Greta Gerwig, la sognatrice del cinema
Partiamo da un dato di fatto: nell'ultimo decennio la tecnologia ha preso il controllo di Hollywood.
Questa verità traspare da ogni casa di produzione, è scritta su ogni comunicato stampa dei distributori, piccoli o grandi che siano; e porta le grandi star dei blockbuster a una riflessione su quanto la loro performance sia dovuta al talento e quanto invece al chroma key. Il risultato, in ogni caso, è che i film sono più spettacolari, folgoranti, ambiziosi. Ogni spettatore si trova di fronte stupefacenti grafiche 3D, personaggi in CGI sprezzanti del pericolo spuntano da ogni angolo, trucchi e illusioni in HD riempiono anche le storyboard più semplici.
Ma tra tutti questi sequel sui supereroi, tra tutti questi grandiosi reboot e viaggi elettrizzanti nell'immaginario cinematografico, non abbiamo la sensazione che qualcosa ci sia sfuggito di mano? Il cinema moderno sembra aver comprato un biglietto per le montagne russe: è carico di adrenalina ma ha poco cuore e, cosa ancor più preoccupante, è privo di veri innovatori.
Tutto questo spiega perché nel 2017 un'artista indipendente poco nota sia riuscita a dare una scossa all'industria cinematografica. Perché, sebbene il glorioso racconto di formazione di Greta Gerwig, Lady Bird, non abbia sfondato al botteghino – il successo di vendite è andato ai live action Disney La bella e la bestia e Star Wars: Gli ultimi Jedi – è di sicuro il film che ha toccato e sorpreso di più gli spettatori. Con un punteggio quasi perfetto sull'aggregatore Rotten Tomatoes, ha ottenuto enorme successo di critica e pubblico.
Una commedia drammatica di formazione che racconta la storia di una diciassettenne di Sacramento forte e indipendente, Christine (Saoirse Ronan), ansiosa di sfuggire alla vita sonnolenta della sua cittadina e a sua madre. La trama semplice rende Lady Bird una storia immediata, in cui è facile immedesimarsi, che però non è nata in maniera altrettanto immediata. «Avevo la sensazione che questa storia fosse in lavorazione da una vita, almeno da dieci anni» confessa Greta Gerwig, che si è occupata sia della sceneggiatura sia della regia. «Parla del concetto di casa, di come diventi più chiaro e importante quando te ne vai; parla di madri e figlie e di come non ne esistano di perfette».
Parla anche della prospettiva degli adolescenti, di quella percezione dell'altrove come posto più interessante, dove comincia la vita vera».
Per Gerwig, perennemente irrequieta, "l'altrove" era New York. È qui che si trasferisce non appena ha l'occasione di andare via di casa. Iscrittasi prima a un corso di laurea in Musical, studia poi inglese e filosofia al Barnard College, un'università umanistica privata femminile con sede a Manhattan. Sebbene non fosse troppo convinta di questo percorso, gli studi si rivelano importantissimi per la sua formazione artistica. Sarebbe difficile pensare a Gerwig come l'artista introspettiva e dal pensiero laterale che è oggi se avesse studiato per tre anni danza jazz e classica (anche se resta una ballerina appassionata, come dimostra nel film Frances Ha). È proprio in questo periodo che riesce a liberarsi della mentalità provinciale e ad abbandonarsi ai piaceri della metropoli.
«Ho sviluppato una ‘dipendenza' da film mentre studiavo all'università. Noleggiare ai video club era facilissimo, le sale d'essai erano sparse ovunque in città e così mi sono innamorata del cinema indipendente. In California non avevo mai fatto nulla di tutto questo; una volta entrata nell'ambiente cinematografico, non sono più riuscita a uscirne» ammette.
Proprio alla Barnard, Gerwig incontra il cineasta Joe Swanberg, che la scrittura per la sua seconda pellicola, LOL. Da non confondere con l'omonimo film per teenager interpretato da Miley Cyrus, LOL è un lungometraggio a basso costo che analizza l'impatto della tecnologia nelle relazioni sociali attraverso l'esperienza di tre giovani neolaureati. LOL non è solo una fedele analisi di come la tecnologia e i social media trasformino il modo in cui interagiamo – nel 2006 ormai la rete sociale Friends Reunited e MySpace facevano parte della vita di tutti i giorni, mentre Facebook cominciava a diffondersi al di fuori delle università – ma dà il via al sodalizio professionale tra Swanberg e Gerwig, che collaborano poi alla realizzazione di altri due film, Hannah Takes The Stairs e Nights and Weekends, diventando così figure di rilievo del panorama mumblecore.
Attraverso Swanberg, Gerwig conosce Noah Baumbach, che diventerà suo partner di lunga data nella vita privata e professionale. Gerwig recita anche nel film di Baumbach Lo stravagante mondo di Greenberg, commedia nera con Ben Stiller ben accolta dalla critica. La notorietà deve esserle sembrata un gran passo avanti, riesce a farle guadagnare la stima dei colleghi e a insegnarle la complessità dell'industria cinematografica, tuttavia la beniamina del cinema indie ricorda questo periodo con frustrazione e malinconia: il successo del grande pubblico è ancora lontano. A 25 anni capisce di dover rimettere a fuoco e ridefinire il proprio percorso, da questo momento la sua carriera comincia a fare progressi e Gerwig diventa la filmmaker di oggi.
