HangarBicocca presenta la prima retrospettiva in Italia dell'artista polacco Miroslaw Balka, nato a Varsavia nel 1958. Dal 16 marzo al 30 luglio, gli ampi spazi delle Navate custodiranno nella loro oscurità una serie di opere, realizzate dagli anni Novanta a oggi, insieme a un video concepito appositamente per l'occasione. “È una grande emozione per me vedere le mie opere installate in questo spazio”, commenta Balka. “E, sono sicuro, non solo per me. Una mostra è sempre un lavoro collettivo, perché nasce dalla collaborazione di tanti individui. L'artista può essere l'autore delle opere, ma è soltanto grazie alla collaborazione di un team che un'esposizione come questa può avere luogo. E credo che l'intento di “CROSSOVER/S” sia proprio quello di indagare questo tipo di dinamiche: individualità e collettività, identità e anonimato, luce e ombra, memoria e oblio, quotidianità e Storia.
L'opera più potente e, allo stesso tempo, delicata è 7 x 7 x 1010, 2000, che Balka definisce “il cuore della mostra”. Una pila di saponette usate, raccolte presso gli abitanti di Varsavia, impilate una sull'altra per oltre 10 m di altezza. Vedere questa colonna profumata stagliarsi nell'oscura sacralità delle Navate, fortissima ed elementare allo stesso tempo, è un'esperienza in grado di connettere lo spettatore con la parte più vera e genuina della propria umanità.
“CROSSOVER/S” è una mostra di attraversamenti, di “in between”, come spiega Balka, riferendosi allo spazio che il visitatore deve attraversare per andare da un'opera all'altra, da una “stazione” all'altra. Ma è anche una mostra legata al motivo della linea, della verticalità (vengono in mente le grandi tele di Barnett Newman). Yellow Nerve, 2012-2015, installata nello spazio del Cubo, è composta da un filo giallo che scende fino al pavimento, muovendosi anche in base agli spostamenti d'aria provocati dall'avvicinarsi dello spettatore, catturando la luce, riempiendo la vastità dello spazio con la sua delicatezza e fragilità. E poi c'è To Be, 2014, una molla di metallo sospesa nello spazio, che progressivamente accumula energia, alternando così momenti di quiete a movimenti improvvisi e trasmettendo un senso di minaccia, di violenza latente.
Il giallo torna in Holding the Horizon, 2016, realizzato per l'esposizione. “Nel mito è Atlante che sostiene il mondo. La figura di Atlante si basa su un'immagine di responsabilità. Quando penso all'idea di sostenere l'orizzonte penso a quello dell'Europa, e alla nostra responsabilità di fronte a una simile visione”, spiega Balka. “Il video, che proietta una linea gialla che scorre su uno sfondo nero, si trova alle spalle dell'osservatore, che quando entra in mostra non lo vede (normalmente, quando si entra in un posto, non si guarda dietro di sé). Ma quando esce, il visitatore nota la linea gialla e capisce che è sempre stata lì, sentendosi parte di una specie di ciclo, di rito.”
Anche Unnamed, 2017,gioca con le percezioni dello spettatore, che viene coinvolto attraverso tutti i sensi. In questo caso la tenda che separa lo spazio delle Navate dallo Shed è riscaldata fino a raggiungere la temperatura media del corpo umano (sempre al centro delle opere di Balka, che molto spesso nei titoli inserisce le misure del proprio corpo – utilizzate per generare le dimensioni di sculture e installazioni). Un altro senso che entra in gioco è l'olfatto, come in Soap Corridor, 1995, concepito per la prima volta in occasione dellla Biennale di Venezia nel 1993, dove Balka, invitato a rappresentare la Polonia, aveva cosparso i muri del corridoio d'ingresso del Padiglione Polacco con un leggero strato di sapone, qui riproposto in una versione più intima, sotto forma di corridoio le cui dimensioni sono modulate secondo quelle del corpo dell'artista. L'udito è coinvolto, o meglio, sovrastato, da Wege zur Behandlung von Schmerzen, 2011, un'enorme vasca metallica nella quale si riversa un getto di acqua nera. Il titolo in tedesco significa “percorsi per il trattamento del dolore”, riflettendo sulla memoria collettiva di un dolore passato, superabile soltanto se manifestato, come nel caso di questa “anti-fontana”, la cui oscurità, piuttosto che a un monumento commemorativo, rimanda al buio profondo dell'oblio.
La differenza di scala delle opere invita lo spettatore a relazionarsi con l'esposizione attraverso il proprio corpo, percependo consapevolmente la propria presenza. Se la fontana emerge dall'oscurità, altissima e minacciosa, obbligandolo a sollevare il mento, Common Ground, 2013/2016, una distesa di 178 zerbini, si dispone sul pavimento, sotto i suoi piedi. Balka li ha raccolti in un quartiere povero di Cracovia, scambiando i vecchi con i nuovi. Una riflessione sull'idea di soglia, sulla possibilità di un'intrusione nella vita intima e domestica e, ancora una volta, su individualità e collettività. Cruzamento, 2007, è un altro esempio di interazione diretta con il corpo dello spettatore, che entrando nella struttura a croce viene investito da un forte getto d'aria, definito dall'artista “una sorta di momento di purificazione, di pulizia del corpo”.
“I lavori in mostra sono 18, che è un numero perfetto in questo caso, perché contiene 1, che è il singolo, l'autore, l'individuo, e 8, che rimanda all'infinito, e cioè a tutti coloro che, in realtà, hanno fatto e fanno in modo che queste opere esistano.” Dalle persone che hanno consegnato i loro oggetti, alle vittime degli eventi drammatici che hanno scosso il secolo scorso, da chi ha lavorato con lui alla realizzazione di questa mostra, a ogni singolo visitatore: Balka ci tiene a ribadire come tutte queste persone siano parte integrante della mostra e delle opere che la costituiscono, “che sono come delle stazioni: senza i viaggiatori non hanno senso”.