Pensa che per Tim Walker fosse giunto il momento di fare un Calendario Pirelli?
È una cosa che ho sempre desiderato, ovvio. Trovo interessante il fatto che quando guardi una fotografia di un Calendario Pirelli sai quando è stata scattata; è sempre molto attuale.
E poi mi piace che, guardandolo, capisci che i fotografi hanno avuto la libertà di esprimere la loro immaginazione visiva.
Vogliamo parlare dei processi mentali alla base delle sue idee e di come ha cominciato a formularle?
La storia di Alice è stata narrata innumerevoli volte; un paio di anni fa un amico mi ha regalato il libro con le illustrazioni originali che non avevo mai visto prima. Di colpo mi ha riportato ad Alice e a ciò che Lewis Carroll aveva fatto, volevo tornare alla genesi dell'immaginazione di Lewis Carroll, così da poterla raccontare di nuovo dall'inizio; non volevo essere influenzato dall'interpretazione della Disney o di Tim Burton, volevo tornare al cuore dell'immaginazione, ed è proprio quello che ha fatto l'autore affidando a John Tenniel le illustrazioni da interpretare.
Lei dice che, in origine, la storia era molto più cupa.
Penso che, per ragioni culturali, negli ultimi cinquant'anni abbiamo inzuccherato le fiabe. I bambini riescono veramente a capire e a percepire la cupezza, tanto quanto la leggerezza. Ed è una cosa che Lewis Carroll aveva perfettamente capito, e forse è per questo che la storia ha una grande risonanza.
Non direi che i suoi lavori vengano giudicati cupi, ma le sue immagini sono state definite di una bellezza strana.
La bellezza si trova in molte cose diverse, a volte qualcosa che muore e si decompone è bello come qualcosa che è appena nato. Penso che sia un concetto sbagliato concentrarsi solo sul lato più leggero.
Quand'è che per lei la collaborazione con altre persone di talento è più una questione di sensazioni, cultura, comprensione?
In uno shooting come questo, impari a ottenere il massimo dalle persone, a far capire loro che cosa vuoi fare. È una collaborazione, lavori con tutti gli altri per tirare fuori il meglio che possono fare, con l'obiettivo che le tue fotografie siano più belle possibile.
Quando penso alle immagini voglio sempre vedere qualcosa che non ho mai visto prima. È la priorità assoluta. Cerchi sempre di creare una fotografia che non hai mai visto, ma che ti ricorda qualcosa che magari hai già visto. E penso che lo scambio di idee sia veramente importante. Così guardi il lavoro di un fotografo, di un artista, di un cineasta, e hai in mente una storia che hai letto da qualche parte, e poi mescoli il tutto, e riesci a creare qualcosa di completamente nuovo.
La collaborazione con Shona Heath...
Shona è la maestra del set, aggiunge molto di più di quanto sia capace di fare io. Quindi se io ho una determinata visione lei la mette in discussione, la mette in dubbio e mi rivela riferimenti che magari non ho colto prima. Ha un senso del colore come nessun altro. La sua cura per i dettagli è impareggiabile.
A suo parere la mancanza di dedizione assoluta e di passione verso un progetto viene percepita dal pubblico?
Penso che la fotografia sia una sorta di apparizione, qualcosa di molto magico e in un certo senso intangibile, non esiste veramente ma se ci credi davvero hai la capacità di renderla vera e di farla apparire.
La fotografia funziona al meglio quando sembra spontanea. Quando è troppo elaborata perde forza, perché penso che le fotografie siano vitali quando hanno quasi una sorta di errore, e quando sono scattate spontaneamente e si percepisce un'immediatezza.
Quando lavora, pensa di voler raggiungere uno stato di grazia?
Alcune delle fotografie più famose di tutti i tempi non sono per niente elaborate. Molte fotografie di guerra che ricordiamo sono frazioni di secondo che sono passate e fuggite via, penso che sia così che funziona la fotografia, questione di istinto, velocità e caos.
Molte delle fotografie che scatto sono per certi versi una lettera d'amore a ciò che è stato fatto prima, per cui sono come un ponte con il passato, un riconoscimento a chi ha innovato prima di me.
Tornando brevemente al casting, per lei si è creato un equilibrio molto interessante tra le persone con cui ha lavorato?
Le scene con Sean “Diddy” e Naomi sono state caotiche. Un caos positivo, auspicabile. Una cosa che ho scoperto, da fotografo, è che quando non hai il controllo totale della situazione il risultato è migliore. Perché ti affidi all'istinto e cogli velocemente quello che accade.
Non puoi portare idee, interpretazioni culturali o il peso di qualcosa in uno shooting. Non puoi arrivare sul set e cominciare a scattare fotografie facendoti troppe domande su come verrà...istinto, è questa la chiave.
E con il Calendario pensa di aver ottenuto quello che sperava?
Un fotografo non è mai soddisfatto, il risultato potrebbe essere diverso, ma sono molto contento delle immagini che ho scattato, ne sono davvero orgoglioso.