosa per me, mi ricollegano a persone ed esperienze del mio passato. Per esempio, per certi versi Olive Kitteridge è stata il culmine di tutto quello che avevo imparato durante la mia carriera. Ho dovuto sfruttare tutte le mie conoscenze per vestire i panni di Olive, e lo stesso vale per molti altri ruoli.
Come il mio personaggio, penso di aver affrontato la vita con stoicismo, lucidità, onestà. Sono stata diretta, a mio modo, e a volte ho detto le parole sbagliate al momento sbagliato e mi sono accorta troppo tardi di aver offeso qualcuno. Pazienza!
D: È stato difficile raggiungere un equilibrio tra lavoro e riposo?
FRANCES: Il mio rapporto con loro non cambia tra lavoro e vita privata. Non sono del tutto intercambiabili sul set, e non lo sono di certo nella vita reale, ma se ho una domanda, vado semplicemente da chi può rispondere prima.
Con Ethan [Coen] ho il rapporto che si ha tra cognati. Lui e Joel lavorano insieme tutto il giorno, ma poi Ethan torna a casa dalla sua famiglia e non lo vedo molto. Ci incontriamo soprattutto ai festival e durante le vacanze in famiglia.