Anni '70, una luminosa giornata di sole.
Mio zio Charlie – un bevitore, un giocatore d'azzardo, uno sfaccendato, ma un dio ai miei occhi – mi portò a una partita di baseball. In campo c'erano i New York Mets, una squadra tremenda, la peggiore in circolazione; anche loro, però, ai miei occhi erano degli dei.
Avevo sette anni, credo. Il ricordo è confuso, non posso garantire sull'accuratezza di certi dettagli. Ma forse è un bene, forse è meglio così, perché l'inaccuratezza è uno dei punti cardine di questa storia.
Quel giorno il lanciatore dei Mets era un cowboy con una faccia da bambino e il braccio destro baciato da Dio. Lanciava fumo, lui. Lanciava comete. Lanciava delle fastball che raggiungevano quasi i 150 km all'ora, sfiorando il record assoluto di velocità. Io guardavo gongolando gli occhi a fessura, le labbra increspate dei battitori che di volta in volta si presentavano sulla pedana per affrontarlo.
A terrorizzarli non era l'incredibile potenza del cowboy, ma la sua totale mancanza di controllo. Il più delle volte lui stesso non aveva idea di dove sarebbe andato a finire il suo tiro.
C'è sempre la possibilità che la palla sfugga dalla presa del lanciatore, che prenda una strada tutta sua, che finisca in faccia o sulla testa del battitore. Un'esile possibilità, certo; ma l'implicita paura che un simile caso si verifichi è tra gli elementi cruciali dello scontro agonistico di questo sport. Con il cowboy, però, l'esile possibilità era quasi una certezza. La questione non era se, ma quando.
Avevamo posti buoni, a ridosso dalla prima base. Sembrava quasi di poter toccare quella sgargiante striscia di luce bianco-violacea, quell'arco che andava dalla mano del cowboy a quella del ricevitore. Ricordo ancora a ogni lancio il tonfo di cuoio contro il guantone, un rumore che aveva qualcosa di appagante, come un sacchetto di carta riempito di aria che veniva fatto scoppiare. Pof pof pof.
Ancora più appagante era il fatto che ogni lancio fosse uno strike. Per qualche congiuntura miracolosa quel giorno il cowboy aveva dalla sua potenza e controllo. Per cinque o sei inning tenne bloccato il punteggio dei suoi avversari sullo zero e fece fuori otto o nove battitori. La sua espressione era di pura gioia. Come anche la mia, immagino.
Poi, di colpo, la situazione gli sfuggì di mano. La palla andava per conto suo. A sinistra, a destra, su, giù. Sfrecciava, rimbalzava sul terreno. Mio zio Charlie sospirava. Eccoci qua, diceva.
Quarto ball. Il cowboy regalò una base agli avversari.
Quarto ball. Il cowboy regalò un'altra base agli avversari.
Oltre al controllo il cowboy aveva perso la compostezza. Sudava come il colpevole in un confronto all'americana.
In preda all'angoscia guardavo mio zio Charlie. Fa' qualcosa. Dal canto suo, zio Charlie mi osservava con il placido cipiglio di un antico stoico. E ora cosa pensi di fare?
Un'altra base regalata. Il pubblico cominciava a spazientirsi. Dalle gradinate più alte piovevano mugugni e buu di disapprovazione.
Adesso cosa succede? chiesi a zio Charlie.
Lui si accese una Marlboro, poi sollevò lentamente quattro dita. E in effetti, una due tre quattro, il cowboy fece quattro ball di fila, regalando l'ennesima base e il punto agli avverdari.
Alla fine l'allenatore prese il cowboy al lazo e lo trascinò fuori dal campo. Ma ormai era troppo tardi. L'altra squadra aveva preso slancio ed era passata in vantaggio e i Mets fecero quello che fanno sempre. Persero.
In macchina, mentre tornavamo a casa, mio zio Charlie abbandonò il suo stoico distacco per mettersi a filosofeggiare sul lanciatore. Avere un talento del genere, chiosò, per poi sprecarlo in quel modo... che peccato.
Per me era più che un peccato. Era una tragedia.
Nonostante siano passati tanti anni, ancora oggi mi ritrovo a pensare a quel lanciatore che continua a farmi da sprone. È il simbolo di chiunque si trovi alle prese con la questione del controllo: in pratica, ogni essere umano.
A tutti capita di pensare, erroneamente, che i grandi atleti, attori, pittori, medici, imprenditori e così via siano dotati di poteri speciali. In realtà tutti abbiamo dei poteri speciali. Le persone di successo sono quelle che riescono a tenere sotto controllo questi poteri in maniera duratura e costante.
Il formidabile pianista Glenn Gould aveva una fissazione maniacale per il suo vecchio e malconcio Steinway CD 318 e per il suo speciale sgabello di legno con le gambe segate, perché gli permettevano di entrare in contatto, toccare, sentire al massimo lo strumento. "È questo il segreto per eseguire Bach al piano," diceva. "Bisogna ottenere questo tipo di risposta immediata, questo tipo di controllo sulle sottigliezze.”
Georgia O'Keeffe, tra i più importanti artisti americani nonché figura di spicco del modernismo, nonché, dipingeva con l'anima, con passione e un senso di mistero. Ma in una famosa lettera a una sua cara amica sottolineava l'importanza del sangue freddo. "L'autocontrollo è una cosa meravigliosa --- Secondo me è importantissimo trattenersi dagli eccessi del sentimento --- quanto più spesso possibile --- se vogliamo preservare l'equilibrio mentale e avere una visione limpida, scevra di pregiudizi."
Questo conflitto tra potenza e controllo è radicato nel nostro DNA perché è radicato nel DNA dell'universo stesso. Gli scienziati ci dicono che questo conflitto è sempre esistito, dal Big Bang in poi: l'Energia contro l'Entropia, una lotta all'arma bianca che non ha mai conosciuto tregua. L'energia, se non viene tenuta a freno in qualche modo, tende immancabilmente all'entropia, o al caos.
Energia significa potenza; tenere a freno significa controllare.
Un concetto talmente semplice che spesso ci sfugge.
Gli esperti di performance dicono che il modo migliore per allenarsi all'esercizio del controllo è sviluppare una buona routine di lavoro, dei meccanismi semplici e ripetibili, e poi fare pratica, fare pratica in modo forsennato. Ma questa è solo una delle possibili strade verso il controllo. Ce ne sono tante altre.
Ovviamente l'eccesso di controllo comporta tutta una serie di altri problemi. Se è vero che la potenza senza il controllo non è niente, il controllo senza la potenza è la morte.
E così, proprio quando credevi di aver capito come funzionava... ecco il quarto ball.
Ecco che ricomincia la battaglia.
In realtà la battaglia non ha mai fine, e questa consapevolezza può essere molto scoraggiante.
Nei momenti di difficoltà mi capita di ripensare quel cowboy folle e quell'adorato filosofo da strapazzo, e con un sospiro mi chiedo: E ora cosa pensi di fare?
J.R. Moehringer