Antonio Candreva taglia un calcio d'angolo nell'area di rigore del Tottenham, il pallone finisce sulla testa di Stefan De Vrij, ma non ha energia per trasformarsi in un tiro vero e proprio. L'olandese lo spedisce verso l'area piccola, sperando in una deviazione, del pallone e della storia. A poco più di cinque metri dalla porta difesa da Vorm, si materializza Matias Vecino, che con la fronte gli dà una nuova destinazione, mandandolo poco distante dal palo, in rete. Il gol del centrocampista uruguaiano che ha fatto vibrare San Siro con il 2-1 al novantaduesimo di una magica sfida di Champions League racchiude tutta l'essenza dell'Inter: la sublimazione del concetto di “Pazza Inter”, la definizione stessa di una squadra fatta su misura per provare grandi emozioni nelle notti più importanti.
Non è un caso che sia stato Vecino a regalare ai nerazzurri la prima vittoria in Champions dopo anni di assenza. Proprio il centrocampista dal sangue caldo e latino che in primavera aveva portato in alto i cuori dei tifosi interisti con il gol dell'Olimpico a nove minuti dalla fine, cucendosi addosso – per sempre – i colori della maglia con la P lunga di Pirelli, regalando alla Beneamata il ritorno sul palcoscenico più importante d'Europa. Lì dove merita. Lì dove, esattamente otto anni prima, un altro latino aveva regalato un posto nella storia al popolo nerazzurro.
Nel 2010 Diego Milito era inarrestabile. La sua doppietta in finale di Champions League è il punto più alto mai raggiunto da una squadra italiana: i gol con cui il Principe divenne re sono il manifesto intramontabile del primo e unico triplete vinto da un club di Serie A.
Le prodezze di Milito – trenta gol solo nella stagione 2009/2010, 75 in 171 partite con l'Inter – sono d'ispirazione per un altro attaccante argentino e nerazzurro.
Per Mauro Icardi entrare nelle scarpe del Principe è sempre stato motivo d'orgoglio, ma anche un onere al quale ha sempre risposto nel modo che gli è più congeniale: a suon di gol. Ventinove, ventisei, sedici, ventisette, andando a ritroso nel tempo, il suo contributo nelle ultime quattro stagioni – in termini realizzativi – suona come un messaggio chiaro e forte, una smania di far rivivere a tutto l'ambiente Inter quelle notti magiche che fino a qualche anno fa erano terreno di caccia di Milito. La scorsa stagione è stata la migliore della carriera per Icardi: più dei gol, la chiave è stata centrare l'obiettivo della partecipazione alla Champions League. La prima per lui. Eppure è sembrato un veterano, un attaccante navigato quando, a cinque minuti dalla fine e con la sua squadra in svantaggio contro il Tottenham, ha tirato fuori una delle conclusioni più belle della sua carriera.
D'altra parte, da nerazzurri, sul palcoscenico internazionale ci si sente casa, un po' per la natura del club – come racconta il nome stesso – un po' per la sua storia recente: l'Inter detiene anche il primato di dieci partecipazioni consecutive nelle coppe europee, dal 2002/2003 al 2011/2012, un risultato che nessun'altra formazione italiana può vantare. Parte del merito è di quella formazione che, a cavallo tra i primi due decenni del Duemila, aveva in Milito la sua punta di diamante. L'obiettivo, adesso è costruire, con la forza dei risultati, un ponte che possa collegare l'Inter del triplete a quella del 2018, un anno già speciale per il club: oltre al ritorno in Champions e alle vittorie in campo europeo, è stato anche l'anno dell'inaugurazione della Hall of Fame. Presentato da Pirelli, che con l'Inter ha costruito una delle più lunghe e vincenti partnership nella storia dei principali club mondiali, la sala dei campioni ha il compito di raccogliere, diffondere e valorizzare il patrimonio sportivo della società.
Se il 2018 ha come riferimento epico il 2010, anno di trionfi, a sua volta l'anno del triplete guardava all'ultima Inter vincente in campo europeo: quella che nel 1998 vinse la Coppa Uefa, il primo trofeo internazionale dell'era Pirelli, sotto il cielo di Parigi, con la stella di Ronaldo a brillare in campo nel 3-0 alla Lazio. Nell'anno del ventennale di quella vittoria, l'Inter riscrive pagine della sua storia di successi e di record, ripercorrendo un fil rouge che conduce da Icardi a Milito, da Milito a Ronaldo. Campioni di tre epoche diverse, uniti dalla voglia di portare quella maglia nerazzurra con la P lunga ad alzare i trofei più ambiti.