Sette torri si alzano verso il cielo: qual è il loro mistero? La risposta è arrivata nella prima delle “Sei conversazioni d'arte”, viaggio nel patrimonio artistico milanese curato da Marco Carminati e giunto quest'anno alla terza edizione.I Sette Palazzi Celesti che svettano in Pirelli HangarBicocca, a tutti semplicemente noti come “le torri di Kiefer”, sono stati i protagonisti del primo appuntamento, mercoledì 29 marzo a Palazzo Reale. «Quest'anno per la prima volta la rassegna apre all'arte contemporanea», ha esordito l'Assessore al Turismo del Comune di Milano Roberta Guaineri. L'avvio è toccato dunque a una delle opere più visitate ed enigmatiche del panorama milanese, che da semplice installazione temporanea è diventata un'attrazione permanente e amata da migliaia di visitatori ogni settimana. I Sette Palazzi Celesti sono sorti nel 2004 per tenere a battesimo Pirelli HangarBicocca, ed erano destinati a proseguire il loro cammino verso altri luoghi. Così non è stato: oggi sono il simbolo della fondazione, e forse una delle opere che meglio rappresentano il legame sempre più solido tra la città è l'arte contemporanea, di cui Pirelli HangarBicocca è uno degli spazi simbolo.
Dietro il mistero delle sette torri c'è tutta l'opera di Anselm Kiefer, l'artista tedesco che con questa installazione definisce se stesso. «I Sette Palazzi Celesti sono insieme elevazione e caduta», ha spiegato Gabi Scardi, critico d'arte del Sole 24Ore che ha moderato la serata. «La loro forza titanica si adatta perfettamente allo spazio fisico di Pirelli HangarBicocca, che diventa quasi un teatro: le torri spiccano sul nero profondo che le circonda, come da una quinta di scena. La tensione verso il cielo è al centro dell'ispirazione dell'opera: ovvero la Merkavah, la corrente della mistica ebraica che insegna il cammino di iniziazione spirituale per arrivare a Dio. È un viaggio sia reale che interiore, non privo di ambiguità; lo sguardo è rivolto verso l'alto, ma anche in basso, verso se stessi». I nomi de I Sette Palazzi Celesti tradiscono le fonti di Kiefer: Sefiroth, ovvero gli strumenti che Dio ha adoperato per produrre la materia del creato; Melancholia, riferimento all'animo contemplativo dell'artista; Ararat, il monte su cui si è arenata l'arca di Noè; Linee di campo magnetico, fatte di piombo impenetrabile, allusione all'odio nazista verso il popolo ebraico; JH & WH, due torri con i cocci del vaso in cui Dio ha infuso la vita; Torre dei quadri cadenti, simbolo definitivo di distruzione. Sul suolo da cui si ergono le torri – e qui lo sguardo dall'alto torna prepotentemente verso il basso – si scoprono frammenti di vetro, fiori secchi, cenere, strisce di ferro con incisi numeri, che sono un chiaro rimando alle cifre tatuate sulle braccia dei deportati nei campi di concentramento.
La riflessione su ebraismo e Shoah è l'inevitabile punto d'arrivo dell'intera opera di Kiefer. L'artista è nato l'8 marzo del 1945, esattamente due mesi prima della caduta del Terzo Reich. La rimozione del dramma nazista segna la sua infanzia: «Il silenzio della Germania è assordante, parlare di Hitler è vietato. Ma Anselm, che cresce giocando letteralmente tra le rovine, sente già la spinta a tenere tutto insieme: la grandezza culturale e al contempo la tragedia del suo paese», è il commento di Gabi Scardi. L'opera che pone Kiefer all'attenzione internazionale è una serie di fotografie in cui l'artista mette al centro se stesso, con indosso la divisa nazista del padre e impegnato a fare il saluto hitleriano. Il titolo è Occupazioni: lo sfondo di ogni scatto è una delle città europee occupate dal Reich. Siamo a cavallo tra gli anni '60 e '70, e l'opera dà scandalo: c'è persino chi accusa l'artista di essere un neonazista, quando l'intenzione era naturalmente quella opposta. «Fin dal principio, Kiefer affronta la Storia in chiave esistenziale: questa tensione contraddistingue tutta l'arte successiva», secondo il critico d'arte. «Il suo lavoro nasce sempre dallo choc, e dalla stessa riflessione che fece Thomas Mann nel celebre discorso di Washington, divenuto poi il trattato La Germania e i tedeschi: “Non ci sono due Germanie: ce n'è una sola, in cui il Bene è precipitato nel Male”».
Col tempo, le opere di Kiefer si fanno sempre più titaniche, complici i luoghi che sceglie come abitazione e insieme spazio di creazione. Nei decenni successivi, i viaggi diventano l'ispirazione principale, specie davanti ai grandi monumenti dell'uomo: nei suoi quadri vediamo riprodotte le piramidi di Giza e gli ziggurat dell'America Centrale, fino allo choc – appunto – provocato dalla città di Gerusalemme, che lo induce ancora di più a una riflessione sulla storia dell'ebraismo e della Kabbalah. «Dopo Auschwitz, potranno venire altre Auschwitz», si ritrova a dichiarare l'artista.
L'approdo privato è Barjac, un immenso complesso ex-industriale nel Sud della Francia che diventa la sua base. È lì, tra i campi di girasoli, che si innalzano i primi “palazzi celesti”, assemblati con calchi di cemento di vecchi container: gli stessi che poi arriveranno in Pirelli HangarBicocca di Milano.
«La matrice classica dell'opera di Kiefer si adatta allo spazio che trova ogni volta attorno a sé, e a materiali che raccontano la contemporaneità», è la conclusione della prima Conversazione d'arte. «Lo scopo dell'artista è creare il nuovo, non rappresentare l'esistente. La sua filosofia potrebbe essere così sintetizzata: “Non si trova un senso, lo si costruisce”. Per questo I Sette Palazzi Celesti diventano un'archeologia stessa del presente, un abisso di tenebra in cui intravediamo la luce. Anche se il mondo è in rovina e il rischio di tornare polvere è connaturato al nostro stare al mondo, l'uomo può sempre trovare gli strumenti per pensare. Possiede la cultura, la conoscenza, la forza di guardare, nonostante tutto, verso l'alto». Come i nostri occhi che vanno sempre più su, fino alla sommità di quelle sette torri che sono il simbolo di così tante cose. E oggi, daPirelli HangarBicocca in cui hanno preso vita tredici anni fa, anche di Milano.