Zero
Zero si innamorò di Uno, una mattina di aprile tra le rovine del castello di Duino, affacciato sul Golfo di Trieste.
Figlia di Bora, si era defilata dai refoli di suo padre, soffiati giù dalle Alpi per agitare il mare Adriatico.
Zero era la più gentile dei figli del dio del vento, tanto gentile che nessuno ne aveva mai notato la presenza (e, ora che se ne è andata, neanche l’assenza), come fosse una vera nullità.
Era un alito di vento così soave che mai sarebbe riuscita a piegare un trifoglio o disperdere i semi di un soffione.
Passava le giornate intorno alle rovine dell’antica tenuta, ignorata dalle capre che pascolavano tra le arcate in rovina.
Solo a volte, i pastori guardavano sorpresi il cielo, chiedendosi cosa fosse a portare quell’improvviso profumo di albicocca e miele.
0
Uno, con il cuore affranto, decise di attraversare il golfo lanciandosi dal capo con il vecchio faro, proprio il giorno in cui Bora e la sua progenie stavano dando il peggio di loro stessi.
Dal lontano promontorio di Pirano, la famiglia di venti furiosi sollevava getti d’acqua di mare tanto alti quanto l’arcangelo arrugginito della torre campanaria, e poi li sbatteva giù sul molo, riversando la schiuma in un labirinto di rivoli.
Zero osservava Uno dall’alto della torre del castello e lo vide nel momento in cui balzò dal vecchio faro e cominciò ad attraversare le acque turbolenti. Saliva, scendeva, si spiegava, per poi schiantarsi contro le acque furiose.
Lo vide sparire tra le onde e riemergere aggrappato a uno scoglio della costa rocciosa.
Uno scalò la scogliera e, attraversate le arcate fatiscenti, si stava avvicinandosi a lei grondante di acqua salmastra.
Zero si chiedeva il perché, dato che non era possibile che lui l’avesse notata. Con le guance arrossate, si nascose dietro l’ingresso del vecchio granaio.
Attraverso una crepa del muro, lo guardava salire a grandi passi verso i merli degli ultimi bastioni del castello che, a guisa di denti affilati, sporgevano oltre la distesa d’acqua.
Uno si fermò a osservare il mare impetuoso. In un attimo, tutti i fratelli di Zero lo catturarono sulla piana erosa, finalmente riuniti alla loro sorella, ma incuranti dei suoi appelli.
Zero li implorava di lasciarlo andare, ma nessuno le prestava ascolto né la vedeva, dato che nemmeno si erano accorti della sua presenza.
In mezzo al frastuono, lei udì una voce solitaria portata dai venti irosi.
01
Angelo di perfezione, sono venuto per gettarmi dal punto più alto della nostra costa, intrappolato in un’inesorabile unicità.
Ma qui ho incontrato te, circolo di unità, liberazione dal vuoto dell’uno. Senza te, sono meno di niente. Solo uno. Senza forza e solo.
Dal principio di tutto e per tutto il tempo a venire, sei stata il grembo di infinite possibilità.
Con te, Uno può essere qualsiasi cosa. Uno è moltiplicato e trasfigurato. Uno ritrova il vuoto rinato come interezza.
Quali parole sconosciute, forze inimmaginabili, splendori profondi potremmo creare insieme attraverso il mare?
Muteremo l’uno e insieme diventeremo un uno nella sua interezza
010
Zero guizzò sopra il trifoglio e il soffione per stare accanto a Uno sul promontorio eroso.
Da dietro il suo orecchio sciolse la lunga treccia scarlatta e legò i capelli sciolti attorno al suo polso e a quello di Uno.
Non più abbandono, ma incosciente fiducia.
Si guardarono in faccia solo una volta. E non appena i venti calarono per rischiarire l’aria tetra, balzarono e volarono verso il sole di mezzogiorno.
0101
In Piazza dell'Unità, i triestini seduti sulle terrazze delle caffetterie panoramiche alzarono improvvisamente lo sguardo dai giornali.
Tutti rimiravano il cerchio di vuoto mai visto prima. Rimasero incantati, quando videro una scia di zero e uno dipanarsi sopra il mare luccicante.
Che tipo di mondo costruiranno insieme Zero e Uno, oltre l’orizzonte?
Spetterà a noi deciderlo?