«Col senno di poi, avrei dovuto prendermi del tempo e scrivere di più; ma pensavo di avere un futuro nella recitazione e ho continuato a studiare. Per sentirmi realizzata penso di dover avere un obiettivo unico, una vocazione, è la benedizione e la maledizione della mia vita. E invece sono felice davvero quando faccio tante cose diverse allo stesso tempo» ammette. «E devo imparare ad accettarlo».
Da diversi punti di vista, la carriera di Gerwig è stata lenta ma costante; ci sono voluti quasi dieci anni perché si sentisse abbastanza sicura da prendere il timone in mano e lanciarsi nella regia, dopo il successo discreto avuto attraverso le collaborazioni con Baumbach. Eppure, concedendosi un po' di pazienza, Gerwig è riuscita a fiorire lentamente al di fuori della serra di Hollywood. Forse è per questo che Lady Bird ha sorpreso così tanto il pubblico. Perché a meno che non abbiate seguito il cinema indipendente degli ultimi dieci anni, non avete mai sentito il nome di Gerwig prima.
Alcuni critici hanno definito la pellicola il primo teen movie femminista. La regista risponde, un po' piccata, che «le interessano le donne, punto», ma anche che è «curiosa di capire come abbandonare la tecnologia e seguire un sogno fatto di narrazione e non di mode». Le è stato anche chiesto di rivelare fino a che punto la storia sia autobiografica. Ha spiegato che il film è solo liberamente ispirato alla sua vita. «Non ci sono eventi particolari del film che mi sono accaduti veramente, ma la storia rispecchia in modo sincero le emozioni e le esperienze che ho vissuto in quel periodo» chiarisce, aggiungendo che l'obiettivo principale era creare un film di formazione che avesse per protagonista una ragazza, e che si concentrasse sulla persona e non sull'aspetto romantico.
«Volevo che il film parlasse di temi diversi, a me cari. Ma descrive soprattutto la relazione e l'amore tra una madre e una figlia. Volevo anche demolire il cliché di molti film sulle adolescenti, dove alla fine c'è sempre il solito ragazzo che ti cambia la vita» afferma, alzando gli occhi al cielo.
«Non volevo che il mio racconto fosse così perché non penso neppure che sia vero, a quell'età di solito sono tanti i ragazzi che incontri e che ti influenzano o che fanno parte del tuo percorso. Penso che la relazione più importante in quegli anni sia quella tra te, i tuoi genitori e i tuoi amici. È così che cominciamo a rapportarci con il mondo, questa è l'esperienza che meglio definisce la nostra identità e la nostra idea di amore».
In ogni storia di successo c'è lo zampino della fortuna. E anche se un'artista espressiva, intelligente e indipendente come Gerwig merita senza dubbio una piattaforma per presentare la sua arte, bisogna riconoscere che Lady Bird non poteva capitare in un momento migliore. Perché non solo i confini tra cinema mainstream e indipendente sono sempre più fluidi (grazie al lavoro di creativi come Gerwig e Baumbach), ma il pubblico è alla ricerca disperata di storie autentiche che riescano a colpire mente e anima, e non soltanto a sorprendere i sensi. Allo stesso tempo, l'industria cinematografica ha un bisogno disperato di redenzione nell'era post #MeToo e, seppure non sia giusto celebrare Gerwig solo perché donna, non fa male vedere come la sua creatività femminile alimenti l'energia e l'ideale artistico di un'intera generazione.
In breve, abbiamo bisogno di Gerwig. E abbiamo bisogno che continui a proporre il suo cinema progressista, poliedrico, pieno di partecipazione e sensibilità politica. L'Academy di quest'anno ha riconosciuto con grande entusiasmo il suo lavoro, con una pioggia di nomination per le categorie di miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura, migliore attrice protagonista (Ronan) e migliore attrice non protagonista (Laurie Metcalf, che interpreta la madre di Christine). Naturalmente Gerwig è abbastanza astuta da sapere che premi e riconoscimenti non contano così tanto, preferisce continuare la sua carriera nella consapevolezza di riuscire a comunicare verità, onestà e semplicità attraverso l'arte.
«Sono cresciuta guardando tutte le premiazioni: mi vestivo di tutto punto e mi godevo lo spettacolo con i miei amici. È emozionante, è parte del sogno di fare cinema, ma i premi non incidono sul mio desiderio di realizzare un altro film. Continuerò a fare film, comunque vada» spiega.
«Quel processo è nelle tue mani e al tempo stesso completamente fuori dal tuo controllo. È un paradosso che mi affascina molto» continua. «Mi affascina anche la natura illogica di fare un film. È uno spettacolo di magia al contrario, ha bisogno di tanto tempo, serietà, soldi e persone. Prendi tutto questo e lo riduci a una luce intermittente, lo fai sparire all'interno di un sogno. Ti dà una strana soddisfazione».