Che cosa c’è di più umano di collezionare ricordi?
Essere umani vuol dire far parte di qualcosa di più grande. Significa appartenere alla collettività del genere umano, entrare in relazione con le persone e condividere con altri le esperienze vissute e la propria felicità. Infatti, senza relazioni umane, i colori cominciano a sfumare in grigio
In Instagram c’è un hashtag, di cui forse avrai sentito parlare, chiamato #makingmemories.
È una tendenza che raggruppa persone che postano selfies scattati insieme ai propri cari o foto di occasioni speciali: una riunione di famiglia, un panorama suggestivo, un luogo famoso o un evento memorabile della vita. Gran parte di queste immagini vanno dritte al cuore, come quella della prima volta di un bambino sulla neve, quella di quattro generazioni riunite per un compleanno storico oppure le foto degli ultimi viaggi fatti prima di morire o del tramonto su un lago ghiacciato.
Proprio ora, mentre scrivo, la ricerca di questo hashtag ha prodotto un risultato di oltre 13,5 milioni di post.
Alcuni potrebbero ritenere questa tendenza un po’ sopra le righe e considerarla parte della facciata meramente fittizia di un mondo in cui ormai si condivide tutto. Per me, invece, questa tendenza è l’espressione di un profondo desiderio, molto più innocente, di mettersi in relazione con gli altri.
Poche cose sono tanto menzionate tra i segreti per essere felici, quanto la gratitudine e la capacità di vedere ciò che si ha. Quando fissiamo i momenti di felicità e li condividiamo con gli altri, non stiamo forse facendo proprio questo? Potremmo dire che stiamo focalizzando la nostra attenzione su tutte quegli aspetti della vita per cui bisogna essere grati.
Catturiamo questi momenti semplicemente per aggrapparci a ciò che altrimenti sarebbe solo temporaneo ed effimero e li condividiamo con altri nel tentativo di evitare che spariscano per sempre.
Costruiamo ricordi, inscatolando le buone vibrazioni e dicendo ai nostri cari: guarda qui, la vita non è forse meravigliosa?
I neuroscienziati lo hanno ribadito a lungo: l’isolamento non ci fa bene. In parole semplici, per rimanere sano di mente, l’essere umano ha bisogno degli altri. Quando si è anziani, la solitudine è un fattore di rischio per malattie come la demenza e l’Alzheimer. Una recente ricerca ipotizza che persino le persone dotate normalmente di memoria eccezionale hanno avuto problemi di nebbia cognitiva e smemoratezza, da quando la pandemia li ha costretti all’isolamento.
È palese che tutto ciò ha un perché. Basti pensare che persino lo scambio di quattro chiacchere, come si fa con un collega d’ufficio al distributore di caffè, aiuta a consolidare i ricordi e dare un senso agli eventi vissuti. Quando condividiamo le nostre esperienze con gli altri, riportiamo in vita quei momenti e li rendiamo più facili da ricordare. Ma non si tratta solo di questo. L’interazione con il prossimo genera anche un effetto stimolante generale e aiuta il cervello a rimanere vigile. Alcuni ricercatori ipotizzano che un aumento delle interazioni sociali e delle relazioni appaganti possa aiutare a prevenire il declino cognitivo.
Le relazioni umane fanno bene alla nostra salute in modi molto concreti e reali.
Se si cerca il termine "umano" in un vocabolario, si scopre che per definizione ha a che fare con l’umanità. L’umanità non è altro che gli esseri umani considerati nel loro insieme. Sembra quindi impossibile capire che cosa vuol dire essere umani, senza prendere in considerazione le relazioni sociali. Si pensi al vecchio quesito filosofico dell’albero che cade in una foresta. Fa rumore anche se lì non c’è nessuno per sentirlo? In quanto essere umani possiamo vivere da soli qualsiasi esperienza, ma saremmo poi in grado di darle un senso e creare ricordi, se non ci fosse nessuno con cui condividerla?
Da svedese, ho scritto molto sulla felicità da un punto di vista scandinavo e mi sorprende che il senso di collettività sia un punto centrale di gran parte degli aspetti che caratterizzano la società svedese. Le pulizie primaverili di vicinato e le feste di mezza estate, in cui ognuno porta qualcosa da mangiare, sono tra le tradizioni più intrinsecamente peculiari degli svedesi. Alla luce di ciò, non vi è dubbio che il senso di vicinato e lo spirito comunitario siano elementi fondamentali in questa nazione di persone felici, sane e appagate.
Penso che ciò spieghi perché i paesi scandinavi ottengano, anno dopo anno, gli indici più alti di felicità a livello globale e raggiungano anche un punteggio molto alto per quanto concerne la fiducia nelle istituzioni pubbliche e nei concittadini. Quanto detto consolida il concetto che la felicità non è una caratteristica del singolo individuo, bensì qualcosa che creiamo insieme, qualcosa che condividiamo.
Essere umano vuol dire cercare il contatto con gli altri; creare relazioni umane vuol dire rendere i colori più vivi, generare ricordi e accendere la luce sia a livello cognitivo che emotivo. In breve, lo sforzo che facciamo per creare legami potrebbe essere la ricetta per la felicità. E con il passare del tempo, è forse il modo per creare molti più ricordi e renderli molto più vividi.