B diBrand

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Il tratto distintivo, quella P lunga che accompagna l'azienda in un'evoluzione lunga ormai 150 anni, tracciando un territorio di valori in cui riconoscersi. Nei testi e nelle illustrazioni raccolte nelle sue riviste. Nello sport, con quel segno che infiamma gli appassionati di vela con Luna Rossa, i tifosi di Formula Uno e, per molti anni, dell’Inter. Nella comunicazione, con le sue campagne pubblicitarie fatte di claim e immagini, di simboli che restano: si scrive "Power is nothing without control", si legge "Pirelli".
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Perché i marchi saranno sempre importanti

Abbiamo fatto un errore con i marchi nell’era digitale. Il loro vero valore non risiede nell’amore, ma nella fiducia

In genere, i pubblicitari e gli esperti di marketing difendono i brand basandosi su premesse errate. Parlano di "valore aggiunto", ma questo fantomatico "valore aggiunto" non esiste. Esiste solo il valore che non risiede nella fabbrica o nella catena di distribuzione, bensì nella testa degli acquirenti.
Si può produrre il pneumatico più economico, sicuro e performante al mondo, ma finché qualcuno non si fida abbastanza per montarlo su un’auto, rimane sostanzialmente senza valore.
Un’identità distintiva e iconica, ovvero un marchio, costituisce un elemento essenziale di questa fiducia. Dopo tutto, se non cerchiamo di ottenere, consolidare ed estendere una reputazione di qualità tra coloro che acquistano i nostri prodotti, su chi è che vogliamo fare una buona impressione? Quanto è probabile che il prodotto che si vende non sia buono? E quale incentivo si ha per migliorare i propri prodotti o servizi?
I marchi impongono un prezzo superiore a quello di mercato perché i consumatori sanno, sia a livello istintivo che per esperienza, che i prodotti non di marca hanno molta più probabilità di essere spazzatura.
Se non abbiamo alcun interesse ad assicurarci che i clienti soddisfatti possano riconoscerci facilmente e riacquistare i nostri prodotti (o che possano boicottarci in caso di delusione), quanta fiducia possiamo mai avere in ciò che stiamo vendendo?
Chi vende una merce griffata, inevitabilmente si preoccupa anche della propensione del cliente di riacquistarla. Chi vende un prodotto anonimo non lo fa.
Il valore principale di un marchio non è quindi la creazione di un amore o addirittura di fanatico attaccamento, ma la riduzione del dubbio. Contrariamente a quanto ipotizzato dalla recente moda passeggera di creare brand di culto e dall’idea dei "lovemarks" (ovvero il tentativo di generare una fanatica devozione al marchio, cosa che è molto più intrigante in teoria, di quanto sia conseguibile in pratica), gran parte del valore di un marchio non consiste nell’entusiasmo appassionato suscitato dal marchio nei consumatori, ma nel livello di indifferenza passiva e noncurante.
Quando le persone acquistano articoli di marchi famosi, familiari e fidati, il loro cervello non registra un surplus di attività mentale rispetto a quando prendono la decisione di comprare prodotti non conosciuti. Al contrario, il loro cervello registra un livello di attività molto minore. A livello di subconscio, il marchio sta inviando tutta una serie di segnali che la parte cosciente del cervello non necessita più di elaborare.
Rivenditore di pneumatici: «Mi sono appena arrivate delle nuove gomme Pirelli che fanno proprio per lei.» Cliente: «Perfetto! La Pirelli produce gli pneumatici di tutte le auto di Formula Uno, saprà pur fare anche le gomme per le auto da strada.»
Questa conversazione risulterebbe invece molto diversa, se il rivenditore tentasse di vendere un marchio non noto. «Come ha detto che si chiama l’azienda?» «E di dove sarebbero?» «C’è qualche tipo di garanzia?» «Chi mi dice che sono sicuri?» «Ha qualcos’altro da propormi?» «Non vorrà mica rifilarmi una fregatura?»
Quando compriamo i prodotti di marchi rinomati, ci sentiamo istintivamente a nostro agio. È quello che Robin Wight, guru della pubblicità e "architetto di marchi" (come gli piace autodefinirsi), chiama il "riflesso della reputazione".
Ci vuole tempo per costruire questo tipo di fiducia, e il tipo di attività di marketing che crea questa fiducia è diversa dal tipo di interesse promozionale che orienta le vendite immediate a breve termine. A pelle ci fidiamo di più delle persone che sembrano investire sulla loro reputazione a lungo termine rispetto a quelle a cui interessa solo fare soldi facili con una singola transazione isolata. Questa predisposizione non è irrazionale, anzi è molto intelligente.
Quando usiamo i mezzi di comunicazione digitali tendiamo però a trascurare questa semplice nozione. Dato che i media digitali consentono di misurare molto precisamente gli effetti a breve termine, siamo più propensi a dare maggiore priorità a una vendita rapida di una transazione una tantum rispetto ai costi di un investimento a lungo termine volto a costruire un marchio. Questa è stata una buona notizia per le imprese tecnologiche, ma una cattiva notizia per lo stato di salute dei marchi sul lungo periodo.
Nei prossimi dieci anni dobbiamo lentamente riconoscere che è giunto il momento di rimettere le cose al loro giusto posto.

La lingua deve essere chiara e lo slogan Pirelli è un esempio perfetto La lingua deve essere chiara e lo slogan Pirelli è un esempio perfetto