Il potere di una mente aperta
L'elenco dei riconoscimenti accademici nel curriculum del professor Howard Gardner è veramente impressionante: dalla “Genius” Fellowship della Fondazione MacArthur nel lontano 1981, passando per 31 lauree ad honorem, arrivando ai premi più recenti ottenuti per aver influenzato, con il suo pensiero, diversi campi, dall'economia aziendale all'etica.
Oggi professore di Scienze cognitive e pedagogiche presso la Harvard Graduate School of Education, è autore di trenta libri e svariate centinaia di articoli ed è noto in particolare per la sua teoria delle intelligenze multiple (MI). Lavorando con adulti affetti da lesioni cerebrali e bambini dotati tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta, Gardner arriva a mettere in discussione l'idea che esista una sola intelligenza umana misurabile con strumenti psicometrici standard. Sostiene, piuttosto, che esistano intelligenze diverse – ad esempio linguistica, visiva, musicale, interpersonale e intrapersonale, ossia la capacità di comprendere se stessi – e che, in ognuno di noi, alcune siano più sviluppate delle altre.
La teoria delle intelligenze multiple ha trasformato i principi della psicologia e della pedagogia ed è stata successivamente applicata in diversi paesi e con diverse modalità, a volte giuste e a volte sbagliate. Per comunicare con maggior chiarezza la sua teoria, Gardner, oggi settantaseienne, ha lanciato il sito Multiple Intelligences Oasis. Inoltre, ha lavorato ad altri progetti e dalla metà degli anni Novanta è direttore di The Good Project, iniziativa che ha l'obiettivo di preparare gli studenti a diventare “buoni cittadini e lavoratori”, in grado di contribuire al benessere generale della società.
Gli abbiamo chiesto di parlarci di quelle che secondo lui sono le doti necessarie per sopravvivere, e prosperare, nel Ventunesimo secolo.
In una recente intervista alla Harvard Gazette ha dichiarato: “Il dono più grande che possiamo ricevere è l'istruzione, un'istruzione non strettamente professionale”. Può spiegare meglio cosa intende?
Ho almeno tre argomenti a sostegno di questa tesi:
l. Il mondo del lavoro sta cambiando molto in fretta e la preparazione per una qualsiasi mansione specifica da qui a pochi anni potrebbe rivelarsi scollegata dalle esigenze reali.
2. Scrittura, ragionamento, critica, sintesi, comunicazione, collaborazione saranno competenze sempre più importanti nel prossimo futuro; svilupparle è più semplice attraverso un'istruzione di ampio respiro, che abbracci vari argomenti e discipline. È per questo motivo che persone da tutto il mondo vogliono che i propri figli frequentino Princeton, Amherst, Pomona o Dartmouth anziché facoltà di ingegneria, veterinaria o giornalismo, subito dopo il diploma.
3. Ormai ho una certa età e posso dire che un'istruzione superiore di largo respiro è il dono più grande che possiamo fare a noi stessi per il resto della nostra esistenza. Perché anche quando non saremo più in grado di correre un miglio o di salire su un aereo, potremo godere della musica, dell'arte, del teatro e soprattutto dei gruppi di lettura e di discussione su romanzi e saggi. È difficile dedicarsi a tutto questo se si riceve un'istruzione limitata. Un'istruzione varia permette di accumulare un capitale intellettuale e culturale a cui attingere per tutta la vita.
Cosa pensa del lavoro del futuro, quale crede che sia il modo migliore di preparare gli studenti? Possiamo educarli a un mondo che ancora non conosciamo?
Credo che quest'ultima frase si sia rivelata storicamente più vera di quanto la maggior parte di noi non possa immaginare. Ho conosciuto i miei genitori (nati attorno al 1910) e i miei nonni (nati attorno al 1880) abbastanza bene da sapere che non avrebbero mai potuto prevedere gli avvenimenti degli ultimi centoquarant'anni.
Per cui, sì, è vero, non possiamo prevedere quali saranno i lavori specifici e le competenze specifiche di cui avranno bisogno i miei nipoti, nati in questo secolo. Tuttavia esistono determinate “basi”, o “costanti” o “concetti fondamentali”, come la morale, l'integrità, l'etica – concetti sui quali si concentra il lavoro svolto da me e dai miei colleghi per thegoodproject.org – ossia cosa significa essere un buon lavoratore e un buon cittadino.
Peraltro, posto che è certamente un vantaggio conoscere l'informatica, l'analisi dei dati, le materie STEM, resto convinto che un approccio pedagogico ampio e multidisciplinare sia fondamentale a ogni età. E quindi, ribadisco, voglio che i miei nipoti e pronipoti abbiano un'istruzione che spazi dalla storia alla filosofia alle arti.
In che modo possiamo, e dobbiamo, continuare a “costruire ponti anziché muri” tra paesi e società, nelle università e nei luoghi di lavoro?
È ovvio che dobbiamo costruire ponti anziché muri: perfino gli animi più estremi della sinistra o della destra non sono in grado di offrire una spiegazione razionale che giustifichi la costruzione di muri piuttosto che di ponti.
