Recentemente ci siamo ritrovati in dieci, un gruppo di vecchi amici, in una sessione di Zoom; dall'inizio della pandemia abbiamo inaugurato una serie di incontri virtuali che spero continueranno anche quando finirà. Ognuno di noi racconta storie di vita nel proprio luogo di auto-isolamento. Zoom, maestro severo, non permette che ci si sovrapponga nel parlare perciò uno per uno, a turno, ci intratteniamo con racconti, battute goliardiche, ricordi delle nostre imprese dei tempi pre-pandemia. L'arguzia e l'estro narrativo sono le doti più apprezzate.
La struttura della conversazione mi ha fatto pensare a un libro meraviglioso: il Decameron (successivamente, notando le tendenze dei libri su Twitter, ho capito che altri avevano avuto la stessa idea). Il mio primo incontro con quest'opera e il suo autore, il poeta e scrittore fiorentino Giovanni Boccaccio (1313-1375), è avvenuto molto tempo fa, durante un corso universitario sul Rinascimento italiano. Un corso che, in retrospettiva, mi ha cambiato la vita.
Ed ecco che, seduto di fronte al laptop, mentre i volti dei miei compagni di ventura sfilavano lungo i bordi dello schermo, ho avuto la strana sensazione che questa modalità di comunicazione del 21º secolo mi proiettasse indietro nella città medievale di Fiesole, alle porte di Firenze, dove la “brigata” di Boccaccio (un gruppo di dieci, come noi) si era rifugiata per sfuggire alla pestilenza, la Morte Nera, l'epidemia globale che falcidiò più della metà della popolazione fiorentina, in gran parte tra marzo e giugno del 1348. Dioneo, Filomena e gli altri personaggi passano le giornate nel giardino della villa e, alla sera, condividono racconti rievocanti le delizie mondane prima della pandemia, proprio come noi. Nelle nostre regolari sessioni di Zoom, inconsciamente, ripetevamo le gesta della brigata nel racconto di Boccaccio, pubblicato per la prima volta nel 1353.
“Qualcuno di voi ha letto il Decameron?” ho chiesto quando è arrivato il mio turno. Non lo aveva letto nessuno, anche se diversi membri del gruppo avevano visto la scabrosa versione cinematografica di Pier Paolo Pasolini del 1971. Perciò, prendendo la parola, ho incentrato il mio raccontato sul libro.
Da giovane pensavo di diventare un ingegnere, come mio padre, o uno scienziato; invece sono diventato uno scrittore (come mia madre) che scrive storie su personaggi come mio padre: scienziati e ingegneri. Cerco l'elemento umano in soggetti complessi e tecnici, l'anima nella macchina. L'intelligenza artificiale ha fatto prodigiosi passi in avanti nell'ultimo decennio, grazie al passaggio all'apprendimento profondo basato su reti neurali ma, con tutta la sua capacità di elaborazione, si trova ancora nei Secoli Bui. Difetta dell'“umanesimo”, la filosofia al cuore del Rinascimento.
Gran parte del merito (o della colpa, agli occhi di mio padre) per il mio riorientamento professionale spetta a Boccaccio, a quel corso e al suo docente, il Professor Anthony Grafton dell'Università di Princeton, la persona più colta che abbia mai conosciuto. La prima lezione fu sul Decameron, e Grafton iniziò leggendo l'introduzione alla prima giornata, un resoconto vivo e terrificante degli effetti della pandemia a Firenze.
“Ma perché iniziare un corso sul Rinascimento con la Morte Nera?” chiese uno dei miei amici, rubandomi momentaneamente la scena sullo schermo di Zoom.
“Perché senza la Morte Nera niente sarebbe cambiato,” ho risposto. Il volto del mio amico era dubbioso.
Riferii al gruppo le osservazioni del professore su come la pestilenza avesse dato slancio alla tecnologia. La morte di tanti scribi aveva fatto decollare gli esperimenti sulla stampa meccanica, che avrebbero portato all'epocale invenzione di Gutenberg del 1452: la pressa tipografica.
“Sapevate che il Decameron è stato uno dei primi libri ad essere stampato?”
“Ma cosa ha a che fare il Decameron con il Rinascimento?” chiese un altro compagno di brigata.
“Semplicemente tutto,” ho risposto. “Pensateci: il mondo si avvia alla fine e, cinque anni dopo, appare quest'opera epica in prosa, il primo capolavoro della moderna letteratura occidentale. Il canone inizia con Boccaccio. La morale della storia è: “Finché esisterà la narrazione, l'umanità avrà un futuro”. Neanche la Morte Nera è riuscita a spegnere la sua forza vitale. Quale miglior esempio della resilienza umana, di fronte a un'avversità inconcepibile, del Decameron?”
“Come dire ‘Creativity Goes On'?” intervenne qualcuno, citando lo spot di Apple in risposta alla pandemia.
“Come dire che serve una crisi per ricordarci che tutti possediamo questo dono umano essenziale: la narrazione. Il motivo per cui,” dissi concludendo il racconto, “sono diventato scrittore e non ingegnere.” Scusa, papà, ero giovane e scriteriato…
“Perciò coraggio, amici!” proseguii, immedesimandomi facilmente nel ruolo di Dioneo, l'alter-ego di Boccaccio che ha l'ultima parola nel libro. “Raccontandoci le nostre storie, tra una sessione di Zoom, di Google Hangouts e un video Tic Toc, stiamo salvando il mondo. Questo è il Decameron in tempo reale.”
Abbiamo chiuso la sessione, ripromettendoci di incontrarci la settimana seguente. La nostra villa virtuale è svanita, insieme ai rigogliosi giardini medievali di Fiesole in cui i personaggi di Boccaccio trascorrono le ore calde della giornata, finché non riprende la narrazione.