Ma è vero che nel secondo decennio del Ventunesimo secolo è diventato più difficile sostenere questo concetto. Sempre più persone negli Stati Uniti sembrano convinte che i muri, fisici e psicologici, siano in grado di risolvere i problemi anziché esacerbarli. Questo, ahimè, non vale solo per gli Stati Uniti e non dovrò certo ricordarlo io a quanti vivono in Gran Bretagna, Ungheria, Turchia, Brasile, Venezuela o Cina.
Non esistono scorciatoie. La “formula”, secondo me, consiste nello sviluppare sin da piccoli una “morale della reciprocità”, che rispecchi grosso modo i precetti della regola d'oro [il principio di trattare il prossimo come vorremmo essere trattati noi stessi] e nei dieci comandamenti.
Quando si cresce in un mondo complesso e interconnesso, bisogna tenere presente anche “l'etica dei ruoli”: cosa significa essere un buon lavoratore e un buon cittadino. Un buon lavoratore e un buon cittadino è ben informato; non presume di avere tutte le risposte; ascolta attentamente gli altri punti di vista ed è disposto a cambiare opinione. Per dirla con una formula, un buon cittadino segue le cinque D: riconosce i Dilemmi ed è pronto a Discutere, Dibattere, Decidere e infine ri-Discutere [in originale, debrief, NdT]; a riflettere su quanto è stato deciso insieme e come migliorare in futuro.
Questo può non essere sufficiente per costruire dei ponti, ma sicuramente evita di dover difendere a tutti i costi dei muri. Evita di farci diventare dei fondamentalisti, delle persone che si sono impegnate a non cambiare la propria opinione.
Esistono circostanze in cui i confini sono importanti per la disciplina e la realizzazione di un obiettivo o è meglio seguire il mantra “nessun limite”?
La vita è breve e non ha senso fingere di sapere tutto o padroneggiare tutto. “Nessun limite” è un concetto irraggiungibile. Ciò detto, è sempre bene non fissare confini rigidi perché si rischia di chiudere la mente a qualcosa di importante. Sono fondamentalista su poche cose: l'importanza di cercare la verità, l'uso del metodo scientifico quando opportuno, la centralità dell'arte nella vita. Ma a parte questo, cerco di mantenere la mente aperta e spero che le persone intorno a me facciano lo stesso.
La capacità di collaborare acquisirà maggiore importanza in futuro?
La capacità di collaborare è sempre stata importante e non ci sono ragioni per pensare che questo cambi. Tuttavia in futuro dovremo collaborare con macchine, robot, programmi di IA. Ecco la nuova sfida per le nuove generazioni!
Crede che la sua idea delle intelligenze multiple abbia ricevuto sufficiente attenzione? Oppure che venga usata da scuole e università solo in situazioni problematiche, ad esempio in presenza di un danno cerebrale o di un disturbo dello sviluppo, come la dislessia?
Quando ho scritto per la prima volta di intelligenze multiple, non avrei mai immaginato che la questione restasse al centro della mia corrispondenza e dei miei inviti ancora quarant'anni dopo.
A parte questo, come molti altri scrittori e teorici, faccio più fatica a notare le applicazioni e interpretazioni corrette del mio pensiero rispetto all'uso erroneo o alla comprensione inadeguata.
Gran parte delle “buone applicazioni” sono raccolte nel volume Multiple Intelligences Around the World del 2009, in cui 42 autori di 15 paesi in cinque continenti illustrano una serie di programmi prudenti e ingegnosi basati sulla teoria delle MI. Su questi temi ho anche un sito, multipleintelligencesoasis.org, in cui pubblico regolarmente idee, articoli e applicazioni pratiche che mi sono piaciute, e altre sulle quali nutro alcune riserve.
Crede che i bambini nella media vengano ancora giudicati in base a parametri molto limitati?
Probabilmente è così. Ma, insieme a Daniel Goleman [psicologo e scrittore] e alcuni altri studiosi, penso di aver contribuito ad ampliare e moderare la discussione un po' in tutto il mondo, anche tra le persone e le istituzioni che non hanno mai sentito parlare di me o della teoria delle MI.
Qual è la migliore lezione di vita che può darci?
“Scegli bene i tuoi genitori”. Naturalmente è una battuta. Ma penso davvero che i genitori abbiano la massima influenza sul carattere etico dei propri figli. Ho avuto la fortuna di avere genitori con un forte senso della morale, e anch'io ho cercato di coltivarlo e condividerlo con i miei figli, i colleghi e gli studenti nel corso degli anni.
Per lei la moralità conta più del successo?
È una domanda facile per me. Ma una delle tragedie della nostra epoca, e probabilmente anche di altre, è che troppe persone pensano che avere successo, un concetto spesso identificato con la fama e la fortuna, conti più di fare la cosa giusta. Mi sarebbe piaciuto vivere in un tempo, e in un paese, in cui le persone non fossero giudicate in base alla quantità di denaro, alle proprietà e ai titoli di giornale conquistati in vita, ma in base al loro impegno per fare la cosa giusta, nei momenti difficili.